Governo
2017: Ritorno all’Austerity
Il parapiglia politico che è seguito alle dimissioni del governo Renzi, la nomina in tempi stretti del nuovo esecutivo e l’emergenza Monte dei Paschi hanno fatto passare in secondo piano la lettera che il 5 dicembre ci ha inviato la Commissione Europea ed in cui confermava quello che si sapeva già: tra gli obiettivi di deficit strutturale che si propone la manovra di bilancio 2017 e quelli previsti dal Fiscal Compact passa più di un punto di PIL (1,1%, dallo -0,5% definiti in manovra allo 0,6% richiesto da Bruxelles). Si tratta di circa 16 miliardi; certo c’è uno 0,5% di margine di tolleranza ed uno 0,3% di sconti eccezionali per terremoto e migranti, ma su una correzione dello 0,3% (4 miliardi più o meno) l’Europa non credo che transigerà. Dopo la messa in sicurezza del sistema bancario, a marzo la successiva urgenza del governo Gentiloni sarà quella di reperire i fondi per coprire il buco, con buona pace degli obiettivi di rilancio dell’occupazione richiamati nel discorso di insediamento.
La Commissione Europea “suggerisce” anche le modalità: si potrebbero effettuare dei tagli straordinari alle spese, o interventi una tantum (le c.d. windfall measures) che hanno il sapore minaccioso di tasse sul patrimonio o sulla casa. Gran parte di questo gioco delle parti si era già visto a fine 2014. Poi un trimestre di ripresa economica più forte del previsto aveva tirato d’impaccio il governo dai pericoli di una manovra correttiva. Da una prospettiva realistica, è difficile che un governo nato debole e temporaneo possa imporre misure troppo impopolari. Però potrebbe re-innescare alcune delle clausole di salvaguardia neutralizzate dalla manovra relative all’aumento di IVA e accise; basta un’occhiata ad esempio per notare come l’aumento dell’IVA da 10% al 13% recupererebbe risorse per 6,5 miliardi (cfr. Figura 1), una cifra ben maggiore di quelle che saranno ragionevolmente le richieste della Commissione Europea.
Figura 1
Considerato che si tratterebbe di un semplice anticipo di nuove tasse (da gennaio 2018 ad aprile 2017) e per un’entità più contenuta rispetto ai 6,5 miliardi, potrebbe essere la decisione col minor costo politico. Gli effetti negativi a lungo termine sull’economia reale ci sarebbero senz’altro, ma l’evidenza empirica degli ultimi aumenti (a settembre 2011 e ad ottobre 2013, cfr. Figura 2) ci dice che l’aumento dei prezzi non si traduce automaticamente in un’immediata contrazione dei consumi privati.
Figura 2
In Figura 2 ho rappresentato l’andamento dell’aliquota IVA dalla sua istituzione ad oggi in Italia e Germania. L’andamento crescente è una caratteristica comune che è condivisa con la maggioranza delle economie dell’Unione Europea ed indica l’utilizzo crescente della tassazione indiretta rispetto a quella sul reddito perché tendenzialmente risparmia lavoro ed investimenti ed ha meno effetti recessivi. Quello che si nota è che gli aumenti dell’IVA non sono così frequenti temporalmente: in Italia se ne contano 7 in 43 anni, di cui 2 negli ultimi 5 anni, in Germania solo 4 con lunghissimi periodi di stabilità. Le regole del Fiscal Compact ne prevedono 2 nei prossimi 2 anni. Soprattutto l’entità degli aumenti è in genere piccola e pari ad un solo punto percentuale. Soltanto nel 1982 si registra un aumento di 3 punti percentuali, cioè l’incremento che è calendarizzato per il gennaio 2018.
Dalle ipotesi siffatte ne discende che i problemi per l’economia italiana non sono nei prossimi mesi, quando è plausibile un trascinamento del momentum positivo per l’industria registrato nell’ultimo trimestre. E per il 2018 che si stanno addensando nubi non da poco. C’è poco da fare: entro un anno l’inesorabilità delle regole del Fiscal Compact renderà la politica fiscale molto restrittiva. è oltremodo evidente che gli aggiustamenti di bilancio rinviati negli ultimi anni sono stati scaricati tutti tra il 2018 ed il 2019, quando il nostro avanzo primario di bilancio, al netto degli interessi sul debito, dovrà passare dall’attuale 1,5% (comunque tra i più elevati dell’Eurozona, cfr. Figura 3) ad un corposo 3,2% e stabilizzarsi a quel livello in futuro. Ecco perché sono previsti circa 23 miliardi di tasse aggiuntive, di cui 19 solo nel 2018. L’IVA, dal 22% attuale che è un valore tutto sommato medio rispetto al resto d’Europa, sfiorerà il 27%, il valore più alto di tutta l’Unione monetaria insieme a quello ungherese (cfr. Figura 4).
Figura 3
Figura 4
Dal mio punto di vista è pia illusione credere che la crescita economica non sarà colpita da aumenti così consistenti della pressione fiscale. C’è da supporre anche che il quadro macro-economico di fine anno sarà caratterizzato da tassi di interesse più alti, se consideriamo che a dicembre 2017 verrebbe a mancare il supporto dato dal Quantitative Easing della BCE. L’Italia si ritroverebbe in una congiuntura parecchio sfavorevole, in cui sia politica fiscale che politica monetaria remerebbero contro la ripresa economica, una situazione mai sperimentata nemmeno sotto le forche caudine dell’austerity del governo Monti dato che nel 2012 la BCE perseguiva almeno una politica monetaria espansiva.
È evidente di per sé che l’incubo contabile del Fiscal Compact andrebbe disinnescato. È l’anno domini è il 2017 dato che si voterà il suo inserimento all’interno del diritto comunitario ordinario; si avrà dunque un passaggio di status da norma riportata all’interno di un Trattato internazionale a legge interna, dopo una valutazione complessiva dell’esperienza che i Paesi hanno maturato fino a questo momento. Rimane una buona chance per poter rimettere in discussione le regole stringenti e per rivederle in maniera più flessibile; pur tuttavia rimane difficile immaginare che la maggioranza del Parlamento europeo possa votare una revisione radicale del Fiscal Compact considerando che la Germania ed i suoi Paesi core satellite (Austria, Olanda e Finlandia) vogliono il recepimento del Trattato nella sua forma attuale. Inoltre c’è da considerare che l’Italia è tra i pochissimi Paesi insieme alla Germania ad avere introdotto la regola di pareggio di bilancio in Costituzione, così come raccomandato dall’Art. 3 del Fiscal Compact. Gli altri membri dell’Eurozona che hanno ratificato il Trattato si sono limitati ad emanare una legge ordinaria, molto più semplice da modificare. Anche se si dovesse ottenere un Fiscal Compact dal volto “più umano”, per il governo sarebbe difficile by-passare in maniera sistematica il vincolo costituzionale al pareggio di bilancio. Con queste premesse, qualcuno crede che sia davvero possibile evitare una nuova austerity?
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