Lavoro
Sicurezza sul lavoro? Un’impresa nel sistema neoliberista
“Comunque le si valuti, le teorie neoliberiste compromettono istruzione, salute, aumentano le disuguaglianze e riducono le quote di reddito destinate ai lavoratori; di tali effetti non è possibile dubitare”.
(N. Chomsky)
Scrivo questo articolo avendo visto qualche giorno fa un film di Ken Loach: “Paul, Mick e gli altri”. Ē un regista, Loach, che fa esattamente il contrario di quanto prescrivono le parole d’ordine dell’industria cinematografica: non trattare temi divisivi, se proprio bisogna farlo non prendere apertamente posizione, e in ogni caso non disturbare lo sguardo dello spettatore mostrandogli senza filtri le imperfezioni del mondo reale.
A grandi linee la trama: Inghilterra, 1995, in uno scalo ferroviario nel sud dello Yorkshire. Un giorno Harpic, il capo scalo, comunica a Paul, a Mick e al resto del gruppo che è stato deciso un cambiamento di proprietà: l’attività che loro svolgono esce dalle ferrovie dello Stato e passa sotto un’azienda privata con la formulazione di una nuova ‘missione’ operativa. Lo sbandamento é forte: si prospetta una situazione con paga a prestazione, ferie non retribuite e cure sanitarie non garantite. L’alternativa è dare le dimissioni, incassare subito l’indennità speciale prevista e diventare lavoratori occasionali al servizio di agenzie private. Dopo molte discussioni, Paul e John firmano per le dimissioni. Gli altri tre restano, ma vengono licenziati quando il reparto chiude. Restando tra loro in contatto, gli operai riescono ad essere ingaggiati per altri lavori: ma sempre si pone il problema dell’orario, del tipo di intervento richiesto, delle condizioni di sicurezza. Così, mentre sono intenti ad una operazione notturna tra la strada e la ferrovia, Jim si infortuna gravemente. L’infortunio però non può essere denunciato, e allora gli amici decidono di dire che é stato investito da una macchina. Qualche tempo dopo Jim muore.
Paul, Mick e gli altri finiscono per confermare una menzogna, per sciacallare sulla pelle del loro amico. Ma l’istinto di sopravvivenza così accentuato testimonia il regresso irreversibile in atto. Gli operai inglesi sono piuttosto stretti nella morsa altrettanto straziante di una prospettiva futura non più sorretta da tutti i punti fermi che in tanti anni i workers sono riusciti ad ottenere. Per sfuggirgli devono calarsi nello spietato ingranaggio del lavoro interinale, che non garantisce né salario fisso, né assistenza sanitaria, né garanzia alcuna. Loach gira il coltello nella piaga e ci congeda dai suoi antieroi proletari inquinandone la dignità e la stima. Lo scollamento tra chi gestisce il mondo del lavoro e chi ne usufruisce sembra incolmabile e genera piccoli vampiri che suscitano pena e solidarietà.
Loach toglie gli stracci dagli specchi e l’immagine distorta che restituisce è un monito; quello antico ma sempre valido del sonno della ragione. Non rimane che un annuncio a cui rispondere: cercasi nuovi mostri da inserire nei quadri della società. Possibilità di carriera. Loach mette in ridicolo nel suo film concetti come flessibilità, esibizioni e contorsioni circensi da curriculum vitae come ambizione, dinamismo, entusiasmo. Il mondo del lavoro ha disintegrato la concretezza dell’oggetto lavoro, annientato dai “quadri” in cui un soggetto viene inserito. Ē il mondo delle riunioni, dei rapporti artificiosi tra colleghi.
Dalla finzione filmica alla realtà è un attimo trattandosi di un regista che per la sua aderenza alla verità quasi documentaristica è stato considerato un degno erede del neorealismo di De Sica di “Ladri di biciclette”.
Contrariamente ai i suoi film che sono politici in quanto prendono chiaramente posizione, e quindi suggerisce implicitamente i connotati di una “società possibile” contrapposta al modello di società concretamente esistente; la politica attuale assume connotati fantascientifici.
La frequente inutilità è inconsistenza dei provvedimenti di questo Governo, che si é già a manifestata nella feroce politica dei respingimenti dei migranti – si pensi al fantasioso decreto del ministro dell’interno che ha offerto ai migranti di poter evitare l’internamento nei Centri per il rimpatrio pagando 4.938 euro, come se fosse normale per i migranti avere in tasca 5.000 euro di spiccioli – assume particolare risalto in relazione al terribile problema delle ” morti bianche”, le quali si verificano con una frequenza di quasi due morti al giorno. È un fenomeno straziante, che pone in luce la gravissima difficoltà in cui i lavoratori sono costretti a operare e la tragedia immane di tante famiglie, e in particolare di tanti bambini, che restano nella più iniqua miseria, dopo aver perduto il loro unico sostegno morale, affettivo e economico. Di fronte a tanto strazio, il Governo ha aumentato il numero degli Ispettori del lavoro ma la misura è stata del tutto insufficiente. Quello che poi lascia sgomenti è che questi dati disastrosi non preoccupano minimamente l’opinione pubblica, la quale appare come indifferente e apatica di fronte a questo e a qualsiasi altro problema di insostenibile gravità. Non mancano le “proteste” dei volenterosi. C’é chi auspica un aumento dei controlli, chi un maggior addestramento degli operai, chi punta il dito contro il cosiddetto lavoro in nero, chi contro i cosiddetti “contratti pirata”, in violazione dei contratti collettivi di lavoro. Ma non si riescono a immaginare soluzioni se non all’interno dell’attuale sistema liberista, e non riescono a pensare che probabilmente è proprio al di fuori di questo sistema che può trovarsi una soluzione.
Sembra davvero difficile negare che il lavoro sia diventato una “merce” nelle mani dei privati e delle multinazionali proprio a causa della sostituzione del sistema economico keynesiano, che salvaguarda il lavoro, con l’attuale sistema economico predatorio neoliberista, il quale, ritenendo fondamentale la “concorrenza” e la “privatizzazione” della proprietà pubblica, ha in fondo resa privata l’intera economia, sopprimendo la distinzione tra pubblico e privato nella quale soltanto può trovare tutela la sicurezza del lavoro.
Certamente le numerosissime “morti bianche” sono un atroce delitto commesso da imprese che pensano più al proprio successo che alla vita dei lavoratori, ma non si può negare che l’insidia nascosta in questo stravolgimento di valori viene proprio dal sistema economico neoliberista che, oscurando le menti con il suo “pensiero unico” e “acritico”, spinge gli imprenditori a preoccuparsi soltanto di diminuire i costi e aumentare i guadagni.
Essenziale e ineludibile, a questo punto, appare la necessità di lasciar stare dispendiose idee faraoniche come il Ponte di Messina, e reintrodurre invece nell’economia attuale una buona dose di aziende pubbliche – proprio del sistema kynesiano -, che essendo enti pubblici, sono ” fuori commercio”, non possono fallire, non devono fare profitti, ma solo coprire i costi e possono pertanto assicurare adeguate retribuzioni.
Lo impongono peraltro gli articoli 42 e 43 della Costituzione, secondo i quali rispettivamente “la proprietà è pubblica e privata” e devono essere in mano pubblica “i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia e le situazioni di monopolio”. E infine lo stesso articolo 4 della Costituzione, dedicato al diritto fondamentale al lavoro, secondo il quale la Repubblica ” promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”.
In un sistema in cui conta solo massimizzare i guadagni, la concorrenza crea squilibri e competizione. Il politologo George Monbiot ha scritto: “L’idea centrale del neoliberismo è che ci sia una forma di relazione naturale all’interno della società umana, la competizione, e che ciascuno di noi non faccia altro che cercare di massimizzare la propria ricchezza e il proprio potere a spese degli altri. Conta solo massimizzare i guadagni, anche a scapito della sicurezza. Per i neoliberisti l’uomo è “homo oeconomicus”.
È un’ottima descrizione, ma del modo di ragionare degli psicopatici.
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