Lavoro
Settimana corta: opportunità realizzabile anche in Italia?
Il dibattito sulla settimana corta è centrale in diversi paesi europei, ma anche in Italia il tema è sempre più dibattuto. Nel nostro paese si stanno ipotizzando nuovi contratti aziendali per una prestazione lavorativa articolata su quattro giorni. Questo possibile cambiamento vedrà coinvolte le organizzazioni sindacali e le aziende, ma sarà fondamentale capire come si sperimenteranno le nuove regole.
Rispetto alla gestione di questa nuova opportunità sorgono però molti dubbi:
- Il nostro paese si adatterà bene a questo modello?
- Riusciremo a restare competitivi rispetto ai paesi che non adotteranno questa riduzione dei giorni lavorativi?
Il 30 marzo scorso si è svolto un webinar che ha coinvolto alcuni esperti e che aveva come obiettivo quello di dare risposta proprio a queste domande.
La tavola rotonda organizzata da Workitect, e moderata da Luca Brusamolino, ha coinvolto:
- Cristina Tajani – Docente presso il Politecnico di Milano. Già Presidente di ANPAL Servizi spa, società in house al Ministero del Lavoro e ANPAL;
- Marco Leonardi – Professore di economia, già capo dipartimento per la programmazione economica alla Presidenza del Consiglio;
- Luca Solari – Founder di OrgTech e Professore ordinario all’Università Statale di Milano;
- Sergio Alberto Codella – Partner dello Studio Orsingher Ortu Avvocati Associati. Esperto di diritto del lavoro, della previdenza sociale e sindacale.
Gli esperti si sono confrontati su tutte le criticità che dovremo essere pronti ad affrontare all’avvento di questo nuovo cambiamento, ma hanno anche tentato di mettere in guardia dai falsi miti rispetto a questa opportunità.
Qui sopra potete trovare il video integrale del webinar, ma è giusto sottolineare qualche concetto tratto dagli interventi degli esperti.
Per Cristina Tajani l’atteggiamento verso le questioni lavorative è mutato nella fase definita Post-Covid. Nonostante l’economia tenda a riprendersi ci sono ancora variabili, legate alla situazione internazionale, che portano ad uno stato di tensione.
Un aspetto interessante, di cui si parla pochissimo, è l’effetto della crisi demografica sul mercato del lavoro. Le aziende spesso non trovano le professionalità che cercano anche perché le nuove generazioni sono numericamente inferiori dei cosiddetti “pensionandi”. I giovani sono meno e sono più esigenti.
Nella società sono mutate le priorità e il rapporto tra vita e lavoro. Quando la richiesta di più tempo libero e di salari adeguati non viene soddisfatta si attiva il fenomeno del quiet quitting, ossia fare quello che è strettamente indispensabile. Risulta quindi palese in questo caso uno scarso coinvolgimento del dipendente nelle dinamiche aziendali.
Il lavoro ibrido (tornato centrale dopo il covid) spinge le organizzazioni a trovare nuove soluzioni e forme di conciliazione. Tra queste soluzioni potrebbe esserci la settimana corta, potenzialmente utile per le imprese quando stimola un aumento di produttività.
Per Tajani sarebbe preferibile mantenere l’autonomia delle parti per far stabilire loro una strategia adeguata. La legge potrebbe essere utile, ma trattandosi di una fase ancora sperimentale è giusto dare spazio alla libertà della contrattazione.
Per Marco Leonardi nessuno potrebbe lamentarsi di accordi individuali e la riduzione a 4 giorni lavorativi sarebbe una grande innovazione e non sarebbe impossibile attuarla.
Nella contrattazione però non molti sarebbero d’accordo su una proposta di un minor numero di ore di lavoro che comporterebbe un abbassamento dello stipendio. Servirebbe infatti aumentare i salari, almeno per contrastare l’inflazione e recuperare il potere d’acquisto.
Una legge è poco probabile, più probabile invece un contratto collettivo. Esistono alcune grandi aziende che si stanno muovendo verso la settimana corta, ma sono aziende che hanno enormi possibilità (il caso di Intesa San Paolo) o che utilizzano i sussidi del Fondo Nuove Competenze (il caso di TIM).
Per Sergio Alberto Cordella la settimana corta è il futuro, ma è necessario capire come poter agire.
Esistono 3 soluzioni:
- trovare accordi individuali (ma si tratterebbe di un part time e non di una innovazione, inoltre la soluzione individuale dovrebbe comunque rispettare la legge vigente);
- attuare un intervento legislativo;
- fare degli accordi sindacali.
Le ultime due soluzioni sarebbero più interessanti, ma occorre sottolineare che la legge 66/2003 sugli orari di lavoro è già un’ottima legge.
La settimana corta (integrabile con lo smart working) è stata accolta bene dai sindacati del comparto assicurativo, perchè in questo settore esiste già la mezza giornata lavorativa per il venerdì. Se gli istituti bancari assicurativi (che puntano senza dubbio al profitto) sono stati gli apripista di questa innovazione, evidentemente hanno notato una convenienza economica (lavorare meno guadagnando la stessa cifra presuppone chiaramente il rispetto degli obiettivi di produttività, che se non ottenuti possono causare la revoca sia della settimana corta che dello smart working).
Per Cordella quella di Intesa San Paolo è una scelta interessante, infatti l’accordo prevede 4 giorni lavorativi a settimana per 9 ore al giorno. Insomma con 1 ora in più di lavoro al giorno si riesce ad ottenere un giorno libero.
Luca Solari, che non concorda tecnicamente con la proposta di Landini, capisce però la preoccupazione del Segretario della CGIL di voler trovare un accordo per tutti.
Il punto del discorso di Solari è un tema assolutamente centrale: la convinzione che il salario debba pagare il numero di ore di lavoro va rivista in base all’intensità della prestazione lavorativa.
Il tema centrale è l’uso che si fa del tempo. Dobbiamo chiederci, sia per lo smart working che per la settimana corta, se il tempo che si passa in ufficio è davvero utile e sensato.
Per quanto riguarda la settimana corta Solari preferisce una soluzione aziendale, un accordo interno che rispetti le peculiarità di ogni azienda e dei suoi lavoratori.
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