Governo
Reddito di… qualunque cosa sia: grande è la confusione sotto il cielo
Intorno al reddito, definiamolo pubblico, per evitare una qualsiasi declinazione più precisa, esiste una grande confusione che non aiuta a definire in modo sufficientemente chiaro il “cos’è” e il “perché” sussiste la necessità di una sua introduzione. Andrebbe ricordato, prima di introdurre la questione, che l’economia non è una scienza esatta e, quindi, non potrà mai esistere una certezza assoluta sulle previsioni identificate e, di conseguenza, tutto può essere facilmente contestato e ribaltato. Ma come nota A. Atkinson nel suo libro dedicato alla disuguaglianza (Inequality), le contestazione che vengono generalmente fatte alla possibilità di predisporre di un reddito pubblico si scontrano con la realtà: i timori che caratterizzano le perplessità trovano nelle sue applicazioni reali meccanismi volti già ad attenuare in maniera considerevole quel che viene generalmente definito come “azzardo morale”. Tale questioni possono essere sintetizzate in:
-Il reddito viene elargito indifferentemente al motivo della disoccupazione.
-Non esiste correlazione con i contributi inerenti al passato impiego.
-Inibisce la possibilità di ricercare una nuova occupazione senza la possibilità di essere penalizzati.
-Nessuna relazione ad altre agevolazioni economiche o al livello del reddito famigliare.
…ma nella prassi tali questioni possono essere trattate facilmente:
-Il reddito viene elargito in caso di perdita di lavoro involontario.
-Il beneficiario deve dimostrare di aver avuto un impiego nel passato recente.
-Può essere richiesto la presenza di un contributo minimo lungo l’attuale carriera lavorativa.
-Dimostrare l’effettiva ricerca di lavoro (richiesta di iscrizione ai servizi per l’impiego) e accettare le proposte offerte.
-Il reddito verrebbe pagato per un tempo limitato.
Per chiarezza, Atkinson si riferisce ad un reddito di disoccupazione che sembrerebbe la declinazione che più si avvicina di all’impostazione proposta dal Governo. Ovviamente, risulta complicato entrare nel merito di un intricato sistema di relazioni indirette (più che dirette) che la presenza di un reddito pubblico può positivamente o negativamente stimolare. Ma ci si deve almeno provare.
Entrando nel tema, nelle discussioni quotidiane si sente paragonare la manovra con gli “80 €” di Renzi: qui sussiste una notevole differenza che non si limita all’ammontare dell'”assegno” elargito, ma bisogna soffermarsi sulla ricaduta sociale. Entrambe le manovre hanno l’obiettivo di dare un stimolo al consumo interno attraverso l’aumento della spesa di classi di reddito che risultano diverse. Se gli “80 €” si sono concentrati su una platea di reddito considerabile”medio-basso”, il reddito di inclusione, per quanto è possibile intuire ad oggi, si rivolge con una ammontare variabile, e a diverse condizioni, fino al raggiungimento di una soglia massima di 780 €. Pur risultando complicato paragonare la ricaduta economica di una manovra già attuata, e la conseguente analisi, lo è ancora di più se si considera una manovra ipotetica non ancora applicata. Nonostante tutto, qualche riflessione è sempre possibile farla:
-L’Italia è considerato un Paese di risparmiatori dove sussiste una bassa propensione alla spesa e una maggior propensione al risparmio. La scommessa, perché una manovra auspica una reazione prevista, come si è detto, punta ad aumentare la propensione alla spesa.
-Tenendo in considerazione questa propensione, gli “80 €” in più in busta paga per un reddito “medio-basso” sembrano essere finiti ad allargare un risparmio, almeno per la maggior parte della spesa pubblica sostenuta, per un evento futuro inatteso o alleggerendo semplicemente il regime della spesa corrente. Le ricadute degli “80 €”, in ogni caso, possono essere valutate su un più lungo termine rispetto i tempi ristretti in cui si è voluto dare una valutazione, ma risulta complicatissimo individuare la sua effettiva ricaduta nell’influenzare la capacità di spesa: se è esatta l’affermazione di un salvataggio per una spesa futura (prevista o no) bisognerebbe valutare se, in assenza degli “80 €”, gli agevolati avrebbero lo stesso sostenuto tale spesa (stringendo la corda) o, almeno, quanto della spesa sostenuta è stata stimolata da un reddito aggiunto, se pur basso, permettendo di spendere di più di quanto si sarebbe lo stesso speso. Quindi la ricaduta economica della manovra dipenderebbe più da necessita nel medio-lungo termine e nella scommessa di una spesa superiore a quella che si sarebbe speso nonostante la presenza degli “80 €”.
-Viceversa, il reddito di inclusione andrebbe ad incidere su una fascia di reddito bassa o (temporaneamente?) assente. Questa discriminante rispetto agli “80 €” rende plausibile una maggior probabilità di ricaduta dell’investimento fatto nell’aumentare la spesa individuale corrente in quanto il grado di necessità di spesa, se prima ipotizzato come di “spesa futura” o “imprevista”, qui si declina come spesa “ordinaria” e di “necessità”: si basa sulla pressante difficoltà di far quadrare i conti in presenza di un costo della vita che supera o eguaglia le risorse disponibili ad un individuo. In presenza di situazioni critiche, il denaro elargito, tenderà ad essere consumato sia in un’ottica di aumento della propria capacità di spesa effettiva che per accrescere lo stesso livello qualitativo della spesa stessa (mangiare meglio, invece che mangiare economico).
Ci sono altre questioni che sono entrate nel dibattito che sarebbe utile almeno citare, oltre ad altre che sarebbe meglio incominciare a rifletterci sopra:
-Una questione, non in ordine cronologico o di importanza, risulta essere lo scomputo ipotizzato per la casa in proprietà. Non dovrebbe destare scandalo se si considera che il costo di un affitto arriva a coprire anche il 60% della capacità di spesa mensile di una persona avente un reddito basso (ovviamente, questione diversa risulta essere una discorso diverso in una situazione di coniuge a carico o sostegno e presenza di figli) e che, quindi, il diverso trattamento tra alloggio in proprietà e alloggio in affitto è essenziale per determinare il reale importo in conseguenza delle necessità effettive da affrontare.
-Si è discusso in maniera confusa di quali sarebbero queste “spese etiche”. Facendo un passo indietro, una delle differenze tra un reddito universale e un reddito di inclusione è il grado di libertà (oltre che alle condizioni per accedere) di cui si può disporre della somma ricevuta. In attesa di un “paniere” che renda noto l’elenco di ciò che è ammissibile come spesa, è utile considerare il fatto che nel momento in cui le somme messe a disposizione sono ipotetiche, si basa su stime, e ristrette, non sufficienti per un reddito universale o più ampio, non devono in nessun modo essere sprecate: sostenere spese incongrue al sostenimento economico di fasce critiche e la non ricaduta sul mercato reale determina il raggiungimento dell’obiettivo. Quindi, il controllo delle spesa tramite l’ipotetica tessera risulta fondamentale per ottimizzare le relative poche risorse a disposizione ed efficiente sistema di monitoraggio dell’andamento della manovra. Si parla anche dell’impossibilità di accumulo, oltre che della messa da parte di parte del reddito, della quota mensilmente predisposta (atteggiamento radicale, ma coerente per la dimensione della coperta a disposizione e gli obiettivi preposti).
-Quando si parla di ottimizzazione della spesa, potrà essere opportuno inglobare una serie di sussidi già presenti e/o ottimizzare la sovrapposizione che si andrebbe inevitabilmente a creare. Ad oggi, non è ancora possibile capire a pieno come e quali risorse sono effettivamente state messe in campo. La questione andrà sicuramente tenuta a mente per il futuro in un processo di learning-by-doing.
-Il reddito di inclusione lega la sua efficacia ai servizi dell’impiego (e alla loro riorganizzazione) e alla presenza di sposti di lavoro disponibili in maniera più diffusa sul territorio. Se del primo si tratta di una questione manageriale, il secondo aspetto dovrebbe destare maggior preoccupazione. Può una maggior capacità di spesa delle fasce più basse rilanciare a tal punto i consumi da oliare una serie di ricadute di sistema in grado di aumentare i profitti di qualcuno che, a sua volta, aumenterà la sua spesa in nuovi occupanti o materiali? La scommessa sul moltiplicatore keynesiano può essere vinta in quali tempi e con quale effetto?
-Esistono anche una serie di effetti indiretti, quindi ipotizzabili ma difficilmente quantificabili, che la presenza di un reddito di inclusione potrebbe stimolare. Se si considera la quantità di spesa che una persona può o vuole raggiungere indirettamente proporzionale al grado di sicurezza economica percepita, la presenza si un materasso di caduta può aver l’effetto di abbassare il grado di insicurezza economica anche di chi non è attualmente in situazione di accesso al reddito, ma che rischia o sente di dover ricorrere nel breve periodo. Verrebbe a meno la necessità di predisporre un risparmio futuro, quando possibile, eccessivo e aumentare la propensione al consumo di quella quota che sarebbe stata destinata ad un risparmio di emergenza, più che di un risparmio con scadenza a lungo termine.
-Il reddito di inclusione può essere considerato anche come una compensazione dello scadimento del lavoro ora sostituito sempre di più dai robot (e quindi pagato meno che prima) e dalla conseguente lotta globale di collocazione geografica delle imprese/industrie ad alta intensità lavorativa che, per restare in determinati paese, richiedono un costo del lavoro più economico che, di conseguenza, intaccherebbe sia il salario che le tutele del lavoratore.
In questo breve resoconto si è cercato di mettere in luce quali sono, almeno dal mio punto di vista, le perplessità (scarsamente giustificanti) che stanno emergendo intorno alla questione di un reddito pubblico e di come queste possono essere ottemperate dalla prassi. Si è anche cercato di giustificare la necessità di una sua introduzione e di individuare quali potrebbero essere gli effetti positivi di una proposta che non può essere considerata come un mero sistema di puro assistenzialismo incondizionato e di come essa può ricadere in una logica più ampia. Gli inghippi e rallentamenti sono numerosi e notevoli, ma da qualche parte si deve incominciare.
P.S.: per uno studio più attento e dettagliato di ciò che riguarda l’istituzione di un reddito universale, si consiglia la lettura di Inequality di A. Atkinson in cui si predispone una proposta radicale e precisa di un sistema di ridistribuzione dei redditi contemplando non solo gli azzardi morali precedentemente illustrati, ma anche un’eredità universale e molto altro, il tutto in un sistema coerente ed efficiente di tassazione e benefici.
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