Lavoro

Perché lo statuto del lavoro autonomo ci piace, e perché ancora non ci basta

1 Febbraio 2016

Ci siamo, lo Statuto del lavoro autonomo giovedì è stato presentato al Consiglio dei Ministri.

Lo sappiamo, non affronta molti problemi importanti, come i contributi il cui aumento è stato sospeso ma non definitivamente escluso, la pensione, i compensi, il fisco, la disoccupazione, su cui naturalmente continueremo ad essere impegnati nel futuro.

Siamo tuttavia soddisfatti di questo DDL, che inizia a definire alcuni diritti di base ed è un riconoscimento al nostro impegno di oltre 10 anni lungo un percorso che ha avuto delle tappe fondamentali nella scrittura del Manifesto di Acta e poi delle diverse piattaforme, sino al jobs Acta, ma anche nella coalizione con le altre associazioni di freelance.

E’ un DDL che si stacca in maniera netta dall’impostazione del passato, perché si rivolge a tutto il lavoro professionale, senza distinzione tra chi ha un ordine oppure no, tra vere e finte partite Iva, tra mono e pluricommittenti.

Sono 12 gli articoli di interesse per il lavoro autonomo professionale. Una parte di essi è rivolta a tutti i professionisti autonomi. Le norme più rilevanti sono quelle che fissano in 30 giorni i tempi di pagamento (art.2), stabiliscono l’inefficacia  delle clausole vessatorie (ed è considerata tale anche una deroga all’art. 2 se i tempi di pagamento superano i 60 giorni), rendono interamente deducibili le spese di formazione e confermano l’accesso dei professionisti ai fondi europei.

Vi sono poi 4 articoli che interessano l’area del welfare e che si rivolgono solo ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS, perché le casse privare gestiscono in autonomia regole e prestazioni. Essi prevedono la non obbligatorietà dell’astensione dal lavoro per poter usufruire dell’indennità di maternità (analogamente a quanto già accade per le professioniste iscritte ad ordini), l’estensione dei congedi parentali, la sospensione dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi in caso di malattia grave o infortunio che impediscano lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre 60 giorni e, infine, l’equiparazione alla degenza ospedaliera dei periodi di degenza domiciliare dedicati a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche.

Sono tutte norme che rispondono a nostre specifiche richieste, che speriamo siano approvate rapidamente, ma allo stesso tempo auspichiamo che la discussione presso le Commissioni Parlamentari costituisca l’occasione per ampliare il perimetro d’azione del nuovo Statuto e per renderlo più efficace.

Nella lettura dello DDL si osservano infatti alcuni “buchi” o storture che riteniamo debbano essere corrette:

La norma volta a contrastare i ritardi nei tempi di pagamento si applica solo ai rapporti tra privati, ma non alla Pubblica Amministrazione, che pure notoriamente è uno dei committenti più ritardatari; Non è chiaro che cosa potrà garantire l’efficacia delle norme contro i ritardi nei pagamenti e contro le clausole vessatorie. Esistono già norme di questo tipo, ma sono inefficaci.

In una prima bozza dello Statuto compariva un articolo, ora sparito, che rinviava tutte le controversie al rito del lavoro, notoriamente molto più veloce. Perché questa norma è scomparsa? Come potrà a questo punto essere garantita l’applicazione effettiva di tali norme?
Accanto alla deducibilità delle spese di formazione è prevista anche la deducibilità delle spese sostenute per servizi di orientamento e altri servizi a sostegno dell’autoimprenditorialità, ma solo se erogati da soggetti accreditati. Non è giustificabile l’esistenza di un vincolo di accreditamento previsto per uno scambio sul mercato privato ed è pericoloso perché creerebbe un precedente.
La norma che equipara a degenza ospedaliera i periodi di degenza domiciliare dedicati a trattamenti terapeutici certificati vale solo per le malattie oncologiche, perché vengono escluse le altre malattie gravi che impediscono l’attività lavorativa per lunghi periodi?

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