Lavoro

Perché gli avvocati sono pagati sempre meno? Una soluzione c’è

20 Febbraio 2018

Sono circa 20 anni che la professione legale perde terreno anche sul piano della remunerazione delle prestazioni. È sicuramente una motivazione l’enorme numero di avvocati che si offrono sul mercato. Ma, se ci limitassimo a questo, dovremmo arrenderci alla ineluttabile legge del mercato: l’aumento dell’offerta abbassa il prezzo.

La domanda da farsi è invece questa: quanto e perché è pesato e pesa lo schiacciamento delle tariffe operato dai “grandi utenti” attraverso le convenzioni per l’attività seriale?

Dal 2000 in poi, anno in cui le banche hanno avviato il processo di “industrializzazione” delle attività di recupero crediti, le regole delle convenzioni con gli avvocati sono andate progressivamente peggiorando. La debacle ha avuto una forte accelerazione dopo la liberalizzazione di Bersani. Non tanto perché è passata la derogabilità delle tariffe, quanto perché il bastone del comando nella relazione con gli avvocati esterni è passato dai responsabili degli uffici legali (interessati al costo, ma anche alla qualità delle prestazioni) ai responsabili del budget aziendale, interessati esclusivamente alla contrazione dei costi.

All’inizio vi era un certo equilibrio tra l’interesse della banca a migliorare il rapporto costo/qualità e quello del legale ad avere flussi consistenti di lavoro e pagamenti tempestivi. I minori onorari erano compensati dagli ingenti  flussi che consentivano al legale di non impegnare energie e tempo nella ricerca del cliente e nella gestione degli incassi. Con il passare del tempo questo equilibrio è venuto meno: l’abbondanza dell’offerta ha favorito la riduzione convenzionale degli onorari aumentando la pretesa di prestazioni professionali aggiuntive, poco o nulla remunerate.

Il fenomeno, all’inizio poco esteso (solo le banche più efficienti avevano industrializzato le attività di recupero crediti), si è andato via via estendendo a tutto il settore bancario e poi a quello delle assicurazioni e delle multiutilities. Oggi nessun grande utente opera “intuitu personae” nella scelta e nella contrattazione con i legali convenzionati per attività seriale.

Le conseguenze sono il sistematico impoverimento degli studi, l’appesantirsi delle prestazioni richieste, ma anche un graduale peggioramento diffuso della qualità del servizio reso.

La situazione avrà un ulteriore aggravamento in prospettiva. I principali servicer italiani hanno organizzato i loro ” precettifici “. Da quel che si è capito sono uffici ,o addirittura vere  e proprie società, dove vengono prodotti in serie per grandi quantità gli atti iniziali delle procedure giudiziali (decreti ingiuntivi, precetti eccetera) che poi vengono sottoscritti (anche qui in serie ?) da un unico legale convenzionato a livello centrale. La pratica viene trasferita al legale sul territorio solo per le attività successive con il grave rischio che , non essendo la serialità e la massivita parenti strette di precisione ed accuratezza , i casi di errori da recuperare, se possibile,  nelle fasi successive siano un numero significativo che metterà a dura prova l impegno del legale incaricato a cui peraltro sarà stata sottratta preventivamente una quota significativa di onorario. Dobbiamo dare per scontato che chi  imposta procedure come queste non coltiva ostilità preconcetta nei confronti dei legali in generale, né che non abbia quel minimo di competenza per sapere che certe scelte possono produrre rischi operativi elevati e comunque confliggono con la qualità.

Allora perché queste scelte? Per venirne a capo bisogna guardare il fenomeno degli NPls (bancari e non) in termini complessivi.

Intanto le dimensioni. Nella nostra storia, complice anche la grande crisi partita nel 2008, non si è mai avuta una dimensione di crediti difficili come quella di questi ultimi otto anni. Solo gli intermediari creditizi e finanziari italiani hanno 350 miliardi di crediti deteriorati sui 1000 miliardi totali delle banche europee. Le controparti da aggredire sono circa 3 milioni. Le procedure concorsuali superano le 100.000 e le esecuzioni sono oltre 300.000.

Secondo aspetto. I debiti, da un paio di decenni, sono diventati merce. Questo comporta che vengano compra – venduti passando di mano, dagli operatori bancari ai fondi speculativi, operatori aggressivi che puntano alla celere ed economica liquidazione della merce acquistata, il credito. Non hanno alcun interesse a vincere le cause; debbono recuperare il più possibile nel tempo più breve possibile ed al costo più basso possibile. Avendo pagato al 10% crediti che valgono in banca il 40%, quando hanno portato a casa il doppio del prezzo hanno già guadagnato il 100%. Quanto può aggiungere in termini di valore l’attività legale, al netto del costo e del tempo? Di solito non molto.

Terzo aspetto. Le banche, afflitte dagli NPls e dai bassi tassi, non sono più profittevoli come erogatrici di credito. I dati 2017 ci dicono che le banche hanno guadagnato più dal trading che dai prestiti. Questo ne sta modificando le strategie, oggi essenzialmente concentrate sulla riduzione (rinvio) dei costi. Le perdite su crediti sono tra i costi principali delle banche ed e’ molto raro che una vittoria in causa contro un cattivo pagatore non comporti una perdita certa ,oltre ai costi legali e di giustizia. Nelle banche oggi più che mai pesano le decisioni di chi deve fare il bilancio e di chi è responsabile del budget dei costi, non quelle di chi gestisce il contenzioso. Tutti gli elementi rassegnati fanno capire perché l’attività legale è devalorizzata. Per definizione il legale è prima di tutto un fattore di costo e la sua opera di difesa del patrimonio aziendale del cliente è appunto di mera difesa, non produce valore aggiunto. E quand’anche lo producesse in prospettiva , questa sarebbe incerta a fronte di costi certi ed immediati. Ne consegue che, grazie anche all’eccedenza di offerta, tutti i grandi utenti puntano prima di tutto a ridurre i costi immediati e certi come appunto sono quelli legali.

Forse è venuto il momento di accettare lo stato di fatto, reagendo con intelligenza imprenditoriale piuttosto che lagnandosi per la perdita di un mondo che non tornerà più.

Le nuove frontiere della professione vanno ricercate nell’ambito di un fenomeno nuovo che si chiama iper-regolamentazione. Non sono mai state prodotte tante leggi, regolamenti , direttive eccetera come negli ultimi vent’anni in tutti i settori dell’economia e del sociale.

Questo fenomeno produce una potenziale grande domanda di consulenza legale come non è mai stato  prima. Eppure non sono molti gli studi che hanno imboccato questa strada, così come ben pochi avvocati hanno scelto il campo degli ” affari “, anch’esso in grande sviluppo grazie proprio alla crisi economica che ha prodotto un numero elevatissimo di opportunità dove la figura del legale e’ centrale per il buon esito.

La consulenza e gli affari hanno però bisogno del superamento di una caratteristica tipica dell’avvocato litigator, come sono in gran parte gli avvocati italiani: l’individualismo. L’individualismo non è un limite di per se, specie nella lite , dove l’avvocato deve convincere un terzo, il giudice, che il suo cliente ha ragione e la controparte torto.

Nella consulenza e negli affari, invece, i fattori di successo principali  sono “fare squadra ” (le reti legali sono la modalità più efficiente) e gestire il rapporto con la controparte in logica “win – win”. Reti ed intelligenza sociale sono il futuro sostenibile della professione, perché creano  effettivamente valore aggiunto per il cliente e potranno riportare in alto anche gli onorari.

 

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