Lavoro

“Perchè chiediamo ad Amazon e Google di non vendere i nostri software a Israele”

26 Gennaio 2024

Qualche settimana fa 972+ Magazine ha pubblicato un’inchiesta sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale da parte delle forze armate israeliane per generare obiettivi da colpire a Gaza, nella “fabbrica del massacro”, come viene definita nell’articolo scritto d un giornalista israeliano. Ma forse non tutti sanno che parte della tecnologia utilizzata da Israele contro la popolazione palestinese viene progettata dall’altra parte dell’Atlantico. Nel 2021 Amazon e Google hanno concluso un accordo congiunto per fornire servizi anche a uso anche militare a Israele, ma questo negli USA ha suscitato una reazione da parte dei lavoratori delle due aziende. La campagna No Tech for Apartheid, lanciata da oltre mille dipendenti di Amazon e di Google e sostenuta da organizzazioni di palestinesi ed ebrei americani che si battono con la guerra, chiede alle due società di non fornire tecnologia a chi viola i diritti umani. Sul sito della campagna tech worker e studenti palestinesi spiegano che esiste un’oppressione anche tecnologica: dagli sconti praticati da Amazon ai coloni israeliani in Cisgiordania, all’impossibilità di accedere a una rete telefonica veloce o di acquistare memoria aggiuntiva sul cloud di Google Drive se si risiede Gaza, fino ai numerosi episodi di censura sui social network. Con un programmatore Amazon e attivista di NTfA, che ci ha chiesto di restare anonimo, abbiamo parlato dell’attualità, ma anche dell’impatto delle “armi intelligenti” sulle guerre del futuro, di quanto pesa il militare sugli affari e sulla corporate philosophy nella Silicon Valley e, infine, del rapporto tra condizioni di lavoro, sindacalizzazione e libertà dei lavoratori di criticare le politiche aziendali.

Raccontami qualcosa della nascita di NtfA. Qual è il vostro obiettivo? Siete in contatto anche con colleghi all’estero?

Project Nimbus è un accordo congiunto con cui Amazon e Google si impegnano a fornire servizi cloud al governo e alle forze armate israeliane, incluse tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning. L’accordo è stato sottoscritto all’incirca nello stesso periodo dell’ultimo bombardamento su Gaza, prima dell’attuale genocidio, nel maggio 2021. Il nostro obiettivo è costringere Amazon e Google a rescindere quel contratto e, sì, abbiamo colleghi anche all’estero che ci sostengono e sono affiliati al nostro gruppo.

Avete riscontrato un certo grado di sensibilità tra i lavoratori del settore high-tech rispetto ai temi che sollevate? E le vostre aziende, invece, come hanno reagito?

Sì, c’è sensibilità, ma molti lavoratori del nostro settore temono di esprimersi per paura di ritorsioni, il che è assolutamente comprensibile. Abbiamo visto la collega Ariel Koren, vittima di ritorsioni mentre lavorava per Google (su internet potete trovare l’intera storia). Non ci è capitato di osservare reazioni altrettanto dure da parte di Amazon, ma la situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro.

Puoi darci un’idea del modo in cui aziende tecnologiche come Google e Amazon alimentano la violenza di Stato in Palestina?

I palestinesi nella West Bank e a Gaza vivono già rispettivamente sotto una brutale occupazione e un assedio militare, una situazione che precede il genocidio scatenato dal 7 ottobre. Le attività di sorveglianza rappresentano un’ampia parte dei metodi con cui Israele mette in atto l’occupazione e l’apartheid. Grazie ai servizi cloud forniti al regime di apartheid israeliano i palestinesi sono soggetti a sempre più ampie attività di sorveglianza e di raccolta dati e allo stesso tempo possono inasprirsi i furti di terre e la costruzione di insediamenti illegali nella West Bank. Ma l’aspetto più terribile è l’utilizzo crescente dell’intelligenza artificiale da parte delle forze armate israeliane. 972+ Magazine ha pubblicato un’inchiesta giornalistica le cui conclusioni sono che Israele sta utilizzando l’IA per generare obiettivi non militari da colpire a Gaza, ben sapendo che ciò provocherà la morte di civili e scegliendo di andare comunque avanti. È assolutamente necessario che Amazon e Google smettano di fornire tecnologia usata per commettere gravi crimini di guerra come questi.

Dopo gli ultimi attacchi israeliani a Gaza avete lanciato qualche iniziativa specifica?

Abbiamo lanciato alcuni appelli pubblici per aumentare i consensi alla nostra battaglia, che hanno fatto crescere rapidamente il numero dei nostri sostenitori. Il numero di città in cui organizziamo proteste è cresciuto e stiamo organizzando veglie funebri per ricordare le vittime. In Amazon abbiamo lanciato nuovamente una petizione per chiedere di uscire dal Project Nimbus, raccogliendo migliaia di firme tra i dipendenti. Ma stiamo preparando anche altre iniziative.

Prima hai citato l’inchiesta di 972+ Magazine. Cosa dobbiamo aspettarci dai futuri sviluppi delle “armi intelligenti” e come possiamo creare una consapevolezza diffusa della minaccia che esse costituiscono?

Il futuro della guerra è in larga misura legato all’IA. L’inchiesta di 972+ Magazine è clamorosa ed è deprimente osservare come la forze di occupazione israeliane generino obiettivi non militari da colpire. La situazione non farà altro che peggiorare man mano che l’IA si svilupperà diventando più intelligente di quanto non sia ora. Temo che perderemo l’elemento umano, che un calcolatore continuerà a dire alla gente di colpire e il fattore umano, quello che permette di prendere atto che potresti uccidere la madre, il padre, il fratello, il cugino o il figlio di qualcuno e di fermarsi, si perderà completamente. Se non mostriamo cautela con l’ascesa dell’IA la guerra può diventare persino più raccapricciante di qualunque altra guerra vista in passato. E questo a Gaza è sotto i nostri occhi. Il modo migliore per diffondere questa consapevolezza è avere bravi reporter come voi che fate queste domande e le condividete coi vostri lettori.

In un lavoro pubblicato nel 2022, intitolato MappiAmazon. Logistica e strategia, la campagna d’Italia di Amazon in una mappa, si argomenta che il coinvolgimento di Amazon nel mercato della difesa rappresenta l’altra faccia della militarizzazione della sua forza-lavoro: una specie di modello aziendal-militare. Cosa ne pensi? E, se sei d’accordo, secondo te è un tratto esclusivo di Amazon o vale anche per Google e altre tech companies?

Capisco perché si è arrivati a questa conclusione e in qualche misura la condivido, ma non del tutto. Amazon si occupa praticamente di tutto ciò che è immaginabile. Non penso che si stia concentrando sul militare più che su altri mercati. Penso che si stia rivolgendo all’industria militare come a uno dei tanti business in cui è possibile entrare e che cerchi di sottrarre ad altri quote di mercato. Project Nimbus rientra in questo campo, per cui direi che, in questo senso, lo stesso ragionamento vale anche per Google. Ma anche per altre aziende, certo, ad esempio il JEDI Project di Microsoft, che viene nominato nel lavoro che hai citato.

Pensi che sia corretto collegare il tema dell’utilizzo delle tecnologie che producete a quello delle condizioni di lavoro nelle vostre aziende? In altre parole, meno diritti hanno i lavoratori, meno saranno in grado di criticare le politiche dei loro datori di lavoro. Avete relazioni con sindacati e organizzazioni di lavoratori negli USA e all’estero?

Sì, pensiamo che sia un collegamento utile e qualcosa abbiamo già tentato di fare in questo capo. Ad esempio abbiamo dei legami con Amazon Labor Union [il sindacato fondato da Chris Smalls, che l’anno scorso è riuscito a ottenere il riconoscimento nel magazzino JFK8 di Staten island, New York]. Non mi risultano rapporti, invece, con altri sindacati all’estero.

Vuoi fare un appello ai lavoratori italiani?

Certamente! Ci piacerebbe molto entrare in contatto con lavoratori italiani del nostro settore, vederli aderire alla nostra campagna e sostenerli con tutti i mezzi a nostra disposizione. Qualunque siano le tecnologie che produciamo i tech worker di tutto il mondo non vogliono contribuire alla violazione dei diritti umani di altre persone.

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