Lavoro
Per un’inchiesta sul “Lavoro a Milano nel 2015”
Fermi tutti, sappiamo che il termine “inchiesta” induce sbadigli ma un po’ di pazienza.
Digressione: l’Expo milanese del 1906 passò alla storia come l’Esposizione dei trasporti e comunicazioni, ma in realtà contemplava un altro tema: la “previdenza”. Previdenza è il termine con cui allora si indicava, diremmo oggi, il welfare o, in senso lato, l’economia sociale.
Società Umanitaria, sindacati e cooperazione, dedicarono un intero padiglione al tema raccogliendo statistiche, scienza allora agli albori, esperienze e buone pratiche. Alla fine della Fiera, si tenne a Milano il primo congresso mondiale sulla disoccupazione che richiamò tutti i riformatori politici sociali e culturali dell’epoca, dando avvio a una grande inchiesta sul tema, allora quasi sconosciuto.
Fine della storia.
Alcune settimane fa presentando un libro sul tema, alla società Umanitaria di Milano, è scaturita un’idea che ritengo utile rilanciare e contribuire a profilare.
È opportunisticamente intangibile il dibattito sul lavoro nel nostro Paese. Una cortina fumogena che nasconde retropensieri e preconcetti, quando non politiche inevitabili, perché imposte da altrove.
L’attacco ai sindacati con la motivazione della loro incapacità di comprendere e rappresentare il “nuovo”, appare troppo spesso mosso da motivazioni di per se tutt’altro che “nuove” e non certamente fondate sulla realtà attuale. Il “lavoro” in questi anni si è trasformato e mentre ne parliamo si sta trasformando davanti ai nostri occhi a una tale velocità che fatichiamo a comprenderne perfino i confini, figuriamoci i contenuti.
Milano, da questo punto di vista, è come nel 1906 una specie di avamposto del cambiamento nel Paese, dove tutti i processi avvengono contemporaneamente risultando per questo più contradditori e avvincenti. Per il territorio allargato della “Grande Milano”, non esistono nemmeno numeri integrati.
Diciamo la verità, chi dice in proposito di avere certezze, su cui fondare assoluto ottimismo o robusto pessimismo, non sa di che parla; è tutto troppo nuovo e ingarbugliato e, da ogni punto di vista lo si guardi, si osserva un oggetto differente e cangiante. Lo sa bene chi ci vive dentro, figuriamoci chi cerca di rappresentare tutto questo o, addirittura, di elaborare politiche settoriali.
Oggi, quasi nel 2015, al riguardo, quel che non è obsoleto è un esperimento.
Ecco la proposta, pragmatismo ambrosiano, per non procedere al buio e tentare di illuminare la strada evitando di dare schiaffi al vento.
Un’inchiesta, che duri un anno e che termini con Expo; associazioni d’imprese e sindacati, professionisti, Università, centri studi, centri per l’impiego, tutti quelli che hanno dei dati li riversino sul tavolo, dopo avere condiviso una cornice di senso al problema che intendiamo comprendere.
Le statistiche servono, ma non bastano. La formazione è cambiata, l’occupazione e la disoccupazione sono trasformate, la frammentazione regna sovrana e non basta misurare, occorre comprendere, non basta la quantità, occorre la qualità.
Da dove arriva, come e dove lavora, come vive un lavoratore del 2015. Start up, coworking, makers operai, precari, lavoratori della conoscenza, disoccupati, donne, uomini, giovani, nuovi italiani.
Scattiamo una fotografia del “Lavoro a Milano nel 2015”, in questo senso ampio e quali quantitativo, delineiamo il fenomeno in un modo che possa essere condiviso e compreso, fissiamolo per il presente e per il futuro.
Poi, dopo, ricominciamo a litigare sull’articolo 18, se ne abbiamo il coraggio.
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