Lavoro
Per il Jobs Act i professionisti restano precari e poveri di serie B
Al ‘mercato’ dei diritti allestito da Matteo Renzi i professionisti stanno a guardare ancora una volta gli scaffali vuoti. Sorridono (finalmente) l’impiegato e l’operaio che, prima della riforma, dovevano dimostrare con le unghie al giudice di fare un lavoro da dipendente mascherato da collaborazione. Ora, col jobs act, a certe condizioni di legge, varrà la presunzione che quell’operaio abbia un rapporto di subordinazione e il magistrato si limiterà a fare da garante di questa realtà, a certificarlo. Varrà per l’operaio, per il pony express, per il barista, per tutti tranne che per una nicchia. Tra gli esclusi la categoria più numerosa sono i lavoratori che svolgono “una professione intellettuale per la quale sia necessaria l’iscrizione all’albo”. L’esclusione, quindi, non vale di per sé per tutti gli iscritti agli ordini, ma per quanti svolgono la professione per la quale l’iscrizione all’ordine è indispensabile.
In generale, l’articolo 47 del decreto attuativo prevede di ricondurre al lavoro subordinato solo una parte delle collaborazioni, quelle che “si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro”. Restano fuori le prestazioni in cui il prestatore può decidere, concretamente e in fatto, non solo in termini contrattuali, tempi e luoghi della prestazione di lavoro.
Architetti, giornalisti, geologi, psicologi, ingegneri, che svolgono lavori per i quali l’iscrizione all’albo è indispensabile – cioè che tipicamente lavorano in studi professionali o aziende che si avvalgono di profesisonalità ordinistiche – continueranno a dover convincere il giudice che il loro contratto di collaborazione nasconda una realtà da dipendenti con annessi ferie, malattia, tredicesima e altri diritti. Certo, anche se riconosciuti sarebbero diritti molto fragili vista la facilità di licenziare imposta dalla riforma Renzi. Qui però interessa capire le ragioni della ‘diversità’ degli intellettuali ingabbiati nell’istituzione medioevale e molto italiana degli albi, spesso castelli di privilegi inespugnabili.
Perché sono considerati degli ‘alieni’? Non vale nemmeno più la considerazione sui loro redditi che erano un differenziale positivo, per i professionisti, in un passato ormai remoto. Tutti i dati registrati negli ultimi anni, per tutte le categorie in questione, rivelano infatti una proletarizzazione di categorie che, appena pochi decenni fa, erano iscritte “di diritto” alle fasce più agiate della popolazione. L’esplosione dei numeri degli iscritti, e il calo drastico di opportunità, accelerato dalla crisi, ha definitivamente invertito questa tendenza, e tutte le statistiche rivelano una realtà assai diversa: i redditi dei profesisonisti under quaranta, in particolare, rivelano un mix impressionante di povertà e precarietà.
“I professionisti sono storicamente alieni – spiega l’avvocato del lavoro Angela Iascone – in quanto si presume che se sei iscritto a un albo godi di un’elevata professionalità e quindi hai più committenti che ti chiedono prestazioni. Anzi, il legislatore pensa di farti un favore non obbligandoti ad avere un rapporto di fedeltà con un solo datore, come deve avvenire in una subordinazione”.
Il legislatore a cosa pensa quando pensa? Forse all’epoca felice quando fare il giornalista o l’architetto significava decidere a chi concedere la penna o la fantasia tra mille spasimanti.
Oggi di ‘principi azzurri’ interessati alle virtù dei professionisti ce ne sono ben pochi. E se i lavoratori ne trovano uno magari vorrebbero pure sposarselo con tutti i crismi. Invece moltitudini di co.co.co. (tipologia limitata anni fa a favore dei co.co.pro. ma non per queste figure) e partite Iva (ignorate dal decreto) vivono una condizione da concubini, maltrattati al limite della dignità non solo nella retribuzione, ma anche nei loro diritti fondamentali. Su www.archleaks.it, uno dei siti più cliccati dagli architetti che raccoglie segnalazioni anonime, non c’è uno studio che sia premiato per l’equità dei compensi. “Oltre la pizza gratis la sera, c’è anche il taxi pagato oltre le 24”, scrivono dagli uffici di uno dei più importanti designer milanesi. “La molteplicità dei committenti non può esserci – ragiona lo psicoterapeuta Giuseppe Napoli – quando si richiede una presenza oraria a tempo pieno e alcuni vietano anche altre collaborazioni, soprattutto ai colleghi più giovani e inesperti”.
Sintetizza l’avvocato Iascone: “La verità è che in tanti anni da legale non ho mai visto una collaborazione vera. In Italia anche se ti danno zero euro pretendono che tu lavori come se fossi un dipendente”. C’è anche chi ritiene che il jobs act cambi poco i destini, come l’avvocato del lavoro Mauro Tagliabue: “Apparentemente sarà più semplice dimostrare di essere dei collaboratori fittizi, ma i requisiti previsti dal jobs act sono già applicati da molti giudici. Quel piccolo vantaggio legato all’onere della prova del lavoratore comunque non si applicherà agli iscritti agli albi. Senza contare che il ‘nuovo‘ lavoro subordinato ha molte meno tutele del procedente”.
Tra chi presta attività intellettuale ed è iscritto agli albi ci sono anche sono avvocati e notai. La loro è una condizione particolare perché non possono avere un rapporto dipendente a meno che non rinuncino a fare gli avvocati o i notai. Eppure, assicura Mirella Mallardi, aspirante notaia, “forse sarebbe ora di cambiare questa situazione. Ho degli amici che in questi mesi hanno riconsegnato i sigilli conquistati dopo anni di studi, preferiscono fare i dipendenti in uno studio notarile che mantenere la qualifica di notaio con la crisi immobiliare in corso e le difficoltà economiche ad aprire uno studio”.
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