Lavoro

Partite Iva, il nuovo proletariato italiano è ancora in cerca di autore

21 Marzo 2016

Meno partite Iva nel 2015. Rispetto al 2014, meno giovani (-25%), ma più over 50enni (+ 2,7%) hanno scelto di aprirne una lo scorso anno, con un boom fra gli over 65enni (+17,7%). Situazione che, in parte, racconta il 2015 delle partite Iva. A quelle cifre bisogna aggiungere una legge (il Jobs Act), un disegno di legge (sul lavoro autonomo), e delle facce, o quanto meno dei nomi, per provare a spiegare cosa è accaduto in quel mondo negli ultimi mesi.

Partiamo dai numeri. Secondo l’ultima indagine Istat, nel 2015 è aumentato il lavoro dipendente (+207mila unità), che nella metà dei casi riguarda il tempo indeterminato. E sono diminuiti gli indipendenti (-22mila). Quali fattori hanno portato a questa situazione? Almeno due: il Jobs Act e gli sgravi contributivi per le aziende che hanno deciso di assumere. Spiegava a febbraio Raffaello Lupi, professore di diritto tributario all’Università Tor Vergata di Roma: “I beneficiari del Jobs Act sono stati i lavoratori a partita Iva monocliente. Lo scorso anno il lavoro dipendente a tempo indeterminato per le aziende è diventato più conveniente delle partite Iva, grazie ai contributi fiscali di cui hanno usufruito. Ma quest’anno gli sgravi sono minori e comunque bisognerà vedere cosa accadrà quando termineranno”. Forse non servirà aspettare tanto. Già a gennaio 2016 la fotografia scattata risulta diversa rispetto al 2015: dai dati dell’Osservatorio del precariato dell’Inps emerge una drastica riduzione delle nuove assunzioni stabili, riduzione che sfiora il 40%, se confrontata con lo stesso mese dello scorso anno. Segno che gli sgravi contributivi hanno avuto un peso maggiore rispetto al Jobs Act nella decisione delle aziende di assumere stabilmente un lavoratore, considerato che fino al termine del 2015 quegli sgravi erano pari al 100% per tre anni, ora sono ridotti al 40% e solo per due anni.  Vi è però, con tutta probabilità, un altro aspetto che può spiegare il calo delle partite Iva nel 2015 e riguarda la crisi: molti lavoratori fanno sempre più fatica a guadagnare (almeno) quanto serve per vivere. E allora la strada non resta che quella della chiusura. Basta ascoltare le storie di qualcuno di loro per capirne i problemi. Problemi che hanno come prima e diretta conseguenza un guadagno molto basso.

Tanto che non è stato semplice trovare qualcuno disposto a raccontarsi. Il motivo è proprio legato allo scarso profitto. “Nel mio settore – racconta Isabella, avvocato a partita Iva – si ha il timore di dire quanto si fattura. Perché si pensa che se viene reso noto il guadagno basso i potenziali clienti (che ignorano la situazione delle partite Iva) possano credere di aver a che fare con un incapace. In realtà non è così, è proprio la situazione che è cambiata rispetto al passato”. Isabella lavora in una stanza di un ufficio, il cui affitto è condiviso con un altro legale e un commercialista, che occupano altri due spazi autonomi. “Per riuscire a sopravvivere, uno dei passi obbligatori è abbattere le spese, condividendole, da quella della banca dati, che serve per vedere le sentenze, alla fotocopiatrice. Siamo in una specie di co-working fai da te”. Isabella ora ha una partita Iva ordinaria, non usufruisce più del vecchio regime dei minimi (che è stato sostituito da un regime al 15% senza limiti di tempo, mentre quello precedente, al 5%, poteva essere mantenuto per i primi cinque anni di attività), che aveva alcuni vantaggi, uno fra tutti, l’esenzione dall’Iva. Ora l’avvocatessa ha quell’imposta da pagare, i versamenti alla cassa forense (4% del totale fatturato, a cui si aggiunge un minimo di 3500 euro annui), l’imposta statale e le spese vive. “A fine anno resta poco in tasca. Io per fortuna non ho un affitto o un mutuo, in caso diverso non so come avrei fatto”. Antonio, giornalista, lavora per la Rai e collabora con altre 4 diverse testate: ha aperto la partita Iva nel 2011, usufruisce, ancora per quest’anno, del cosiddetto regime di vantaggio. “Se ora guadagno 100, per mantenere lo stesso netto, anche con il regime ordinario, in cui entrerò a breve, dovrei guadagnare almeno 150. Ma mi è impossibile, se voglio mantenere la qualità del mio lavoro. Già così di fatto sono impegnato professionalmente tutto il giorno, fare di più e farlo bene è impossibile”.

Accanto a chi ha da anni una partita Iva, nel 2015 si sono aggiunte altre 516mila persone: tanti sono coloro che l’anno scorso hanno deciso di aprirne una, secondo i dati dell’Osservatorio del dipartimento delle Finanze. Il numero totale è del 10,7% inferiore a quello dell’anno precedente. Uno dei motivi di questo calo è stata la corsa, avvenuta alla fine del 2014, ad accaparrarsi il cosiddetto regime “di vantaggio”, che inizialmente sarebbe dovuto restare in vigore fino al 31 dicembre 2014, poi è stato prorogato per un altro anno (contestualmente, dal 1 gennaio 2015 è partito il nuovo regime forfettario, agevolato). A gennaio però si è registrato un incremento, del 13,8% rispetto a gennaio 2015 (circa 67mila le nuove aperture), determinato, come spiega lo stesso dipartimento, “dalle maggiori adesioni al regime agevolato, incentivate dalle modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2016”.
Rimanendo fermi al 2015, per quanto riguarda la suddivisione territoriale, tutte le regioni mostrano il segno “meno”,  (dal -17,9% della Provincia autonoma di Bolzano al -2,6% della Puglia), fatta accezione per la Calabria (+1,1%). La Lombardia si conferma la regione dove si registra il maggior numero di aperture (79mila), seguono il Lazio (60mila) e la Campania (54mila). Sul fronte anagrafico, gli under 35 sono il gruppo più numeroso, ma il confronto con l’anno precedente mostra una flessione per le classi più giovani (-25%) e per la fascia 36-50enni (-9,7%) ed un aumento per i 51 – 65enni (+2,7%) e gli over 65 (+17,7) “Questo andamento – sottolinea il dipartimento delle Finanze – è spiegato dalla concentrazione di nuove aperture da parte di giovani osservate a dicembre 2014, per l’adesione al regime di vantaggio”. Con tutta probabilità, le maggiori aperture, rispetto al passato, degli over 50enni, si spiegano in parte con la crisi che ha portato alla perdita del lavoro dipendente. Il commercio è il settore produttivo che continua a registrare il maggior numero di aperture (il 23% del totale), seguito dalle attività professionali e dall’agricoltura.

Questo il recente passato. Il presente e il futuro delle partite Iva ha a che fare con un disegno di legge, quello sul lavoro autonomo, presentato a inizio anno dal governo. Che sancisce alcune novità. Innanzi tutto l’impianto alla base di quel provvedimento. “Finalmente – spiega Anna Soru, presidente di Acta, associazione dei freelance – in quel testo si fa riferimento a tutto il lavoro autonomo professionale  (senza distinzione fra appartenenti o meno a un ordine professionale), evidenziando così la differenza rispetto alle imprese”. Entrando più nel dettaglio del provvedimento, fra le nuove misure vi sono il diritto di usufruire dell’indennità di maternità per cinque mesi senza più l’obbligo di astensione obbligatoria dal lavoro e la possibilità di sospendere il pagamento dei contributi, in caso di malattia grave. Nel testo viene inoltre inserita la possibilità di dedurre le spese di formazione fino a 10mila euro l’anno e quelle di orientamento all’autoimpiego, ma solo se svolte in enti accreditati. Soru sottolinea i punti di forza (“positiva la parte sulla maternità e sulla deducibilità dei costi per la formazione”), ma anche quelli mancanti. Fra questi ultimi, “è scomparso un articolo, inizialmente previsto, che prevedeva il ricorso al rito del lavoro, in caso di controversie. Solitamente il rito del lavoro è più veloce e quell’articolo ci piaceva molto anche per il suo valore simbolico, perché ci considerava a pieno titolo come lavoratori”. Su quello e su altri aspetti, Acta si farà sentire durante l’iter parlamentare del disegno di legge: “Speriamo di poter cambiare qualche punto, ma speriamo anche che il disegno di legge venga approvato. Poi vorremmo ci fosse un intervento più ampio sul regime fiscale”. Quella, però, sarà un’altra partita.

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