Lavoro
Nonostante tutto, buon Primo Maggio
Ogni anno, alla vigilia del Primo Maggio, mi chiedo che senso abbia celebrarlo, almeno dal punto di vista personale si intende. Non oso mettere in dubbio il fatto che la data debba sempre essere cerchiata in rosso. Mi domando, però, come si deve parlare della Festa dei Lavoratori, nell’epoca in cui – ormai è un dato di fatto – il mondo del lavoro è un qualcos’altro rispetto al principio-guida dell’istituzione della festa.
Le professioni sono cambiate, gli orari sono cambiati, i luoghi di lavoro sono cambiati. C’è la variegata galassia degli “atipici”, che in realtà oggi sembrano molto tipici. Quasi il lavoratore medio, direi. Spesso queste persone, lavoratori cosiddetti atipici, lavorano a “orario straordinario continuo” (tipo 12 ore in un giorno), ma senza avere la paga dello straordinario. Perché manco hanno una busta paga.
E allora qual è il senso del Primo Maggio, il giorno dopo i nuovi dati sulla disoccupazione che confermano quanto sia grave la situazione e quanto le reazioni giubilanti sul Jobs Act siano stati infantili e pretestuose? Preferisco tener fuori la polemica politica, giusto per oggi, da un tema così vasto come quello del lavoro che cambia. Allora torno al punto di partenza: come faccio a festeggiare i lavoratori, a chiedere i diritti se quel lavoro è ormai fuori dagli schemi in cui sono stati pensati i diritti?
Ma, alla fine, nonostante tutto mi sento di augurare un buon Primo Maggio a tutti. Perché credo che la risposta al quesito ci sia. Non per semplice rispetto della tradizione e né tantomeno per un assalto di nostalgia. Il Primo Maggio è un simbolo, che non significa la reiterazione di un rituale sterile. I simboli hanno un valore culturale che non va sminuito. In questo caso si tratta di un giorno che illumina quell’angolo di problema, che in Italia è Il Problema: il lavoro. Con la promessa di non limitarci a un solo giorno celebrativo come avviene spesso con gli anniversari.
Auguro quindi un buon Primo Maggio a chi comunque, con il coraggio inconsapevole della quotidianità, affronta le sfide di una contemporaneità, di per sé complessa, e che in Italia diventa indecifrabili per le disfunzioni incancrenite che la storia del Paese si trascina. In maniera quasi irrimediabile.
In parole più semplici auguro un buon Primo Maggio a tutti: occupati a tempo indeterminato, disoccupati spero a tempo limitato, false Partite Iva e vere Partite Iva, consulenti che lavorano come lavoratori subordinati, e consulenti che sono davvero tali. Auguro un buon Primo Maggio a tutti, tranne che ai privilegiati. Va bene il buonismo della festa, ma voglio risparmiarmi gli auguri a chi conserva privilegi e sbeffeggia gli altri che non ne hanno con sentenze populiste. Almeno, da loro, mi aspetterei l’ammissione di essere privilegiati.
Infine, con un po’ di autoreferenzialità, auguro in particolare un buon Primo Maggio ai freelance, non solo dell’informazione, che a vario titolo sono rientrati nel corso di questo articolo. E che però meritano una menzione stentorea. Hanno abbracciato una missione: fare il proprio lavoro al meglio, rinunciando a tante cose, di sicuro nell’immediato e spero di meno per il futuro. Cose che si chiamano famiglia, stabilità, serenità. Tutto in nome di quella missione che in fondo potrebbe rendere l’Italia un Paese migliore. Non per loro stessi, ma per le prossime generazioni.
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