Lavoro

NON FACCIAMO LA GUERRA TRA POVERI IN UNIVERSITA’

7 Novembre 2014

Quando nel dicembre 2010 leggevo stralci della Legge Gelmini, che intendeva riformare la governance e il reclutamento in università introducendo criteri meritocratici, una formula mi colpì: senza alcun onere aggiuntivo. Questa precisazione ricorreva quasi ad ogni capoverso:  qualcosa  non quadrava.

Sono una microeconomista e la teoria dei contratti ci insegna che se si vogliono dare incentivi alle persone per fare meglio, per fare di più di quello che già stanno facendo, devono essere pagate di più. Ci deve essere un cuneo tra quello che si ottiene impegnandosi e quello che si ottiene “battendo la fiacca”. Poiché nel pubblico impiego non si può pagare di meno qualcuno, era ovvio che questo cuneo avrebbe dovuto essere di segno positivo, e quindi oneroso per l’amministrazione. Purtroppo però la riforma dell’università non è solo frutto di grandi visioni ma anche di semplici calcoli di bottega. Ogni anno  la legge di stabilità toglie risorse al già boccheggiante e (ammettiamolo) un po’ irrazionale sistema universitario italiano attraverso cospicui tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario (la principale fonte di entrata per i bilanci delle università pubbliche). A questo si aggiunge il blocco del turnover  che impedisce la sostituzione dei docenti che vanno in pensione.

La riforma Gelmini ha eliminato la figura del Ricercatore Universitario (a tempo indeterminato) per introdurre qualcosa che doveva assomigliare alla “tenure track” delle università anglosassoni. Un giovane studioso poteva diventare ricercatore a Tempo Determinato (tipoB), lavorare per tre anni, e alla fine del triennio diventare membro permanente del corpo docente della sua università solo dopo avere superato una valutazione di quanto realizzato in questi primi tre anni, attraverso la cosiddetta Abilitazione Scientifica Nazionale. Ho semplificato alcuni passaggi, ma sostanzialmente un giovane brillante sapeva (in teoria) di avere davanti uno sbocco certo se la sua attività di ricerca (e didattica) fosse stata valutata in maniera positiva dall’ateneo e dalla commissione nazionale composta da docenti del suo settore di ricerca. Per l’università l’alternativa era assumere un ricercatore a Tempo Determinato di tipo A, con un contratto di soli 5 anni  e senza nessuna prospettiva semi-sicura di progredire nella carriera accademica, il solito lavoro precario. Ma questa seconda figura era più leggera per i bilanci universitari di circa il 30% rispetto a un ricercatore di tipo B.

È facile immaginare che in periodi di vacche magre pochi atenei abbiano deciso di investire risorse in contratti da ricercatore di tipo B. Il ministro Profumo tentò di rimediare a questo squilibrio imponendo che per ogni nuovo professore ordinario si bandisse un posto da ricercatore di tipo B. La legge di stabilità del governo Renzi ha intenzione di lasciare di nuovo libertà agli atenei di scegliere.

Da più parti questa concessione alle (pare) forti pressioni della CRUI è stata vista come la sentenza definitiva contro la tenure track all’italiana e una resa davanti al precariato permanente in università. Ma perché i rettori dovrebbero essere contro l’assunzione di ricercatori di tipo B? “Nulla di personale” si potrebbe dire, semplicemente si vuole maggior autonomia per utilizzare le scarse risorse in termini di punti organico. Maggior autonomia che frequentemente verrà utilizzata per promuovere i vecchi Ricercatori Universitari che hanno ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale a Professore Associato dopo anni e anni di blocco dei concorsi. La promozione costa molto meno rispetto al reclutamento di una nuova figura: con la spesa necessaria per un ricercatore di tipo B si promuovono tre “vecchi” ricercatori e mezzo. A volte queste promozioni possono essere immeritate, ma in molte altre circostanze chi ne beneficerà sono ricercatori che non hanno avuto accesso a concorsi per 5 anni e che hanno curriculum vitae migliori di molti professori. Ricercatori, che spesso lavorano come e più degli ordinari pur essendo pagati molto meno.

Il panorama è desolante, l’Università non è chiaramente una delle priorità dei nostri governi da parecchi anni, ma per favore non incominciamo una guerra tra poveri che non giova a nessuno. Piuttosto chiediamo insieme che non ci vengano lasciati sempre e solo gli spicci.

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