Governo
Nemmeno più la vittoria di un concorso pubblico garantisce il posto di lavoro
Immaginate di tagliare il traguardo del leggendario posto fisso e subire la beffa dell’organizzatore della gara che dice: «Devi pazientare». Superato lo sgomento iniziale, giusto un attimo dopo quell’espressione facciale di incredulità, la prima domanda che viene da porre è: «Ma come è possibile bandire un concorso senza poi permettere l’assunzione?». Un quesito più che legittimo che si stanno ponendo oltre 80mila “idonei non vincitori”, ossia la schiera di potenziali lavoratori statali che non ha vinto, ma ha comunque superato il concorso pubblico.
Per semplificare il concetto si tratta di persone che meriterebbero “sul campo” il posto e che invece devono attendere lo sblocco delle assunzioni, con il rischio che le graduatorie decadano, facendo bandire altri concorsi in un gorgo di incertezze e frustrazioni. Un guazzabuglio da commedia all’italiana, con un’aggravante tutt’altro che secondaria: non si tratta di una pellicola cinematografica, bensì di un fatto reale che rende incerto, alias precario, il futuro di quasi centomila italiani. Si può anche essere arrabbiati contro i dipendenti pubblici, con le varie argomentazioni “anti statali”, ma non è possibile eludere la questione per un motivo ideologico. E resta il fatto che nel marasma delle notizie quotidiane un problema del genere finisce in secondo piano, perché – si sa – i problemi sociali non fanno audience.
Per questo motivo il Comitato 27 ottobre – impegnato sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul caso – ha annunciato una mobilitazione nella giornata di mercoledì 11 febbraio. Peraltro la legga di Stabilità ha complicato il quadro, depotenziando gli effetti della precedente normativa (legge D’Alia) che teneva in conto la questione degli “idonei non vincitori”. Al di là delle sacrosante iniziative pubbliche, è necessaria una riflessione e anche un intervento concreto, in un Paese che parla di «ripartenza», «cambiamento» e «ripresa». Parole che risuonano vuote, senza un’accelerazione nel “mondo reale”.
Una politica seria e rigorosa dovrebbe occuparsi con certosina attenzione di questi casi che riguardano una “minoranza” ma che pure attengono alla vita quotidiana di migliaia di cittadini italiani. Perciò ministra Madia batta un colpo, in quanto parliamo di persone che sognano quel posto di lavoro per un motivo semplice, quasi “monotono” direbbe Mario Monti: poter progettare il futuro (una locuzione che mette quasi i brividi nell’Italia di oggi), magari dando anche uno stimolo all’economia molto più degli 80 euro in busta paga. Dalle parti di Palazzo Chigi e dintorni si dirà: non è colpa nostra se ci sono stati eccessi nel passato. Giusto, anzi giustissimo. Ma se bisogna cambiare verso, occorre pure un impegno strutturale e soprattutto una maggiore attenzione a non bandire altri concorsi fino a che non ci sarà davvero bisogno. Altrimenti diventa una colossale presa in giro.
Poi, alla fine della fiera, sarebbe utile fermarsi per un attimo per pensare a quanto possa essere pesante quella sensazione di sospensione di un posto di lavoro “potenziale”. Ma che non c’è e addirittura potrebbe non esserci mai.
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