Lavoro
Mauro F. Guillén: Tre carriere in una vita
C’erano una volta le generazioni, quella arbitraria suddivisione della vita umana in quattro grandi fasce di età – infanzia, giovinezza, età adulta e vecchiaia – alle quali corrispondevano altrettante attività – gioco, apprendimento, lavoro e riposo. Ci siamo abituati a tal punto a vite cadenzate in questo modo che siamo arrivati a confondere un artificio con un fatto naturale. Mauro Guillén, considerato tra i più originali e innovativi intellettuali sui temi dell’organizzazione del lavoro, mostra come il modello sequenziale della vita debba oggi essere scardinato per consentire una diversa organizzazione del lavoro, del mercato e in generale della società. Pubblichiamo un estratto dal suo ultimo saggio appena da pochi giorni in libreria per Luiss University Press, Perennials Società e lavoro dopo la fine delle generazioni. Ringraziamo l’editore per la disponibilità.
Anita Williams ha lavorato come sviluppatrice software per quindici anni dopo l’università. La sua azienda l’aveva promossa a team leader, ma era ben consapevole del fatto che molti ex clienti ora usavano i propri strumenti di intelligenza artificiale per fare il lavoro che una volta era lei a svolgere per loro. In un momento di riflessione, si è resa conto che forse le cose si stavano mettendo male. Diversi istituti di formazione in tutto il mondo avevano sfornato milioni di ingegneri dei software nei due decenni precedenti. Ha deciso di seguire diversi corsi di design per interni nel contesto di un programma extrauniversitario che le hanno permesso di iscriversi, presso il suo comune, come designer certificata.
Il suo ragionamento si è basato sul fatto che l’AI non era ancora in grado di riprodurre la creatività e il senso estetico di un essere umano. Circa vent’anni dopo, tuttavia, il machine learning, il riconoscimento di pattern e la realtà virtuale erano progrediti al punto da rendere alla portata di molti progettare le proprie cucine online. Alcuni strumenti offrivano addirittura un servizio di compilazione automatica di tutti i permessi edilizi necessari e di invio degli ordini per tutti i materiali richiesti e la manodopera specializzata.
Anita, già prossima ai 60, ha deciso di puntare tutto sulla sua inclinazione alla creatività e di diventare un’artista. Un diploma in belle arti era ciò a cui aspirava da molto tempo. Con i figli ormai all’università e dei risparmi considerevoli in banca, era libera di seguire le sue passioni. Così ha messo su uno studio in casa e iniziato a vendere le sue opere online. La storia di Anita, per quanto inventata, non è poi così inverosimile. Molte persone, nella vita vera, fanno simili cambi di carriera. Alisa M. è diventata una programmatrice informatica dopo aver aiutato per anni l’ex marito nella gestione di un ristorante. “Un amico mi ha detto di dare un’occhiata alla Sap [l’enorme azienda informatica tedesca] […] Era il 2013 e avevo 45 anni”. Aveva studiato per diventare programmatrice, ma in un campo in così rapida evoluzione, la sua formazione era diventata obsoleta al punto da far sì che dovesse riprendere a seguire dei corsi. “Per cui sì, è possibile […] Sto addirittura progettando di cambiare carriera fra un paio d’anni quando andrò in pensione – sto cercando delle idee e anzi potrebbe essere un’idea se chiedessi ai tuoi lettori: che fare una volta andati in pensione?”.
Dal canto suo, il dottor Bernard Remakus ha lavorato per anni come insegnante e coach alle superiori prima di diventare medico internista. “Dato che ero più vecchio, era ovvio che fossi motivato […] Credo di aver avuto molti vantaggi a studiare medicina ormai non più giovane”. In ciascuno di questi casi, la transizione è avvenuta in un periodo in cui i cambi di carriera erano relativamente rari, fatta eccezione per un breve periodo in cui i posti nel mondo della finanza scarseggiavano in seguito alla crisi finanziaria del 2008. “Certo, l’idea di un’unica carriera o del lavoro che dura una vita non è venuta meno”, dice Natasha Stanley, consulente nel cambio di carriera presso Careershifters, nel Regno Unito, “ma è sempre più probabile che si cambi carriera almeno una volta nel corso della vita”. Con la velocità con cui la tecnologia rivoluziona interi settori occupazionali e aziendali, potremmo ritrovarci a dover ricominciare da zero in un nuovo ambito lavorativo o professionale circa ogni vent’anni. Man mano che questi cambiamenti prendono piede, si moltiplicheranno le possibilità di apprendimento intergenerazionale, così come la volontà di trovare il modo migliore di organizzare una forza lavoro multigenerazionale che presenta non solo capacità e punti di forza, ma anche valori e approcci diversi. In che modo un team leader ventenne potrebbe coordinare un baby boomer? Un membro della generazione alfa si sentirebbe a suo agio ad avere colleghi che fanno parte esclusivamente della generazione X e baby bust?
Dobbiamo unire i punti per poter vedere il futuro. Alla base del nuovo trend che porta ad avere più carriere nel corso della vita troviamo tre specifiche tendenze. In primo luogo, viviamo più a lungo. I dodicimila americani che, in un giorno qualsiasi, festeggiano il loro sessantesimo compleanno possono aspettarsi di vivere, in media, ancora 23 anni.
Il numero è ancora più alto in alcuni Paesi dell’Europa e dell’Asia: 27 anni in Giappone e a Hong Kong; 26 anni in Australia, Francia, Spagna e Svizzera; 25 anni a Singapore, in Corea del Sud, Canada, Israele, Grecia, Islanda, Svezia, Irlanda, Portogallo, a Malta, in Norvegia, Finlandia e a Panama.
La diretta conseguenza di questo trend è che sono in poche le persone ad aver messo da parte abbastanza soldi per la pensione. In secondo luogo, restiamo in buone condizioni di salute più a lungo che mai. Il che significa che possiamo lavorare e avere uno stile di vita attivo per diversi anni superati i 60, processo che prende il nome di healthspan o “aspettativa di vita in salute”.
E, in terzo luogo, le trasformazioni tecnologiche, stanno facendo diventare obsolete o antiquate le conoscenze acquisite a scuola molto più in fretta che in passato. Come risultato del coincidere di queste tendenze, un numero sempre più alto di persone appena quarantenni si renderà conto del fatto che le loro conoscenze di base non daranno loro più alcun vantaggio competitivo sul mercato del lavoro, portandole così a ricominciare il percorso di studi.
Ma non fraintendetemi, non mi aspetto che alloggino in un dormitorio o entrino in una confraternita in un campus universitario. Molto probabilmente useranno una qualche piattaforma digitale per imparare cose nuove. Dopodiché riprenderanno a lavorare. Ma a 60 anni, rendendosi conto che avranno (in media) ancora 25 anni di vita e una quantità di risparmi insufficiente per il pensionamento, saranno di nuovo pronte a imparare per poi dedicarsi a un’occupazione a tempo pieno o parziale.
Molte persone non si limiteranno a cambiare lavoro, intraprenderanno nuove carriere, occupazioni o professioni, reinventandosi ogni volta che riprenderanno gli studi. “Secondo le previsioni, chi diviene parte della forza lavoro oggi, seguirà quattro o cinque carriere diverse (e non solo lavori) nel corso della sua vita”, dice Ray Schroeder, vice rettore associato per l’apprendimento online all’Università dell’Illinois a Springfield.
Oggi è sempre più evidente il fatto che le trasformazioni tecnologiche rendono molto difficile a numerosi lavoratori riuscire a tenere il passo. La maggior parte di noi fa fatica a seguire i nuovi sviluppi nelle nostre professioni o occupazioni. Interi settori occupazionali continuano a restringersi per via di tecnologie rivoluzionarie come la robotica, l’intelligenza artificiale e la blockchain. Ormai siamo abituati a sentire notizie sulla scomparsa di impeghi a bassa specializzazione e routinari per via dell’automazione.
Nel futuro, una marea di colletti bianchi, cioè lavoratori e manager d’ufficio, si vedranno dare il benservito a causa della capacità della blockchain di digitalizzare i contratti. Tra le responsabilità di un manager di medio livello è compresa quella di sorvegliare il rendimento dei fornitori e degli impiegati, assicurarsi che vengano soddisfatte le clausole contrattuali e certificare lo svolgimento dei compiti, ma “gli smart contract offrono un’efficienza quasi impossibile da replicare per un umano, soprattutto per quanto riguarda l’accertamento dei requisiti formali”, osserva Andrew J. Chaplin, imprenditore nel settore tecnologico.La mia collega alla Wharton, Lynn Wu sostiene che “al contrario di quanto si crede, cioè che i robot sostituiranno gli umani nel lavoro, abbiamo osservato che le aziende che adottano forza lavoro robotica, hanno assunto più personale nel corso del tempo”. Ha scoperto invece, grazie a uno studio condotto nell’arco di vent’anni, che la maggior parte dei licenziamenti dovuti all’automazione hanno riguardato manager e supervisori. “C’è sempre meno bisogno di manager che supervisionino i lavoratori, verificando che si presentino in orario o che svolgano bene il loro lavoro ecc.”, osserva. “I robot possono registrare in maniera molto precisa il lavoro che hanno svolto per cui non ci sono costi di agenzia e non è possibile truccare i numeri”.
E mentre oggi sono pochi a riprendere gli studi per dedicarsi a una nuova carriera, il trend cresce sempre più in fretta. Nel 2018 Forbes ha pubblicato un articolo che titolava: “Tornare all’università a 50 anni: la nuova norma?”. Stando ai dati raccolti, è una possibilità che il 60% degli adulti americani fra i 23 e i 55 anni privi di formazione universitaria hanno considerato. È incredibile osservare come, stando al Department of Education degli Stati Uniti, più della metà delle persone che aspirano a un diploma di laurea sono adulti che non hanno potuto seguire un corso di istruzione post-secondaria in precedenza. Le ragioni principali che portano a voler seguire l’università più avanti con gli anni, o a reiscrivercisi, sono la paura di vedere le proprie mansioni “svolte o rese obsolete dalle nuove tecnologie”; la volontà di tenere il passo con i propri colleghi più giovani o affrontare una nuova sfida. In Cina, una persona su quattro, dei 230 milioni di persone che hanno superato i 60 anni, sta seguendo un corso universitario grazie a un programma finanziato dal governo.
Secondo Xinhua, l’agenzia stampa ufficiale del governo cinese, “Liu Wenzhi si sveglia presto, prepara la colazione e manda i nipoti a scuola”. Dopodiché va alla Dezhou, università per anziani nella provincia di Shandong, una fra le sessantamila istituzioni del genere in tutta la Cina. Segue lezioni di “strumenti a corda, pianoforte elettrico, opera di Pechino e papercutting”.
Yang Ruijun, ex contadina sessantatreenne, è la prima del suo villaggio a seguire i corsi della stessa università a cui va Wenzhi. Ora è diventata una maestra di canto.
Nel 2017, il Financial Times ha pubblicato un pezzo dal titolo accattivante: “Pianificare cinque carriere in una vita: il lavoro è impermanente – reinventarsi è la scelta migliore”. Helen Barrett, l’autrice e all’epoca editor della sezione Work & Careers del giornale, nell’articolo riflette sulla sua esperienza personale. “Dovrei saperlo: dopo dieci anni nella pubblicità, sono passata al giornalismo, quando ne avevo 30, il che non voleva dire solo ripartire da capo (un editor ha premurosamente sottolineato come fossi “la stagista più vecchia mai vista”) ma che la mia paga era dimezzata. Mi ci sono voluti quattro anni per rimettermi in pari”.
Procede poi a narrare la storia di una donna di 50 anni che stava per superare l’abilitazione da avvocato – la sua quarta carriera dopo essere stata professoressa, curatrice di un museo, e insegnante ad aspiranti imprenditori. Cosa la motivava? “Pensare alla prossima sfida. Voleva sempre migliorarsi”.
Nell’era degli imprenditori ventenni che danno vita agli unicorni – aziende dal valore di miliardi di dollari o più – è una boccata d’aria fresca riflettere su quanto si può ottenere grazie alla creatività e all’ingegno umano all’età di 40 anni. Vera Wang, la famosa fashion designer, ha tentato la fortuna, in un primo momento, nel pattinaggio di figura, esibendosi al campionato degli Stati Uniti a 19 anni, il che le ha garantito un articolo dedicato su Sports Illustrated.
Tuttavia non è riuscita, in un ambiente così competitivo, ad arrivare ai vertici delle classifiche, e si è invece dedicata allo studio. Dopo essersi laureata, è diventata l’editor più giovane di Vogue, a cui poi ha fatto seguito un breve periodo presso Ralph Lauren. A 40 anni ha deciso di diventare designer indipendente di abbigliamento da sposa. Il resto è storia.
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