Lavoro
Il grillino De Rosa licenzia assistente parlamentare: colpa del Jobs Act?
Sarebbe una storia di ordinario conflitto tra un datore di lavoro ed un suo dipendente se non fosse che, da una parte c’è Massimo De Rosa, uomo di punta di Beppe Grillo alla Camera dei Deputati, e dall’altra un collaboratore parlamentare, fino al 31 dicembre dell’anno scorso assistente del pentastellato, già vicepresidente della commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici alla Camera.
De Rosa, vale la pena ricordare, deve la propria “fama” soprattutto alle sue gesta extra parlamentari: nel gennaio del 2014 balzò infatti agli onori della cronaca per via di una battutaccia greve e maschilista, facendo intendere che le parlamentari piddine sarebbero state elette solo grazie a loro presunti favori sessuali. Ne nacque un caso politico, che poi sfociò in una querela, presentata da alcune elette del Pd contro il deputato del Movimento5Stelle.
Il parlamentare grillino decide di chiudere forzatamente il contratto di lavoro con il proprio collaboratore, facendo leva, in particolare, su una interpretazione del Jobs Act. “Non ci sono più le condizioni per proseguire con la collaborazione a progetto” scrive De Rosa al proprio assistente il 7 gennaio. Confermando dunque la decisione di troncare il rapporto lavorativo comunicata tre settimane prima e, probabilmente, non immaginando che il collaboratore lo avrebbe trascinato in tribunale. Come è avvenuto pochi giorni fa. Perché l’ormai ex assistente, attraverso il proprio legale di fiducia, ha depositato il 19 gennaio, presso la sezione lavoro e previdenza del tribunale di Roma, un articolato ricorso contro il licenziamento deciso dall’onorevole del Movimento5Stelle.
L’impugnativa, di cui Gli Stati Generali ha potuto prendere visione, ripercorre tutte le tappe di una vicenda nata male e finita peggio. A partire dall’assunzione, avvenuta a maggio del 2013 con un contratto a progetto, che prevedeva precisi compiti, non propriamente di natura progettuale. Come, ad esempio, la gestione dell’agenda, la rassegna stampa quotidiana o l’organizzazione di riunioni, la gestione dei social.
Il rapporto tra il parlamentare grillino e l’assistente comincia a diventare critico quando, nel febbraio 2014, De Rosa, con una mail scritta di proprio pugno, compie un primo tentativo di forzare il proprio assistente a dimettersi. ‘Bisogna completare e firmare la lettera di dimissioni e poi (nome del collaboratore) deve firmare la frase riportata nel file “frase convalida dimissioni”’, scriveva l’esponente politico al suo coordinatore della segreteria. Ma l’espediente fallisce. Perché l’assistente non rassegna le proprie dimissioni e continua a svolgere il suo lavoro.
De Rosa torna alla carica quasi un anno e mezzo dopo, nell’agosto del 2015, manifestando l’intenzione di tagliare la retribuzione mensile netta da 1.000 a 600 euro e chiedendo di firmare, a giustificazione del minor stipendio, una modifica all’orario settimanale di lavoro. Richiesta, questa, che mal si concilia con il contratto a progetto. Anche in questo caso, però, il collaboratore resiste e non sottoscrive nulla.
Il pressing si fa sempre più forte da parte di De Rosa. Che a questo punto decide di giocare la carta del Jobs Act, adducendo, quale motivo della presunta impossibilità di proseguire il rapporto di collaborazione, proprio i contenuti della riforma del lavoro varata dal governo Renzi. In ciò non tenendo però conto di una nota interpretativa relativa all’impatto del Jobs Act sui contratti con gli assistenti parlamentari e che i Questori della Camera inviano a novembre a tutti i parlamentari. Compreso De Rosa, quindi. La lettera dei Questori parla chiaro: devono restare ‘validi i contratti di collaborazione “a progetto” ed occasionale in essere (come quello dell’assistente di De Rosa, ndr) alla data del 25 giugno 2015, per i quali il medesimo art. 52 del decreto legislativo 81/2015 prevede che continuino ad applicarsi le previgenti disposizioni’.
De Rosa però, pur a fronte della lettura autentica dei Questori, non si arrende e il 18 dicembre, come detto, licenzia in tronco il collaboratore parlamentare. A cui quindi non è rimasta altra via che quella di ricorrere al giudice del lavoro.
Ci vorrà tempo per la sentenza. Un giudizio, che attiene alla coerenza etica dell’uomo di Grillo, però, forse può già essere emesso: De Rosa, mentre accusava su Facebook il governo di “ridurre la generazione 1000 euro a 600 euro” tentava di fare la stessa cosa con il suo ex assistente.
@albcrepaldi
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