Governo

L’epic fail Inps è un guaio della politica che tratta i cittadini come pezzenti

18 Aprile 2019

Per molti la prima reazione è probabilmente di ilarità: gli scambi tra gli utenti alle prese con il Reddito di cittadinanza (Rdc) e il gestore della pagina dell’Inps sono di primo acchito spassosi e rivelatori, soprattutto se si pensa a quanti si autodenunciano come lavoratori in nero e desiderosi di percepire un reddito aggiuntivo a spese dei contribuenti.

Poi però sono necessarie ulteriori riflessioni. I commenti sulla pagina Facebook dell’Inps mettono a nudo soprattutto la disperazione di chi pensava di poter finalmente uscire da una condizione di povertà che probabilmente si trascina da tempo. C’è una stretta relazione tra la scarsa padronanza della lingua italiana, l’incapacità di comprendere le istruzioni per ottenere il Rdc (l’ormai inflazionato “analfabetismo funzionale”) e la condizione di povertà.

È la denuncia di un fallimento su vari fronti. Della scuola italiana anzitutto – non quella per le élite, che ha i suoi limiti ma offre qualche strumento in più per sfangarla, quanto quella per le masse, che dà l’illusione di percorsi tecnici o professionalizzanti ma alla fine diploma persone che non sanno affrontare le sfide della modernità. Incapaci di leggere un testo in italiano, figurarsi di parlare nella lingua che il mondo del lavoro oggi non considera più nemmeno un valore aggiunto quanto un requisito minimo, l’inglese.

Ma è un fallimento anche dei corpi intermedi, la cui crisi non è una novità di oggi. I quali non hanno saputo in molte aree del Paese svolgere quell’essenziale ruolo di mediazione, di interpretazione dei bisogni e di raccordo tra cittadini e Stato: solo per fare un esempio, quanti fiumi di soldi europei per corsi di formazione e di aggiornamento gestiti da enti e associazioni avrebbero potuto ridurre il gap culturale e formativo di vaste aree della popolazione italiana? E poi potremmo aprire un discorso complesso sulla tendenza a polverizzare l’impegno sociale e le risorse su battaglie di corto respiro (i molteplici comitati “no-qualcosa“, spesso finalizzati a un salto nell’agone elettorale) piuttosto che su obiettivi di ampia portata.

Ed è soprattutto un fallimento della politica. Del M5S, certamente, che ha promesso una pioggia di soldi a milioni di persone senza speranza, soprattutto in quelle aree del Sud dove anche l’emigrazione al Nord o all’estero sembra un’impresa impossibile. Ma anche del Pd, che si è accorto della povertà e ha varato il Reddito di inclusione – oggettivamente più funzionale del Rdc – soltanto quando i sondaggi hanno cominciato ad annunciare il disastro. E naturalmente della Lega, che ha diffuso l’idea malsana che i problemi del Paese venissero dall’immigrazione che «toglie lavoro agli italiani». Senza spiegare che i migranti vanno soprattutto al Nord, dove c’è lavoro e dove c’è scarsa disponibilità dei disoccupati del Sud a trasferirsi.

A tutto questo fa da sfondo l’irrisione dei poveri disperati da parte dei responsabili Facebook dell’Inps. La migliore rappresentazione del rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione, laddove quest’ultima fa calare dall’alto i servizi che offre, anche se i suoi datori di lavoro sono proprio i cittadini dileggiati. E anche della logica che è alla base del Rdc, come già espresso da molti esponenti grillini nei mesi passati: io ti faccio l’elemosina, ma tu usi i soldi come voglio io e se compri un bene non di sussistenza ti tolgo il Rdc. Da qui a trattare i cittadini come pezzenti il salto è brevissimo.

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