Lavoro
L’ex macchinista: “Sicurezza violata per risparmiare, oggi come 40 anni fa”
Il testo che segue è la testimonianza di un ex dipendente di Trenitalia, prima operaio delle manutenzioni e poi per quasi 40 anni macchinista. Lo abbiamo ricevuto nelle ore successive all’incidente di Brandizzo e abbiamo scelto di trascrivere il file audio così com’è per preservare il tono spontaneo di amara concitazione con cui questo lavoratore esprime il suo stato d’animo e le sue considerazioni su una tragedia che in 40 anni di lavoro da ferroviere sarebbe potuta capitare a lui. Nel solito diluvio di retorica e buoni propositi ci è sembrato che non ci fosse modo migliore per commentare i fatti.
“Allora ti posso dire, guarda, con cognizione di causa che è un malcostume antico. Io sono stato assunto proprio al servizio lavori. La mia prima assunzione in ferrovia è stata come operaio dell’armamento su una linea dell’ex compartimento di Venezia e lì ho lavorato qualche anno negli anni Settanta e poi ho iniziato l’iter per poi diventare macchinista.
Quindi ho vissuto quella realtà della manutenzione dei binari e già all’epoca se non c’era qualcuno della zona che per arrivare nel punto previsto dove si faceva il lavoro sul binario, casualmente, passava in itinere, appunto dove più o meno andavano piantate sul terreno le tabelle… Prevalentemente in quel caso si usava la tabella squadra e andava messa a circa un chilometro di distanza dal punto di lavoro. Dicevo, se non c’era qualcuno che per andare a lavorare passava lì dove andava piantata la tabella, non le mettevano e all’epoca addirittura la protezione del cantiere veniva fatta a vista, neanche a orario, cioè sull’orario previsto del passaggio del treno. Quando lo vedevano passare ti avvisavano e più di qualche volta è successo che a fare la scorta magari a due o tre operai che stavano stringendo delle chiavarde o riposizionando delle piastre di gomma sotto le suole delle rotaie, per cui dovevi allentare e la piastra che teneva ferma la rotaia sulla traversina e allora uno o due con una con una leva alzavano e staccavano la rotaia dalla piastra e l’altro con un con una lama staccava la soletta di gomma che serviva appunto da ammortizzatore, la staccava o dalla suola della rotaia o dalla piastra perché col tempo si incollavano per l’effetto del peso e anche del caldo e la riposizionavano, perché con le dilatazioni termiche scorreva la rotaia e uscivano queste tavolette e quando il capo squadra ti diceva “Fuori” Fuori !” bisognava uscire lasciare tutto quanto lì, perché vedeva il treno in lontananza arrivare. Ma è successo ed è successo anche a me che lui era beatamente seduto, magari sotto una pianta, a girarsi una sigaretta con le cartine e il trinciato forte, e non vedeva il treno arrivare, ma noi, insomma, eravamo vigili a nostra volta.
È una cosa che è successa, ti dico, a me personalmente da fine anni Settanta, quindi è un modus operandi, diciamo, sotto il pelo dell’acqua che esiste e negli ultimi anni da macchinista capitava, appunto, di passare col treno e trovare punti di lavorazione che non erano protetti da tabelle, da tabelle C o S o F o quello che dovevano essere e sì, effettivamente, quando si incontravano quelle tabelle bisognava suonare più volte in maniera prolungata, insomma. Ed è proprio quello il motivo: risparmiare del tempo, insomma andata e ritorno dal punto di cantiere di un chilometro o un chilometro e due, quello che doveva essere, insomma non mi ricordo effettivamente il regolamento di che distanze parla. Una persona in un senso una persona nell’altro, insomma, sono tempi di lavoro che vengono risparmiati. E’ così. Che tristezza. Che amarezza.
In questo specifico, tragico caso l’interruzione di binario era prevista da mezzanotte alle due per la sostituzione di un pezzo di rotaia che era ammalorata o aveva un giunto isolato da sostituire o una cosa del genere, quindi la prima cosa che va fatta, appunto, vanno allentate le chiavarde sulle piastre o non so come si chiamano quei ganci a molla elastici che tengono la rotaia sulla piastra della traversina ed è la prima cosa che va fatta. Allora per avvantaggiarsi, per risparmiare tempo sull’interruzione, perché è l’interruzione che viene pagata da RFI a queste ditte esterne… E’ il tempo di interruzione e logicamente se tu ti presenti in anticipo e cominci appunto nella fase propedeutica ad avvantaggiarti e poi alla fine, insomma, risparmi quei 20 minuti, mezz’ora e puoi chiudere il cantiere in anticipo, che vorrebbe dire, non so, anziché due ore di effettiva interruzione puoi farlo in un’ora e mezza e vuol dire che RFI paga mezz’ora di lavoro meno alla ditta esterna. Capisci che è tutto lì il discorso ed è un malcostume appunto accettato da entrambe la parti, sia da RFI che dalle ditte esterne per poter lavorare. Probabilmente c’è una forma subdola di obbligo, non so, di costrizione, mi immagino, la supposizione è questa.
Dispiace che già avrà la vita distrutta per la morte di quei cinque operai, quell’addetto di RFI che ha, diciamo, così pesantemente derogato alla sicurezza. Insomma avrà la vita distrutta per le responsabilità penali che gli verranno addossate, insomma lui, la famiglia, tutto, è una tragedia immane, guarda, immane veramente. Io non so se in altri stati in altri, in altre nazioni ci sia appunto questa leggerezza così frequente, insomma, così accettata. E’ uno schifo veramente. Viene un magone, un groppo in gola soltanto a ripensarci. È dolorosissimo”.
Questa testimonianza è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info dell’8 settembre.
Devi fare login per commentare
Accedi