Lavoro
Le piazze francesi, la nostra rassegnazione e due domande a tutti noi
Anche se in Italia se ne parla davvero poco, la Francia è sempre più paralizzata a causa delle proteste contro la legge El Khomri, la riforma del lavoro su cui il 10 maggio il governo di Manuel Valls ha posto qualcosa di molto simile al nostro voto di fiducia, pratica che oltralpe ha destato scalpore ma che da noi passa ormai quasi inosservata.
I sindacati francesi protestano contro una legge che rende più facili i licenziamenti per motivi economici da parte delle aziende, fissa un tetto per i risarcimenti in caso di licenziamenti abusivi, consente l’aumento dell’orario di lavoro per “periodi eccezionali” e cambia le regole per la contrattazione degli straordinari. Sui nostri provinciali organi di stampa il provvedimento è stato chiamato “job act francese”, ma guardando al complesso dei cosiddetti “diritti acquisiti”, non è difficile scoprire che in realtà i nostri vicini di casa godono ancora di forme di protezione e di tutela che da noi sarebbero bollate da un Poletti qualsiasi come “privilegi inaccettabili”, soprattutto per quanto riguarda i sistemi di ingresso e di uscita, ma anche su salari e welfare.
Guardo così le piazze francesi e noto uno squilibrio: quello di chi forse difende dei retaggi del passato in un presente dove la ridistribuzione di risorse (e di lavoro) è sempre più un’utopia irrealizzabile. Poi guardo la “nostra” triste rassegnazione, un altro squilibrio forse altrettanto antistorico, chiedendomi se ci sia un punto di caduta tra i nostri quarantenni con oltre vent’anni di precariato alle spalle, destinati inesorabilmente alla povertà e quelle piazze francesi che rivendicano diritti che ai nostri occhi ormai spenti sembrano quasi privilegi.
Viviamo in un pianeta palesemente sovrappopolato a causa dell’evoluzione scientifica e tecnologica. Il deterrente atomico impedisce – nel “mondo ricco” – quelle spontanee ottimizzazioni dei popoli che chiamiamo guerre (mi si perdoni il cinismo) a una medicina sempre più “miracolosa” ci fa vivere tanto, forse più del dovuto. E allora mi sorgono spontanee due domande forse banali, ma che se trovassero una risposta potrebbero aiutarci a leggere meglio il nostro tempo: come ridistribuire la dignità degli esseri umani prima ancora che le risorse? Che sia stato un errore smettere totalmente di elaborare pensiero agitando lo spettro di ideologie ormai defunte? Qualcuno trovi le risposte.
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