Governo
Le gaffes di Poletti e l’inadeguatezza della politica in Italia
Ennesima gaffe per il Ministro del lavoro Giuliano Poletti. Durante un incontro con alcuni studenti a Bologna infatti ha dichiarato che per trovare lavoro è più utile una partita a calcetto rispetto all’invio di molti cv, dichiarazione che ci restituisce un perfetto spaccato delle motivazioni che hanno portato migliaia di cittadini italiani a non credere più nella politica. Da tempo ci s’interroga sulle ragioni dell’anti politica in Italia: mancanza di approfondimento e d’interesse, il peso delle inchieste per corruzione e la sensazione che per far parte della classe dirigente del paese il prerequisito sia la disonestà, il dilagare di un opinionismo spinto favorito da web e social network. Tutte possibili motivazioni. Assai di rado però ci si domanda se alla base di questa disaffezione non ci sia piuttosto la presa di coscienza dell’inadeguatezza dei nostri rappresentanti istituzionali e questo, si badi, non in base a un curriculum o un particolare “cursus honorum” politico, ma in relazione alle loro capacità di comprendere quale sia il comportamento adatto alle responsabilità che il loro ruolo implica.
Quanto affermato dal Ministro Poletti è vero: in Italia si trova lavoro più facilmente su un campo di calcetto che inviando decine di curriculum.
Un’amara constatazione che, se pronunciata da un disoccupato al bar può sollevare moti di solidarietà e comprensione, ma che sulla bocca del Ministro del Lavoro suona come una presa in giro.
Compito del Ministro sarebbe infatti cercare di modificare lo status quo, d’incentivare assunzioni in base al percorso di formazione, alle competenze e al reale merito. Il compito di un Ministro non termina alla presa di coscienza del problema e a un “così vanno le cose”, ma il suo ruolo prevede un intervento affinché le cose cambino e migliorino. Cosa penseremmo di un capo della polizia che di fronte all’aumento delle rapine dicesse “eh…d’altra parte i ladri ci son sempre stati…Capita a tutti un furto prima o poi”?
La questione dunque è assai semplice: non sono i cittadini a diffidare – quasi per indole – della politica. Il problema è la politica che, in molti casi, non vuole assumersi le sue responsabilità e preferisce constatare, non senza un certo qualunquismo paternalista, che le cose stanno in un certo modo. Come se non bastasse, mentre si dimostra di non voler fare particolari sforzi (nemmeno dal punto di vista comunicativo) per cercare soluzioni a mali ormai endemici del Paese, si chiede ai giovani e meno giovani di “fare uno sforzo di adattamento” delle aspettative di realizzazione personale, di compenso, di garanzie contrattuali. In sintesi di prospettive di vita. Ancora ci si domanda la ragione dello scollamento fra cittadini e politica? Forse una più attenta selezione dei profili adeguati a rappresentare e indirizzare il bene comune (dalla piccola amministrazione al Governo) faciliterebbe i rapporti. A tutto beneficio del Paese.
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