Lavoro

Non ci sono lavoratori? Pagarli di più è una buona idea, ma difficile da farsi

16 Maggio 2022

Un tempo l’estate veniva annunciata da squallide canzoni alla radio, oggi dagli strali contro la mancanza di lavoratori per la stagione. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un ventaglio di motivazioni per cui vi sarebbe penuria di offerta di lavoro, non per ultimo il maledetto reddito di cittadinanza.

Buona parte di queste argomentazioni lascia il tempo che trova e quella contro il reddito di cittadinanza non fa certo eccezione. Quest’ultima, molto in voga, affonda le sue radici in un modello economico alquanto elementare del mercato del lavoro.

Ogni lavoratore decide quante ore dedicare al lavoro e quante al tempo libero. Se dedicasse la maggior parte del tempo a lavorare, guadagnerebbe sì un ottimo stipendio, ma non avrebbe abbastanza tempo per poterne godere; al contrario se lavorasse poche ore non avrebbe abbastanza denaro per potersi permettere una cena al ristorante o una serata al cinema o un nuovo televisore.

Banalizzando, il reddito di cittadinanza, erogato proprio a persone non  occupate, andrebbe pertanto a disincentivare il lavoro. Anche senza lavorare, infatti, potrebbero comunque godere di denaro da spendere per soddisfare i propri bisogni.

Questo ragionamento è sbagliato per almeno tre motivi. Il primo è che il lavoro non è soltanto guadagno, ma svolge anche un ruolo nel benessere psicologico e sociale della persona: d’altronde, come diceva una vecchia canzone, “chi non lavora non fa l’amore”.

In secondo luogo il reddito di cittadinanza non è privo di condizionalità: dopo il rifiuto di tre offerte di lavoro si prevede la decadenza.

L’ultimo motivo è abbastanza semplice: il reddito di cittadinanza non permette di vivere nell’oro. Secondo i dati INPS infatti l’importo medio è di 579,54 euro per nucleo percettore. Anche supponendo che questo vada a una sola persona, si tratterebbe comunque di uno stipendio misero, che serve a malapena a sostenere le spese ordinarie.

Non è infine di secondaria importanza il fatto che i lavori di cui si parla- stagionali nel ramo dei servizi- hanno condizioni di lavoro gravose: orari di lavoro che possono protrarsi fino a tarda notte o di mattina presto, spesso non coincidenti con quelli del partner o delle persone care, a temperature elevate. Tale situazione richiede un salario quantomeno dignitoso e quindi ben al di sopra dei 579 del reddito di cittadinanza.

Pagare di più i lavoratori, uno degli slogan dell’amministrazione Biden, nel nostro paese è stato ripreso proprio da coloro che si oppongono ai piagnistei sulla mancanza di lavoratori. Se ristoratori e balneari si ritrovano senza lavoratori che offrano salari dignitosi, si dice.

Non è mancata, ovviamente, la controreplica: in un periodo di alta inflazione come quello che stiamo vivendo alzare i salari potrebbe non essere un’idea così brillante. Quello che potrebbe innescarsi è la cosiddetta spirale prezzi-salari.

Di fronte a un’inflazione che erode il potere d’acquisto e aspettandosi un livello altrettanto elevato in futuro, i lavoratori potrebbero richiedere quindi aumenti salariali. Questo andrebbe ad erodere invece i profitti delle aziende che quindi scaricherebbero l’aumento dei salari sui prezzi al consumo, innescando una spirale senza ciclo di inflazione.

Non ci sono validi motivi per ritenerlo uno scenario plausibile per il nostro paese. La componente principale dell’inflazione non riguarda tanto la domanda- anche se non è da escludere che le riaperture abbiano influito- a sul lato dell’offerta: in particolare la mancanza di materie prime e soprattutto i rincari dell’energia, che poi si ripercuotono sull’intero sistema. 

Sembra quindi che, in linea teorica, non ci sia alcuna alternativa ad alzare i salari.

C’è però una probabilità non remota che questo non sia possibile: molte imprese sul lato servizi non si possono permettere di alzare i salari. D’altronde le stime sull’evasione fiscale mostrano che proprio ristoranti e bar sono in cima alla classifica. Non va meglio per gli stabilimenti balneari: secondo le ispezioni dei NAS nel 2021 uno su tre presentava irregolarità.

Spesso questi settori si reggono proprio su evasione fiscale, sfruttamento, bassi salari.

Questo porta a una riflessione però più profonda. Il nostro paese da trent’anni soffre di salari stagnanti, alzarli dovrebbe essere il primo punto della strategia di ogni partito. Ma la nostra struttura economica, con le varie promesse de “il turismo è il nostro petrolio“, si regge anche su questo: bassi salari per mantenere rendite e attività zombie. Anzi, è molto probabile che questo discorso valga, in generale, per la nostra intera economia.

Una politica seria dovrebbe essere in grado di scontentare qualcuno e mettere in piedi una strategia che alzi i salari non per decreto, ma agendo sulla trasformazione del tessuto economico italiano. Permettendo quindi a quelle attività redditizie di prosperare e lasciando invece fallire quelle che non hanno futuro senza sfruttamento e ricatto ai lavoratori. Si tratta di una strategia ampia, che passa attraverso l’inversione di rotta nella legislazione sul lavoro, la politica industriale, la riforma degli ammortizzatori sociali, le politiche attive e la competitività.

Forse non mancano ristoratori che offrono salari e condizioni del lavoro dignitose, ma una politica in grado di mettere fine ai privilegi di pochi per il benessere di molti. 

 

 

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