Economia circolare
L’alfabeto del Lavoro Sostenibile in epoca di transizioni (parte prima)
«Lavoro dignitoso e crescita economica» è uno dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs: Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile approvata dalle Nazioni Unite nel 2015.
L’impatto che questo tema potrà avere sulla qualità della vita di milioni di persone è ben descritto nel documento Lavoro dignitoso a Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ILO ed è altrettanto ben approfondito da ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), con analisi, idee e iniziative molto promettenti.
In questa scia, si inseriscono anche le attività di AsVeSS (Associazione Veneta per lo Sviluppo Sostenibile), affiliata ad ASviS, al cui interno è attivo un gruppo focalizzato sul tema Lavoro sostenibile, a cui partecipano docenti universitari, esponenti delle parti sociali, esperti di politiche di welfare, di politiche territoriali, e di gestione delle risorse umane, manager di imprese e agenzie per il lavoro.
Uno dei primi progetti sui cui il gruppo sta lavorando è la definizione di un alfabeto del lavoro sostenibile in epoca di transizioni. Ecco le prime 10 lettere.
T, come «Transizioni»
Il cambiamento dei contenuti del lavoro è un dato di fatto. Le ricerche sui lavori che spariscono e su quelli che verranno ne sono la dimostrazione. Serve centrare gli sforzi sulle transizione da un certo modello di lavoro a un altro. Le istituzioni e i corpi intermedi hanno la responsabilità di agevolare le transizioni, che riguarderanno milioni di persone di tutte le età.
D, come «Diritto universale all’apprendimento permanente»
In un mercato del lavoro che cambia con frequenza e in direzioni ignote a priori, l’apprendimento permanente deve essere elevato al rango di diritto universale permanente ed esteso a tutto il ciclo di vita professionale. Se l’apprendimento permanente diventa diritto universale, allora va contrattualizzato e inserito negli accordi collettivi. L’allungamento dei cicli professionali è una delle ragioni che reclama l’obbligatorietà gentile della formazione, che è presupposto per un lavoro decente durante tutta la vita professionale.
C, come «Convivenza intergenerazionale»
Da un lato la crisi demografica e dall’altro l’allungamento dei cicli professionali portano alla contemporanea presenza di due o tre generazioni in azienda. È necessario identificare forme di organizzazione del lavoro e modelli di trasferimento delle competenze tra generazioni, per non depauperare il sapere tecnico e manifatturiero.
R, come «Riconoscimento e certificazione delle competenze»
Per il mercato del lavoro, l’ingresso nell’era delle transizioni porta con se l’urgenza di sviluppare modelli per riconoscere le competenze maturate, permettendo alle persone di portarle con sé da una transizione all’altra. L’adozione di sistemi di certificazione delle competenze, riconosciuti anche a livello internazionale, è uno dei presupposti che porta al lavoro sostenibile, abilita le transizioni e favorisce la mobilità.
F, come «Filiera formativa ricomposta e riallineata»
Le transizioni riguardano anche il passaggio da una fase all’altra della filiera formativa. Nella costruzione di nuove competenze è di fondamentale importanza riallineare tutta la filiera formativa dalla formazione professionale, alle scuole secondarie superiori, all’istruzione tecnica superiore (ITS) fino alle lauree, dottorati, master universitari alle nuove prospettive di crescita delle produzioni e dei servizi. Per ricomporre le fasi, a volte scomposte, gli attori coinvolti nei processi devono collaborare in modo intenso.
P, come «Programmazione di fabbisogni e analisi dei flussi»
Riallineare la filiera formativa in un’epoca di depressione demografica potrebbe dimostrarsi un esercizio asfittico (il rischio è che i flussi di persone in ingresso nei percorsi sia eccessivamente basso, tanto da vanificare l’operazione di ricomposizione e riallineamento). Pertanto, la ricomposizione della filiera formativa va progettata in parallelo con l’analisi dettagliata dei fabbisogni professionali, dei flussi demografici in uscita e dei flussi migratori in entrata.
L, come «Lavori ibridi»
La certificazione delle competenze (acquisite in modo formale, informale, non formale) permette di configurare e riconfigurare i mestieri in modo non ordinario, rendendo progettabili i lavori ibridi, intesi come combinazione di saperi tecnici, professionali e gestionali con competenze informatiche e digitali, con abilità di comunicazione e interazione nei social network, con modalità di collaborazione in ambienti di lavoro meno gerarchici, più tecnologici e dinamici. Il lavoro ibrido ottenuto anche con il supporto della certificazione delle competenze è un presupposto necessario (ancorchè non sufficiente) per arrivare al lavoro decente.
U, come «Ultimo miglio della formazione»
Per accompagnare le transizioni da un lavoro all’altro (che è già diventata esperienza ordinaria per moltissime persone) servono anche nuovi modelli di formazione, idonei a trasferire alle persone «quanto basta» delle skill richieste e a favorire l’immediata spendibilità nel lavoro. È il cosiddetto Ultimo miglio della formazione che serve a moltissime persone.
S, come «”Spirale” che è la forma della filiera formativa che ci serve»
La filiera formativa ereditata dal Novecento è lineare e deprime (nel senso che non è preparata per) le richieste di uscita-esperienza-rientro che portano all’allungamento della transizione tra una fase e l’altra della filiera. È necessario progettare filiere formative «a spirale», che considera la transizione lunga tra una fase e l’altra della filiera formativa è una delle opzioni possibili al pari della decisione della transizione veloce e che è pronta a riconoscere e certificare l’acquisizione di skill avvenuta anche attraverso processi formali, non formali o informali di apprendimento.
G, come «Giusta transizione»
Progettare adeguati processi per realizzare una giusta transizione nel lavoro (come in tutte le altre transizioni in atto: energetica, digitale, solo per citarne alcune) è la condizione per favorire processi di transizione che non aumenti la polarizzazione tra segmenti di lavoratori (e di popolazione) e metta tutte le persone di dare un contributo alla transizione con dignità.
Devi fare login per commentare
Accedi