Lavoro

La Pubblica amministrazione che vorrei

27 Luglio 2016

Madia.jpeg

Leggevo questa mattina l’articolo di Lorenzo Salvia sul Corriere, a proposito del fascicolo “top secret” relativo alla riforma della PA, alle sanzioni per i pubblici dipendenti, alla caduta dei “pilastri” della PA.

Lavoro da 15 anni nella Pubblica Amministrazione, ho cambiato vari uffici e città e sperimentato diverse situazioni lavorative, ho cambiato colleghi, dirigenti e ora, in seguito alla privatizzazione dell’Ente in cui presto servizio, sono nell’attesa di una destinazione, di un nuovo cambio di ufficio, mansioni, lavoro. E’ un’attesa lunga e faticosa, lo confesso, che va avanti da un po’, un’attesa legata all’espletamento di svariati passaggi amministrativi e una piattaforma nazionale del governo che sta spostando migliaia di dipendenti di ex Province, ex Enti pubblici non economici e altre single simili da un posto all’altro, a volte da una città all’altra. Passano i mesi, i primi cominciano ad andare e noi siamo qui con poche notizie e pochi tempi certi, con la speranza che presto finisca questo calvario dell’insicurezza rispetto alla nostra fine, a quello che andremo a fare, come, con chi. In fondo, io mi sento anche una privilegiata, ho cambiato già tante volte ufficio e team di lavoro; ma guardo ai miei colleghi ultra cinquantenni, a lavoro da 25/30 anni nello stesso ufficio, più o meno con le stesse competenze, ma che, in fondo, in quella routine hanno riconosciuto una delle cose certe della loro vita. Anche loro dovranno cambiare lavoro, mansioni e colleghi e mi rendo conto che per loro il futuro ha un sapore molto più amaro che per me.

La mia riflessione prescinde dagli scandali dei famosi “furbetti” del cartellino che purtroppo esistono da anni e che è sempre troppo tardi per scoprire, ma nasce dall’osservazione di colleghi  a me vicini, che per anni hanno fatto il loro lavoro onestamente, dando quello che potevano e forse facendo poca formazione continua, anche per scarsissima sensibilità sul tema da parte delle strutture di appartenenza.

E nasce dall’osservazione del mio personale percorso professionale nella PA. Quindici anni di esperienza nella PA credo che bastino per trarre delle conclusioni. Quando sono stata  assunta avevo un sacco di aspettative, ero giovane, entravo in un’ Università giovanissima, quasi appena nata, in cui i giovani erano tanti ed era bella l’aria che si respirava. Mi sentivo importante per il mio Paese, un dipendente pubblico è il front office di un Governo sui territori, in fondo, e non  mi rendevo conto che invece quello era solo l’inizio di un percorso lento e costante di annichilimento professionale. Dal lontano 2001 credo che forse solo tre dirigenti abbiano guardato il mio curriculum vitae e abbiano provato ad assegnarmi mansioni coerenti con la mia formazione, competenze professionali e trasversali.

Tre dirigenti in 15 anni non è un bel risultato. Molto più spesso sono stata messa dove occorreva, utilizzando la mia professionalità al 5% della reale potenzialità. Pare non ci sia tempo nella PA, è più facile ricevere lettere che riportano decisioni relative alla tua assegnazione che incontrare responsabili delle risorse umane pronti a costruire con te il tuo percorso futuro. C’è invece molta fretta nella valutazione delle necessità, rapidità di risoluzione, o come lo chiamano: problem solving. Bene, in tutta sincerità, non credo che possa valere più questa scusa dell’efficienza e del problem solving rispetto alle risorse umane, alla fine, negli anni, abbiamo costruito una PA senza cuore e senza umanità, in cui nessuno pensa più di lavorare per una nobile causa, in cui la performance e la valutazione della performance fa perdere di vista la felicità dei dipendenti, la loro realizzazione vera.

Il messaggio è: sei un dipendente pubblico e devi solo ringraziare Dio e andare avanti. Mediamente poi sarai uno scalda-sedia e avrai poca voglia di lavorare, quindi che importa se hai pure l’ambizione di fare qualcosa di utile e di vivere bene nella tua comunità di lavoro.

Ho visto in questi anni tanti colleghi con talenti interessanti, magari in settori diversi da quelli a cui li avevano assegnati, e mi sono sempre chiesta: ma se la PA puntasse di più su un bilancio vero delle competenze, delle attitudini e delle passioni dei suoi dipendenti non funzionerebbe molto meglio? Perchè il benessere dei dipendenti deve limitarsi agli sconti sui viaggi o agevolazioni simili e non, piuttosto, partire dalla creazione di nuove comunità di lavoro in cui ci si sente parte di un processo importante, fondamentale, direi, quello dell’amministrazione della cosa pubblica?

Ricostruire dei valori condivisi rispetto al lavoro nel Pubblico Impiego, piuttosto che “fare la guerra” al settore sarebbe un buon modo per migliorare la qualità del lavoro delle risorse umane. La gente si disaffeziona molto presto rispetto al suo lavoro, comincia a demotivarsi se si sente un numero e, soprattutto, se sente di non avere speranze di crescita reale, e non puramente economica.

Ora siamo qui, da mesi, in attesa. Qualcuno ci dirà, non si sa quando, dove andremo a lavorare. Forse rimarremo in città, forse chissà, si dice ci siano molti posti su Roma, ma con i figli e la famiglia come si fa ad andarsene da qui?

Quando chiedi un fascicolo o avvii una qualunque pratica, tutte le amministrazioni pubbliche dichiarano di essere in affanno per carenza di personale, soprattutto gli Enti Locali, e ora che ci siamo noi a disposizione nessuno sembra vederci, nessuno ha più bisogno.

Ma cosa sta succedendo a questo Pubblico Impiego? Io non credo che sia sano dare l’impressione che noi dipendenti abbiamo sempre qualcosa da “scontare”, credo che sia giunto il momento di aiutarci a rimetterci in gioco, a sentirci parte, a formarci con nuove competenze.

Io ho provato a farlo da sola in questi anni, fuori dal lavoro, a spese mie, e ho scoperto che se la Pubblica Amministrazione riuscisse a vedermi e a vedere tanti altri con il mio stesso percorso, sarebbe in grado di crescere di più e velocemente, scoprirebbe di avere già all’interno le risorse necessarie per farcela, senza doversi necessariamente affidare a consulenti esterni costosissimi e potrebbe anche capitalizzare i numerosi anni di esperienza di tanti miei colleghi, che rappresentano un vero tesoro per il Pubblico Impiego, che ne conoscono la storia e i cambiamenti, anche se, magari a quasi 60 anni non conoscono l’inglese e sanno poco di informatica. Non per questo credo che siano da rottamare.

In fondo, in una comunità,  funziona così: i giovani spingono il cambiamento ma gli anziani sostengono la base della storia e della tradizione in cui quel cambiamento si realizza. Solo così il processo di evoluzione è solido.

Non so dove finirò, spero solo di poter tornare a dire con fierezza di essere al servizio della Cosa Pubblica perchè ci credo e perchè lei crede in me. La vera Riforma sarebbe questa caro Ministro. Il resto viene dopo.

 

0 Commenti

Devi fare login per commentare

Login

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.