Lavoro

La guerra fra i signori dei traghetti rischia di affossare l’industria marittima

17 Febbraio 2016

La prima bordata l’ha lanciata a fine novembre Vincenzo Onorato. Da allora fra l’armatore proprietario di Moby e Tirrenia ed Emanuele Grimaldi, titolare dell’omonimo gruppo e presidente di Confitarma, l’associazione confindustriale degli armatori, è in atto un duello sempre più aspro, a colpi di comunicati stampa, accuse, repliche, lettere ai marittimi e pagine di giornale (anche a pagamento) per esporre le proprie ragioni.

Una battaglia che rischia di minare le fondamenta di un intero settore industriale. Perché il vero motivo della querelle è la concorrenza fra i due maggiori armatori di traghetti d’Italia. Ma gli argomenti utilizzati riguardano interessi assai più generali: dalle decine di migliaia di lavoratori coinvolti, alla complicata fiscalità di favore di cui gode l’armamento italiano fino agli ambigui rapporti intrattenuti negli ultimi 15 anni da sindacati e impresa.

Inizialmente Onorato ha accusato Confitarma di pressare per l’estensione degli sgravi fiscali previsti per la bandiera italiana alle bandiere comunitarie, con conseguente possibile perdita di 15.000 posti di lavoro per i marittimi italiani a causa dell’apertura agli extracomunitari (meno costosi per l’armatore) che ciò comporterebbe. La difesa sostiene che tali modifiche siano imposte dall’obbligatorio adattamento della nostra normativa a quella comunitaria, senza peraltro comportare i suddetti tragici effetti. Il tenore si è inasprito fino agli attacchi personali (“Grimaldi imbarca extracomunitari dove non potrebbe”, “Onorato è sotto pressione per le accuse di concorrenza sleale e abuso di posizione dominante”). E all’auspicio, da parte di Onorato, di cancellazione degli sgravi fiscali per gli armatori (lui compreso) e, da parte di Grimaldi, di azzeramento delle sovvenzioni che lo Stato paga (per la continuità territoriale) a Tirrenia per effettuare servizi su cui operano anche altri armatori concorrenti.

Ma la materia non si presta a semplificazioni. Innanzitutto Onorato ha sollevato il problema delle regole sull’imbarco degli extracomunitari solo da 3-4 mesi, cioè da quando Grimaldi ha avviato una serie di linee in concorrenza con quelle effettuate dalle sue compagnie, principalmente da e per la Sardegna. E da quando è stato avviato il processo di privatizzazione del terminal passeggeri (crociere e traghetti) di Livorno. Dove Onorato ha storicamente avuto un ruolo predominante e dove, ora, però, è in lizza anche Grimaldi (la gara è in corso). In secondo luogo, il quadro normativo vigente relativo agli imbarchi risale ad oltre 15 anni fa e le suddette modifiche alle regole sul trattamento fiscale riservato dall’Italia ai suoi armatori, effettivamente richieste da Bruxelles, non avranno alcuno effetto su di esso.

La deroga

L’armatore di Moby prende di mira quello che è effettivamente un unicum (la situazione di Grimaldi) ma chiedendo «l’abolizione dei privilegi fiscali alle navi battenti bandiera italiana che imbarcano extracomunitari, impegnate in collegamenti fra paesi comunitari», mette a rischio tutto il sistema del Registro Internazionale. Una norma che, per l’ambito per cui fu pensata (tutti i trasporti via mare fuorché i traghetti), ha funzionato nel suo intento di salvaguardare per quanto possibile l’occupazione e, contemporaneamente, garantire all’Italia la permanenza (fiscale) delle sue imprese armatoriali.

Nel 1998 si istituì il Registro Italiano Internazionale, una sorta di albo speciale da affiancare alle tradizionali Matricole Nazionali. Il provvedimento fu preso per ‘rimediare’ alla legge 234 del 1989 (cosiddetta legge sul noleggio a scafo nudo) che aveva portato gli armatori italiani ad un ampio uso di bandiere estere di comodo (con conseguente nocumento per la fiscalità nazionale) e quindi di personale extracomunitario. La norma era destinata ai traffici internazionali e infatti, inizialmente, escludeva espressamente il cabotaggio. E, grazie all’introduzione di un articolato e cospicuo sistema di sgravi fiscali e contributivi, riuscì negli anni immediatamente successivi nel suo intento di riportare alla bandiera nazionale gli armatori italiani. Secondo dati Cgil, che anche recentemente è intervenuta nella querelle a difesa del Registro, fra il 1998 e il 2014 i marittimi italiani/comunitari imbarcati su navi italiane (cresciute da 1.331 a 1.543) sono passati da 18.500 (su 23.311) a 23.120 (su 38.990).

Oltre agli sgravi, gli armatori italiani ottennero nell’ambito del Registro la possibilità di derogare all’imbarco di soli comunitari sulle proprie navi previsto dal Codice della Navigazione, previo accordo, però, con le rappresentanze sindacali. La cornice di tale accordo fu sottoscritta nel febbraio 2002 da Confitarma e sindacati confederali: ok alle deroghe per tutte le navi iscritte nel Registro Internazionale, nessuna deroga invece per i traghetti di linea, allora iscritti nelle matricole nazionali. Ma attenzione alle date. All’epoca, infatti, le navi impegnate nel cabotaggio, ossia il trasporto fra scali italiani, non potevano essere iscritte nel Registro Internazionale. Nel settembre 2003 questo divieto cade: l’obbligo di personale comunitario sui traghetti nazionali venne confermato, ma con la possibilità di deroga in presenza di intese con i sindacati.

La «tassa» ai sindacati

Nel frattempo, proprio per invogliare i sindacati a non opporsi alla deroga, nel febbraio 2003 Confitarma raggiunse un altro accordo con i sindacati dei marittimi afferenti a Cgil, Cisl e Uil. Da allora gli armatori pagano alle sigle confederali un contributo annuo per ogni marittimo imbarcato su navi iscritte al Registro Internazionale: 300 dollari annui per marittimo in caso di equipaggio misto, 190 euro cadauno per l’equipaggio comunitario. Un versamento di cui si fatica a comprendere la ratio, e di cui nessuno parla volentieri. Ma è un fatto che la deroga sindacale sull’obbligo di personale comunitario Grimaldi l’abbia ottenuta e ogni altro armatore di traghetti, Onorato compreso, no.

La guerra fra i due signori dei traghetti

Onorato magari imbarca italiani (o comunitari) perché, come afferma, crede sia giusto farlo, ma non potrebbe comunque fare diversamente perché non ha la deroga. Resta da capire perché Grimaldi sia l’unico ad aver ottenuto il placet sindacale, stante il fatto che tale intesa è evidentemente border line, perché gioca sul mancato aggiornamento dell’accordo del febbraio 2002 alle modifiche del R.I. successivamente intervenute, e di fatto ne tradisce lo spirito. L’accordo del 2002, infatti, si limitò ad escludere dalle deroghe i traghetti iscritti alle matricole nazionali e non anche quelli iscritti al Registro Internazionale solo perché all’epoca il Registro Internazionale non prevedeva di fatto l’iscrizione dei traghetti.

La guerra fra Grimaldi e Onorato è potenzialmente esplosiva. Nel settore serpeggia il timore che la ribalta mediatica possa attirare attenzioni e provvedimenti grossolani a danno di un sistema di sostegno pubblico all’armamento decisamente articolato. Peccato che chi avrebbe la potestà e la facoltà (forse il dovere?) di chiarirla, la competente direzione generale del Ministero delle infrastrutture e trasporti sia rimasta finora silente.

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LEGGI QUI LA LETTERA DI PRECISAZIONE DI VINCENZO ONORATO

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