Lavoro

La dignità del lavoro non si paga coi voucher

13 Luglio 2018

Non più tardi di un anno fa Gentiloni correva ai ripari in fretta e furia e aboliva i voucher preoccupato per un referendum promosso dalla Cgil che, forte  anche del sostegno del Movimento 5 Stelle, poteva rivelarsi lo schiaffo finale al PD Renziano, allora al governo.

Scampato il pericolo, con una lettura alquanto ardita del concetto di democrazia popolare, sempre Gentiloni li reintrodusse (e attualmente, sia chiaro,  sono ancora pienamente operativi) modificandoli un poco ( più soldi ai lavoratori, qualche ostacolo burocratico per le aziende, un nuovo nome), giusto quel poco necessario a far loro perdere di appeal nei confronti di un nugolo di imprenditori che ormai si era  abituato a pagare così i propri dipendenti, magari arrivando ad accarezzare il sogno di poter retribuirli  in natura o di non pagarli proprio.


Luigi Di Maio in campagna elettorale aveva ampiamente cavalcato la tigre del precariato immiserito dal Jobs Act, e l’ambizioso disegno di accorpamento di due ministeri strategici come Lavoro e Sviluppo sotto la sua unica guida, pareva connotare del rosso di un socialismo webbarolo  il “cambiamento”  promesso;  il primo atto operativo compiuto, la convocazione di un tavolo per i riders ossia per gli sfruttati più sfruttati che ci siano , e infine la scelta  felice del nick “dignità” per il suo primo decreto  hanno  fatto gonfiare il petto a quella non ben quantificabile massa di elettori delusi dalla sinistra che avevano contribuito, nel segreto dell’urna, ad incoronarlo.

I detrattori dei pentastellati hanno sempre denunciato come limiti  la loro scarsa preparazione al governo della cosa pubblica, la loro inesperienza, la loro poca attitudine all’approfondimento, e anche la loro presunzione, caratteristiche che paiono essere cifra distintiva anche dello zoccolo duro del loro elettorato.

La retromarcia di queste ore  sui voucher ne è la riprova, della scarsa conoscenza della materia lavoristica certo, ma anche della debolezza complessiva di un partito senza strutttura che si sta facendo mangiare ossigeno e spazio da Salvini e dalla Lega che hanno ben altra esperienza dei corridoi di Montecitorio, nonché ben chiaro chi sia il loro elettorato di riferimento.

Di Maio non se la può cavare dicendo che  i buoni lavoro vanno bene per Turismo e Agricoltura e che bisogna  solo vigilare sugli abusi, perché queste cose le aveva già dette e anche in parte provato a farle, il ministro “del calcetto”, Giuliano Poletti.

Esite poi una contraddizione grossa come una casa in questa affermazione: se i voucher servono in linea teorica a pagare lavori occasionali (“i lavoretti”) bisorrebbe capire cosa è realmente occasionale e cosa no.

Il lavoro nel turismo e in agricoltura può essere al limite stagionale ma non occasionale a prescindere.

I voucher non possono poi essere utilizzati in settori tuttaltro che residuali (parliamo di milioni di addetti)  in cui non più tardi di un anno fa INPS registrava un utilizzo superiore  ai sei zeri e da cui si evinceva  chiaramente un enorme effetto di sostituzione di forme di lavoro stabile.

Nel Turismo sono stati usati da colossi della ristorazione a partire da catene come Burger King o Mc Donalds, non solo dal povero proprietario del chiosco sulla spiaggia.

Le imprese che si stracciano le vesti perché a corto di flessibilità, in realtà cercano solo di risparmiare qualcosa come pochi euri su un’ora di lavoro o peggio, avere una sorta di indulgenza governativa sul lavoro nero.

Le flessibilità ci sono, le prevedono i contratti, o le leggi che regolano (si fa per dire) il nostro mercato del lavoro.

Purtroppo questa è la realtà dei fatti,  incontrovertibile, certificata, eppure occultata, una  realtà che le tante dirette facebook di Di Maio non hanno voglia di raccontare.

Ma la manica larga sui voucher può rivelarsi un boomerang proprio rispetto alla colossale operazione mediatica ancora vuota di contenuti del contratto nazionale dei riders, finora fiore all’occhiello del nostro super Ministro.

Sarà semplicissimo infatti per imprese come Foodora e Just Eat contribuire alla costruzione di un contenitore tanto strombazzato quanto vuoto in quanto aggirabile il giorno successivo, facendo la figura delle socialmente responsabili e nel contempo guadagnandoci pure.

La sottocultura dei lavoretti rischia di trovare  così una inaspettata ancora di salvataggio sintentizzabile in: “piglia un voucher e pedala” ad opera proprio di chi, almeno a parole, a quella sottocultura avrebbe dovuto infliggere un colpo mortale.

 

 

 

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