Lavoro
Intervista alla mamma-manager (quasi pentita) di una baby modella
Conosco Claudia D. da diversi anni, dal mio primo Pitti Bimbo (la manifestazione più importante dedicata alla moda bimbo del nostro Paese, che vale per l’Italia 2,7 miliardi di euro). L’ho intervistata ampiamente nei mesi scorsi, e qualche giorno fa mi ha scritto per raccontarmi del suo presente: da qualche mese sua figlia è fuori dal circuito moda poiché ha superato la fatidica soglia del metro e trenta d’altezza richiesto per prendere parte alle sfilate e alle pubblicità. Claudia D., ha 36 anni e vive in Brianza, fino a poche settimane fa faceva la “mamma manager e passavo tutto il tempo da una parte all’altra di Milano: casting, prove, pubblicità e shooting fotografici. Poi, con cinque centimetri in più, tutto è andato: ormai siamo troppo grandi per questo mondo”.
E adesso?
Sono tornata a fare la casalinga.
Ti manca quel tran tran?
Sì. L’ho assaporato per parecchio tempo, e adesso il tempo è morto.
Perché morto?
Perché non c’è più adrenalina. Quando sei sul set, ti senti protagonista. Tua figlia è bella, è richiesta e tutti ti fanno i complimenti, tutti ti vogliono: ti chiamano agenzie di moda, di pubblicità e poi c’è Pitti dove i bambini sfilano in passerella, i fotografi stanno in fondo e tutti sono su di giri. Il mondo della moda vissuto da protagonista diventa una droga.
Anche se la protagonista non sei tu, ma tua figlia?
Scusami ma che cambia? Alla fine chiamavano me.
Sei stata nel mondo della moda bimbo per parecchi anni.
Per questo ti dico che mi mancherà per sempre. Ho anche pensato di fare un altro figlio, l’ho detto a mio marito e lui mi ha riso in faccia.
Qual è la cosa che ti piaceva di più?
Quando dopo un provino mi chiamavano per dire che avevano scelto noi.
La cosa che non sopportavi?
Le altre mamme. Alcune super arroganti e prepotenti. Altre aggressive come se in gioco ci fosse il futuro del mondo, o quantomeno dei propri figli. In questi anni ne ho visti di tutti i colori. Da mamme che tenevano le proprie figlie di cinque, sei anni a dieta ad altre che le portavano a fare la pulizia del viso a sette anni. Per non parlare di manicure, riflessanti ai capelli, sedute di palestra e massaggi.
E tu?
Io non ho mai fatto niente di tutto questo. Al massimo uno shampoo alla camomilla.
Domani è la giornata mondiale dei diritti dei bambini e delle bambine. Secondo te i bambini italiani che lavorano nel mondo della moda possono essere definiti lavoratori?
Ci pagano troppo poco perché sia lavoro. Trenta euro per un servizio fotografico, cento per una giornata sacrificata per una pubblicità. Se lo fai, lo fai perché ti piace. E perché ti senti bene, diventi protagonista.
Secondo te i bambini sui set subiscono delle violenze?
Niente di equiparabile a quello che accade ai minori sfruttati nei Paesi del terzo mondo, certo. Anche se siamo pagati zero, è sempre un lavoro: ci sono orari da rispettare, regole, obblighi.
Tu nei tuoi anni di lavoro, ti sei mai sentita obbligata a fare un lavoro anche se non volevi?
Più di una volta.
E perché non ti sei tirata indietro?
Perché se sei fuori una volta, sei fuori sempre. Nessuno te lo dice, ma è così.
Pare una sorta di ricatto permanente.
Si. Ed è molto silenzioso.
Puoi farmi un esempio di quanto ti è accaduto?
Una volta mia figlia aveva la febbre alta, ma doveva fare delle foto. Chiamai il fotografo e lui mi disse di non preoccuparmi: le avrebbero messo più trucco.
Il servizio fotografico come andò?
Per lei fu un incubo. E anche per me.
Non pensasti che forse era il caso di non proseguire?
Per un attimo sì. Poi vidi le foto, e cambiai idea. Le ho ancora in salotto. Le guardo e ogni volta penso che sono bellissime.
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