Lavoro

Cronache televisive. Il posto giusto?

26 Aprile 2015

Ogni domenica all’ora di pranzo mi sintonizzo su “Il posto giusto” (Rai3, ore 13:00)  un «programma di informazione ed approfondimento sui temi del lavoro: le sue opportunità, i suoi attori, i suoi mercati, i suoi strumenti», come annuncia il sito Rai. Non sono disoccupato  e guardo il programma con la curiosità del piccolo borghese conservatore che ha chiuso i propri conti con la vita del lavoro. Ma che non ha dimenticato che in Italia il mondo del lavoro è luogo fisico e mentale ove si esperiscono i più grandi dolori per quelli che occupano il posto più o meno giusto e una fortezza inespugnabile per  quelli che stanno fuori e che disperati, vorrebbero entrarci.

Ora, se io fossi un giovane in cerca di lavoro guarderei questo programma con una disperazione aggiuntiva perché invano cerco  e trovo informazioni  e approfondimento pratici e spendibili.  Anzi credo che l’unica che per intanto abbia trovato lavoro è proprio la bella conduttrice (oggi in vaporosa gonna pantaloni blu elettrico che si specchiava nella telecamera con l’aria di una principessa) Rebecca Vespa Berglund.

Lo stile della trasmissione è un mix di romanesimo televisivo, grigiore burocratico e glamour dozzinale come si è soliti ormai incrociare nei programmi standard di questa stanca tivù di stato. Il romanesimo è dato dalle interviste realizzate perlopiù fuori porta, a Pomezia, o per la prevalenza di accenti trasteverini qua e là (quelle fatte “da Nord a Sud” invece testimoniano che a Milano si trova lavoro nel terziario avanzato e al sud nella pasta di Gragnano, che è una specie di truismo al quadrato); il lato burocratico è coperto da Società parastatali  che più che a rosicchiare cifre di bilancio pubblico non credo siano intente, oltre a parlare un indigesto anglopovero di prammatica (flexicurity è la parola di oggi);  per il glamour  in platea c’erano un buffo cineasta di successo in preda a compiaciuti attacchi di riso, un bellimbusto salentino che da economista semi-disoccupato si è convertito felicemente in “antropologo del cibo”,  e uno skipper sardo con tutti i riccetti rigorosamente e accuratamente disordinati, ossia tre improbabili manifestazioni del “lavoro astratto” – di chi ce l’ha fatta o sta per farcela, una sorta di salamino appeso per i salti disperati di chi ha fame di  “lavoro concreto”. Aleggia nell’aria, nel gioco di luci, negli stacchetti musicali, nelle zoomate delle telecamere, quell’atmosfera di avanzato stadio di defilippizzazione cui è piegato anche un dramma come quello certificato dalle statistiche sulla disoccupazione giovanile italiana.

Rivedrò il programma per pura voluptas dolendi anche domenica prossima compiacendomi in compagnia della conduttrice  – garrula e sprizzante  vitalità –  come se si fosse insieme soggiornanti nell’“Hotel Abisso” con vista sulla disperazione sociale, quell’Hotel Abisso di  cui discorreva  Lukács chiosando la filosofia di Schopenhauer, pessimista sì, ma in fondo « l’abisso del nulla, il tetro sfondo dell’assurdità dell’esistenza, non fanno che aggiungere un fascino piccante a questo nostro godimento della vita».

^^^

Nella foto in alto “Grand Hotel Budapest” dal film omonimo tratto da “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.