Lavoro
Il diritto di un libero professionista di ammalarsi
Il freelance in malattia è una specie da studiare e osservare da vicino. Come un panda, un pesce degli abissi, un pianeta ignorato lontano dal sole.
I virus, si sa, possono colpire chiunque con la stessa medesima imprevedibilità bastarda. Prendiamo ad esempio l’influenza, anche se sotto all’ombrello “malattia” ci sta, lo sappiamo, il dicibile e l’indicibile.
Il fenomeno, quando colpisce un malcapitato libero professionista – libero perché può ammalarsi come tutti, mica per altro – diventa interessante per diversi motivi. Prima di tutto la malattia, compatibilmente con la possibilità psicofisica di svolgere ugualmente il lavoro, può essere comunicata o non comunicata al cliente o ai clienti (che non sono datori di lavoro ma clienti). Perchè se sei freelance non servono certificati, non c’è il rischio di visite fiscali e l’agenda è flessibile. Se il tuo studio è la tua casa, calda e con tutte le comodità, è tutto a posto.
Invece no, perchè a tante presunte libertà corrispondono sempre meno diritti.
Non esistono malattie pagate, visite convenzionate, colleghi che sostituiscono chi è assente, passaggi temporanei di consegne. Durante la malattia o non si lavora o si lavora ugualmente, per non perdere consegne, progetti, occasioni. Oppure si garantisce disponibilità parziale, se si ha la fortuna di qualche collaborazione minimamente stabile senza il rischio di rimpiazzi, per la quale anche le urgenze possono essere allentate. Ma c’è anche chi, vista la condizione di perenne e indiscussa disponibilità del libero professionista, infilano uno “scusami lo so che stai male però” prima di ogni richiesta inderogabile.
Sul tavolo di un libero professionista non c’è mai la salute che esige la priorità, c’è sempre e comunque il lavoro: è il primo pensiero se il termometro dice febbre, è la prima preoccupazione se ti ricoverano o devi usare le stampelle e perdi l’autonomia. Tra le soluzioni possibili c’è l’assicurazione medica, per piccoli e/o grandi interventi, esami, bisogni sanitari. Ma è comunque un costo che quasi nessuno può permettersi, specialmente se poi fortunatamente in un anno si prende solo un raffreddore e quella rimane un’uscita non ammortizzata.
Spingendoci più in là, è doveroso ricordare una novità di questo esordio di 2016: nella nuova bozza dello statuto del lavoro autonomo a cui sta lavorando il governo è scomparsa la norma sulla tutela delle malattie oncologiche dei lavoratori autonomi. II periodo di copertura della degenza dominiciliare riconducibili alle terapie oncologiche resta, al momento, a 61 giorni e non più a 180 come previsto dalla bozza dello statuto. L’ha denunciato l’Acta – associazione dei freelance – nel quadro già complesso di una normativa in evoluzione, per certi versi comunque un passo avanti nel colmare un enorme divario sociale, giuridico e fiscale.
Una partita che riguarda anche le 19 professioni iscritte a ordini nazionali, dai giornalisti agli avvocati, fino a architetti e ingegneri: con tempi, motivi e dinamiche diverse, tutte categorie che piano piano stanno vedendo la morìa di una non più sostenibile libera professione. Preoccupante anche un altro passaggio della norma, nella quale per il Governo non è ritenuto un “abuso” contro la partita Iva il pagamento delle fatture a 60 giorni ma a 90.
Questo non è il muro del pianto, è la realtà quotidiana di chi per scelta o per necessità – che spesso coincidono – decide che una libertà apparente sia meglio della disoccupazione a tutti gli effetti.
L’attesa di una riforma vera cresce, la pazienza cala, l’autonomia economica è inesistente.
Ma come si dice? Basta che ci sia la salute.
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