Lavoro
Il caso riders, regolamentare le nuove forme di povertà
“He works his hands to the bone
To give her money every payday
I won’t pay, I won’t pay ya, no way
Na-na, why don’t you get a job?”
Si è tenuta a Glasgow la ventiseiesima conferenza sul clima in cui si è ribadita la necessità di vivere in un ambiente più sano, dando impulso a un’ economia più virtuosa che tenga in considerazione le esigenze del pianeta, così come dei popoli che lo abitano. Un’economia etica e solidale che rispetti i diritti di ogni essere umano che abiti la terra ad essere tutelato, valorizzato, rispettato.
Di contro, esiste la gig economy, un’economia basata sul lavoro a chiamata, occasionale, temporaneo e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da tutele contrattuali.
Un tipo di economia che genera una nuova povertà, un nuovo proletariato, quello che non riesce a fare progetti, che non può realizzare il sogno di comprare una casa, mettere su famiglia. Vive un caporalato che non è quello dei raccoglitori di colore sfruttati nei campi, ma uno nuovo: quello legato alla velocità, tempestività, che il nostro mondo accelerato, cui le nuove tecnologie hanno dato impulso, ha creato.
Caso lampante sono i lavoratori Amazon, o i riders. Come il ciclista di Metzinger incarna l’ansia di velocità tanto che corpo e macchina sembrano fondersi, così questi lavoratori a mò di macchine devono effettuare consegne in tempi rapidi poiché sono soggetti ad un controllo esercitato attraverso un’applicazione digitale preinstallata su smartphone o tablet.
Al numero di ordini andati a buon fine viene attribuito un punteggio, ciò li sottopone ad una pressione continua a cui non possono sottrarsi, pena la retrocessione o il licenziamento.
La Procura di Milano ha condotto dal luglio 2019 un’indagine, originata da alcuni infortuni stradali occorsi a ciclofattorini, riders, impiegati dalle aziende di food delivery per la consegna di prodotti ordinati tramite le piattaforme online. L’indagine, partita a livello locale, si è poi estesa, interessando l’intero territorio nazionale. A seguito delle analisi delle risposte degli intervistati, queste modalità organizzative del lavoro non sono state ritenute coerenti con lo schema contrattuale utilizzato nella maggior parte dei contratti, nei quali la tipologia risulta essere quella del lavoro autonomo di tipo occasionale. La Procura ha quindi ritenuto di poter compiere un ulteriore passo verso la riqualificazione contrattuale del rapporto di lavoro in essere tra le società di food delivery e i riders, contestando che debba essere inquadrato nella fattispecie prevista dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 81/2015 e cioè nella prestazione di tipo coordinato e continuativo. In definitiva, quindi, i rider sono da considerarsi alla stregua di lavoratori subordinati.
Le conseguenze del periodo pandemico da un punto di vista economico sono state ovunque devastanti; oltre alla tragedia di vite umane perse, ha evidenziato quanto fragile fosse l’economia di un Paese, il nostro, in cui tanto fatturato proveniva dal sommerso, e da un lavoro precario privo di garanzie e tutele. Abbassare il costo del lavoro, sopprimendo diritti, non è una scelta fruttuosa, non si guadagna in competitività, ma solo in competizione e in una qualità lavorativa scadente.
Non solo la delocalizzazione, ma anche portare il lavoro a casa, rendendolo smart, ha rappresentato per tutto l’indotto che ruota intorno al lavoro impiegatizio che si svolge negli uffici, nelle banche, una battuta d’arresto. Lavoro smart o agile, come è stato denominato, ma che di agile ha ben poco considerando che tra le mura domestiche molti, soprattutto le donne, hanno dovuto svolgere più mansioni: quelle di madri, di impiegate, di supporto ai propri bambini impegnati nella Dad.
Secondo il Filosofo Sergio Labate, l’accelerazione dei tempi di lavori introdotti dall’uso di piattaforme e dallo smart working ha comportato una ricchezza di tempo per il consumo e al tempo stesso nuove povertà: di retribuzione, di diritti, ma anche di relazioni. In particolare, il rider è un lavoratore un po’ più povero, nel suo caso la dialettica non è tra autonomia e subordinazione, ma tra solitudine, isolamento e subordinazione. Durante la pandemia erano tra i pochi lavoratori a spostarsi, soprattutto di sera, in spazi desolatamente vuoti, un vuoto che ben rappresenta la vita di chi un futuro non riesce ad immaginarselo se non continuando a riempire le pance di coloro a cui effettua consegne.
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