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Il buon Natale del precario
La vigilia di Natale del precario inizia con una sveglia. Alle 7, come un giorno qualunque. Deve andare al lavoro. Bisogna dare il massimo perché il contratto part-time scade tra 7 giorni. Il 31 dicembre, infatti, è l’ultimo giorno. A novembre il suo principale datore di lavoro aveva promesso un rinnovo “senza problemi”. Poi a dicembre il rinnovo “senza problemi” è diventato un po’ problematico.
“Sai, dobbiamo valutare le cose”, gli è stato detto. “Ma come…”, ha abbozzato il precario per replicare. Pensava che la situazione fosse diversa rispetto agli anni scorsi. Invece no, come sempre la promessa certa di novembre è diventata incerta a dicembre, proprio sotto Natale. Alla fine si è convinto. “Del resto ci sono i turni natalizi da coprire. Mi vogliono stimolare”, ha ricordato. Quindi bisogna dare il massimo a fine dicembre per firmare il nuovo contratto, forse di un anno, il 2 gennaio. “È tutto come al solito, insomma”, pensa.
Il precario, durante la colazione, fa un promemoria mentale sui bonifici che sta aspettando dalle attività autonome (gli altri dicono da freelance, che fa sembrare la cosa più interessante) che gli garantiscono la sussistenza, quasi tutti i mesi. Si rallegra del fatto che, finalmente, il Giorno di Natale non lavorerà e potrà riordinare le ritenute d’acconto che si sono accatastate per i vari micro-lavori svolti. Calcola l’ipotetico conto in banca, quello che prevede il saldo di tutte le collaborazioni prima che ci sia l’accredito reale. Forse potrebbe arrischiarsi a spendere una decina di euro in più per il regalo. “Sei sicuro?”, si domanda. Poi sospira come risposta a se stesso.
Pensa alla sua amica, Sara, che ha perso il lavoro, in nero, in un’agenzia di comunicazione proprio quindici giorni fa. Non farà nemmeno causa, perché il posto in cui lavorava ha chiuso per fallimento; l’altra amica, Benedetta, dopo 4 anni di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, sta lavorando “in attesa di rinnovo”, che forse ci sarà tra Natale e Capodanno. In pochi si prendono la briga di informarti in dignitoso anticipo.
E c’è l’altro amico, Alex, messo peggio di tutti. In 12 mesi ha cambiato almeno 6-7 lavori, dal bancone di una pescheria alla vendemmia, passando per aiuto meccanico, aiuto imbianchino, aiuto idraulico. Ogni lavoro, rigorosamente temporaneo, prevedeva un pagamento a prestazione. Una volta si sarebbe detto a cottimo, ora è una formula disdicevole. Meglio parlare di prestazione, è più incoraggiante e moderno. Dà un senso di dinamismo.
Il precario pensa addirittura alla sua ex ragazza che gli aveva chiesto qualche prospettiva per il futuro. Lei ha preferito la prospettiva di un nuovo ragazzo con un contratto a tempo indeterminato.
Il precario, di indeterminato, ha solo il futuro.
Intanto maledice la Legge di Stabilità che ha cambiato il regime dei minimi delle Partite Iva. Avrebbe voluto aprire una Partita Iva per mettere insieme in maniera organica tutti gli altri lavoretti per arrivare a un simil stipendio. Ma, ora, a conti fatti non gli conviene più. Quasi gli va di traverso la spartana colazione del 24 dicembre.
Il pensiero corre all’inizio del 2014, quando sperava in Renzi, appena diventato leader del Pd. I progetti di riforme, la voglia di cambiamento. Una nuova speranza dopo la fiammella accesa da Grillo, dal Movimento 5 Stelle. Ma niente, dopo pochi mesi si trova a rimuginare, nella migliore delle ipotesi, sul Jobs Act e sul furibondo dibattito sull’Articolo 18.
Il precario, all’improvviso, sente l’odore di cibo provenire da un appartamento vicino. Inala l’odore della preparazione di piatti di pesce che gli ricordano quando era a casa sin dalla mattina del 24 dicembre, con la madre che preparava gli stessi piatti e lui studiava perché l’8 gennaio c’era un esame. Sorride, giusto un secondo. Poi deve uscire per andare al lavoro, con la consapevolezza che arriverà più tardi a casa, ma ci sarà comunque la famiglia ad aspettarlo.
E così, almeno per qualche ora, potrà riporre l’amarezza, l’incertezza, il senso di frustrazione per sedersi a tavola e augurare buon Natale a quelli che – come lui – resistono ogni giorno.
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