Lavoro
Riders: ecco perché è impossibile risolvere la questione “per legge”
I recenti provvedimenti della Procura milanese e dell’Ispettorato del Lavoro, pur avendo il corretto obiettivo di evitare la condizione di sfruttamento cui sono sottoposti i riders, in realtà non tengono conto di una serie di elementi che, paradossalmente, accomunano le piattaforme e i riders stessi in una sorta di possibile rifiuto delle misure che si intendono adottare.
Questo per una serie di motivi insiti proprio nelle finalità esistenti e nel rapporto tra le due parti in causa, e che si possono comprendere chiaramente tornando a rileggere i risultati di un’indagine realizzata prima dell’inizio della pandemia, sia quantitativa che qualitativa, con interviste in profondità, in cui si era cercato di fare il punto sulla complessa situazione di uno sfruttamento piuttosto anomalo dei riders (milanesi, ma molto simile un po’ in tutta Italia ed Europa).
Qui di seguito vengono enumerati alcuni degli aspetti maggiormente significativi e particolarmente controversi ricavati da quella indagine.
A) L’estrema varietà del fenomeno “riders”, particolarmente difficile da mettere a fuoco perché si costituisce prima e si sta consolidando ora una zona grigia fra lavoro professionalizzato e lavoro occasionale, fra persone che vivono di questa attività e altre che arrotondano solamente le proprie entrate; si tratta oltretutto di un fenomeno in costante evoluzione, con ciò che tale evoluzione inevitabilmente implica: la sostituzione degli occasionali con i professionalizzati e la conseguente maggiore necessità di interventi volti a disciplinare meglio questo settore, nonché a tutelare di più chi vi lavora.
B) Ugualmente variegata appare la struttura di incentivi messa a disposizione del lavoratore, anche perché tale struttura incide considerevolmente sulla domanda o meno di cambiamenti nella disciplina del settore: il punto cruciale è il fatto che da un lato vi sono appunto studenti che fanno i rider per arrotondare le entrate “famigliari”, lo fanno per un periodo di tempo molto breve e in via del tutto transitoria, e quindi non nutrono nessun interesse particolare verso l’introduzione di una regolamentazione stringente nei confronti dei datori di lavoro e dei turni di lavoro; dall’altro, vi sono gli immigrati, che in prospettiva rappresenteranno il montante più significativo dell’offerta di lavoro del settore, soprattutto nelle grandi realtà urbane come Milano, che -sebbene abbiano un rapporto più continuativo con questo lavoro- non è detto che aspirino a una regolamentazione stringente perché potrebbero avvertire maggiormente l’incentivo a guadagnare di più lavorando in una logica cottimistica. Ecco il motivo per cui piattaforme da una parte e riders dall’altra potrebbero entrambi non essere particolarmente propensi ad una forte regolamentazione del proprio rapporto.
C) La presenza di una copertura assicurativa per eventuali incidenti che potrebbero intercorrere nel corso delle consegne è confermata da larga parte degli intervistati e in particolare da parte dei riders italiani, anche se per quel che concerne le condizioni di tale copertura non sembra esservi grande chiarezza. Sono poi soprattutto i riders stranieri a risultare ben poco informati su ciò che riguarda le garanzie assicurative nello svolgimento del proprio lavoro.
D) I riders non tendono in generale a sviluppare una “coscienza di gruppo”: le consegne vengono svolte individualmente e le uniche occasioni di ritrovo riguardano le eventuali pause di lavoro in prossimità di ristoranti o pizzerie. Sono viceversa soprattutto i riders non italiani quelli che sviluppano una maggiore attitudine cooperativa, finalizzata al reciproco aiuto rispetto alle coordinate di consegna, non sempre di facile interpretazione da parte di stranieri che conoscono poco la lingua italiana.
E) Sempre per quel che riguarda i riders non italiani, è assai probabile si instaurino fra di essi alcune pratiche di tipo cooperativo o di team, che includono l’eventuale sostituzione nelle consegne (come segnalato da numerose interviste); è tuttavia assai difficile discriminare fra le caratteristiche cooperative di tali pratiche e l’instaurazione di un regime di caporalato, poiché le prove a riscontro di tali comportamenti sono ancora troppo limitate e confuse. Si tratta comunque di un ambito sul quale sarebbe utile procedere a ulteriori approfondimenti.
F) Le modalità di organizzazione del lavoro e la disciplina giuridica dei diritti assicurati ai riders nell’esercizio della propria attività sono un altro punto controverso. Degli incentivi diretti ad una disciplina più rigida abbiamo già detto. L’assenza di un contesto lavorativo contraddistinto da un elevato grado di interazione reciproca certamente non favorisce la creazione di azioni collettive a scopo rivendicativo.
Tutti aspetti, quelli elencati, aggravatisi drasticamente nel periodo di pandemia, che ancora hanno bisogno di una chiara definizione e di una proficua interazione tra le varie parti. E che non possono certo venir risolti unicamente a livello legislativo né tantomeno giudiziario.
Università Statale di Milano
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