Lavoro

I lavoratori, tra contagio e smart working

4 Marzo 2020

Tutti parlano degli effetti del Covid19 (e di come politica e media se ne stanno occupando) sulle imprese, ma in pochi raccontano il virus dal punto di vista dei lavoratori. Abbiamo chiesto a sindacalisti e delegati di 4 regioni interessate dalle misure sanitarie e una del sud che impatto ha l’emergenza sul lavoro e come viene vissuta dai dipendenti.

La foto pubblicata ieri mattina su Facebook (nel gruppo ‘Skatenati Electrolux’) è solo un minuscolo frammento di testimonianza di come il coronavirus stia influendo sulla vita di migliaia di lavoratori nelle aree toccate dal contagio: alle 5,40 di mattina decine di lavoratori dello stabilimento Electrolux di Porcia (Pordenone) in coda all’ingresso della fabbrica, in attesa di superare i controlli predisposti dalla multinazionale negli stabilimenti italiani – misurazione della temperatura e mascherina per tutti. Misure che la settimana scorsa avevano suscitato la reazione dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali. FIM FIOM e UILM hanno accusato la Electrolux di ‘procurato allarme’, osservando che i casi sono due: o c’è un pericolo reale e allora gli impianti vanno chiusi e sanificati e i dipendenti messi in cassa integrazione oppure si tratta di un provvedimento ingiustificato che sostituisce la ‘prudente azione di contenimento’ già in atto. Una scelta che le RSU respingono come una soluzione inutile, stigmatizzando il fatto che un’azienda privata si sostituisca alle autorità sanitarie prendendo provvedimenti che vanno oltre le indicazioni del Governo.

Electrolux, dietro front sulle mascherine

Dopo lo sciopero di un’ora e 45 minuti su tutti i turni effettuato venerdì però ‘l’Azienda ha fatto marcia indietro, cambiando il documento di valutazione del rischio – ci spiega Augustin Breda, storico esponente della FIOM nello stabilimento di Susegana (Treviso), dove si producono 800.000 frigoriferi l’anno – e ora i controlli della temperatura e l’uso delle mascherine sono solo su base volontaria. Perciò la situazione di stamattina a Porcia è incomprensibile e abbiamo protestato, osservando anche che se devi stare 15-20 minuti in coda per entrare in fabbrica non è pensabile che quel tempo sia considerato fuori dall’orario di lavoro’. Oltre a controlli e mascherine la direzione ha sottoposto ai dipendenti dei questionari sulle loro condizioni di salute, una prassi che in Emilia-Romagna, dove si trovano gli impianti Electrolux di Forlì e Cerreto d’Esi, CGIL CISL e UIL hanno denunciato come una forma illegittima di ‘profilazione di massa’. Tra gli impiegati, invece, è ricorsa al telelavoro, una scelta, che potrebbe rivelarsi rischiosa per i dipendenti. ‘Gli impiegati hanno scelto il telelavoro su base volontaria, come previsto dalla legge – osserva Breda – e con un’altissima adesione. Certo, dal punto di vista sindacale se tu dimostri all’azienda che il tuo lavoro lo puoi svolgere tranquillamente il rischio che poi quelle funzioni vengano esternalizzate c’è’. Possiamo dire che il coronavirus potrebbe diventare fonte di ispirazione per le imprese?  ‘Guarda, nel nostro caso credo che Electrolux, che è un marchio importante, abbia voluto tutelarsi il più possibile sia a livello di immagine che legale. Perché se un lavoratore si ammala e l’azienda non può dimostrare di aver preso tutte le misure necessarie per proteggerlo è chiaro che qualcuno potrebbe chiedergliene conto. Ma una situazione pur involontaria potrebbe diventare fonte di ispirazione’.

Appalti e turismo i più colpiti

Conseguenze ben più gravi si registrano soprattutto tra i lavoratori con minori tutele contrattuali, ad esempio tra chi lavora in quei comparti del settore pubblico investiti dalle misure precauzionali. ‘Il problema non riguarda tanto i dipendenti pubblici – ci spiega Maurizio Rimassa, coordinatore dell’Unione Sindacale di Base – USB in Liguria, dove il governatore Toti ha deciso la chiusura di scuole e musei prima ancora che ci fosse un solo caso di contagio – ma piuttosto gli operatori dei servizi ausiliari. Penso ad esempio al personale educativo di sostegno ai disabili nelle scuole, che spesso lavora per cooperative a cui il Comune, se gli assistiti sono assenti, non riconosce il contributo. Le cooperative se la risolvono mettendo i lavoratori in ferie e il rischio è che questi si ritrovino ai primi di marzo con una settimana di ferie bruciate, tanto più che qui il virus si somma alle ricorrenti allerte meteo. Proprio domani avremo un incontro col Comune di Genova e la Regione Liguria per cercare di affrontare la questione’. Per una regione come la Liguria poi il problema poi investe soprattutto settori come il turismo, dove l’utilizzo di tipologie contrattuali che legano le retribuzioni all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa (vedi il contratto a chiamata) rende concreto il rischio di perdere quote di salario. ‘Il problema – aggiunge Rimassa – è quanto durerà questa situazione. Se va avanti ancora una settimana tutto sommato è gestibile, se dovesse durare più a lungo c’è il rischio che i problemi si estendano ad altre attività economiche e con danni più profondi e per un numero maggiore di lavoratori’.

Trasporti, volanti puliti… con stracci sporchi

Uno dei settori più a rischio, visto il numero delle persone che si affollano sui bus, dovrebbe essere il trasporto pubblico locale. L’informazione ha riferito di imponenti interventi di sanificazione dei mezzi. Ma Marco Sansone, autista dell’ANM Napoli ed esponente di USB, in un video diffuso la scorsa settimana racconta il modo in cui la ditta a cui è afffidata la pulizia dei bus dell’azienda di trasporto napoletana, fa lavorare i dipendenti. Gli interventi hanno tenuto fermi nei depositi fino al 50% dei mezzi, ma con quali risultati? ‘I nostri RLS, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza – racconta Sansone – hanno visitato uno dei depositi, sono stati accolti malamente, quasi cacciati, dai responsabili della ditta. Sui mezzi “sanificati” invece di una vera e propria certificazione c’erano dei foglietti scritti a mano con la dicitura “vettura igienizzata”. Ma molti erano ancora sporchi e gli addetti sono costretti a pulire i volanti dei mezzi che noi impugniamo per guidare con stracci usati più volte e molto sporchi’ – prosegue Sansone, precisando di essere solidale con quei lavoratori che rappresenta anche sindacalmente. Dall’altro capo dello stivale, in Piemonte, una delle regioni colpite dal virus, ‘ci sono aziende che hanno ignorato la nostra richiesta di indicare agli autisti le procedure da seguire quando prestano servizio e addirittura ci hanno accusato di procurato allarme’, ma c’è di più, ci spiega Michele Schifone, autista della GTT di Torino e responsabile regionale dei trasporti di USB. ‘Con la chiusura delle scuole molte aziende di trasporto si ritrovano con personale in eccesso e c’è chi sta usando le sospensioni disciplinari, contestando ogni minimo episodio, per avere la scusa di lasciare a casa i lavoratori e scaricarsi un po’ di spese. Qualche giorno fa in una piccola azienda addirittura due giorni di sospensione sono stati applicati immediatamente, senza neanche darci il tempo di ricorrere al consiglio di disciplina, come è prassi comune’.

Lombardia, smart working ‘autogestito’

E in Lombardia, la regione più colpita? ‘Abbiamo un’azienda chiusa perché il padre di un dipendente è risultato positivo e lì, come altrove nel nostro settore, le aziende sono ricorse allo smart working, che del resto è già presente’ – racconta un delegato milanese della FISAC CGIL, settore bancario-assicurativo. ‘Ovviamente l’adesione è su base volontaria, ma, come ci si può immaginare, in un posto di lavoro la realtà è più complicata e se capi e capetti vengono sguinzagliati per reclutare dipendenti al lavoro da casa per molti è difficile dire di no, anche se noi del sindacato ricordiamo loro che non soono obbligati’. Ma come è possibile per un’azienda riconvertire il lavoro in ufficio in lavoro da casa così su due piedi? Semplice: ‘Ci sono aziende che chiedono ai dipendenti di svolgere le funzioni sia di call center sia di front line col proprio computer personale e utilizzando la propria connessione domestica e i lavoratori si adeguano, mentre per quanto riguarda l’utilizzo del telefono la situazione per ora è ferma. Alcuni intuiscono che in questo modo si crea un precedente pericoloso, ma perlopiù vanno avanti e tirano la carretta. Ci sono casi in cui sono gli stessi dipendenti che si assumono l’onere di organizzare il lavoro tramite gruppi “autogestiti” su Whatsapp. Vedremo cosa diranno tra qualche tempo, perché stare reclusi a lavorare in salotto può essere più alienante di quanto si pensi’.

E’ difficile dire quanto potrà prolungarsi l’emergenza. La politica, che dopo i primi casi è partita in quarta con una serie di toni e provvedimenti in larga misura discutibili, ora, sotto la pressione esercitata dalle aziende, si è improvvisamente riorientata alla sobrietà. L’impatto sul PIL, in questo momento difficile da valutare, ci sarà e le aziende più attrezzate, come sempre, approfittano degli shock di mercato come un’occasione per riorganizzarsi e trasformare i rischi in vantaggi competitivi. Ovviamente nessuno dice che poiché in ogni crisi c’è chi perde ma anche chi guadagna, si potrebbero tassare i sovrapprofitti dei secondi per aiutare i primi.

Il cosiddetto smart working è uno dei fenomeni che potrebbe ricevere un forte impulso dal coronavirus. In Italia per ora è largamente sottoutilizzato. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working della scuola di management del Politecnico di Milano nel 2019 erano 570.000 i lavoratori da casa, un dato in crescita del 20% rispetto all’anno precedente, ma ancora basso in termini assoluti, circa il 10% del bacino potenziale. E anche se i dati riferiscono che il 76% di chi lo pratica è soddisfatto (contro il 55% di chi lavora in azienda), è indubbio che le conseguenze su chi fa una scelta di questo genere, spesso – come si è visto – volontaria più nella forma che nella sostanza, si espone a una serie di incognite pratiche, ma soprattutto a un pericolo certo, quello dell’atomizzazione. L’unione fa la forza, ma unire lavoratori disseminati sul territorio e collegati soltanto virtualmente dal fatto di stare su una rete in fibra ottica che li unisce alla stessa azienda è più difficile.

Sciopero vietato per virus

Infine preoccupa l’iniziativa della Commissione di Garanzia sugli Scioperi nei Servizi Essenziali, che dopo aver lanciato un appello ai sindacati a sospendere ogni agitazione fino al 31 marzo, ha emesso un provvedimento con cui è passata dall’invito alla cancellazione d’autorità degli scioperi in calendario. Si tratta anche in questo caso di stabilire un precedente: sospendere il diritto di sciopero su tutto il territorio nazionale, anche nelle zone dove ancora non si conta un solo caso di contagio, scavalcando il potere esecutivo e le autorità sanitarie, tra l’altro con effetti paradossali, come quello di cancellare lo sciopero della scuola del 6 marzo, in un momento in cui gran parte delle scuole potrebbe essere chiusa e di tenere in servizio, bus, treni e metropolitane, cioè luoghi in cui tenere la ‘distanza di sicurezza di un metro’ è impossibile. L’ennesima conferma del paradosso determinato dal proliferare di centri di potere le cui prerogative spesso, in assenza di un’autorevole autorità centrale, si sovrappongono con esiti surreali.

L’articolo è tratto dala newsletter di PuntoCritico.info del 3 marzo.

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