Lavoro

Holacracy, Teal Org, SmartWorking, il futuro delle organizzazioni è già scritto?

12 Aprile 2018

Molto si discute sulla scomparsa del lavoro, in un futuro forse non troppo lontano, a causa delle nuove tecnologie. Molto meno si parla di ciò che sta già accadendo e che forse varrebbe la pena di guardare più da vicino. La riflessione sul presente e sul futuro prossimo, tra l’altro, ci consegna spunti interessanti e analogie tra mondo del lavoro, imprese e organizzazioni con scopi politici, come partiti, movimenti e altre forme organizzative.

Ci sono ovviamente diversi aspetti del mondo del lavoro e delle organizzazioni che richiederebbero di essere considerati uno alla volta, ma nel caso specifico proviamo a tenere uno sguardo più ampio per cercare di capire dove stiamo andando anche sulla base di alcuni segnali, seppur contraddittori, che già sono ampiamente visibili. In particolare, appare interessante l’intreccio tra futuro del lavoro, democrazia e tutti quei fenomeni di destrutturazione della forma organizzazione.

Prendiamo spunto quindi da alcune tendenze “evolutive”, già in atto da tempo e che riguardano le organizzazioni economiche.

1.     i modelli organizzativi democratici – ad es. holacracy, teal organization – che prevedono processi decisionali diffusi, dove il consenso e la capacità di influenzare sono espressioni di leadership naturali e non derivano da autorità conferita dall’alto, dov’è richiesta la massima assunzione di responsabilità individuale ma per perseguire quelli che sono gli scopi, evolutivi, dell’organizzazione.

2.     Il fenomeno dello smart working e dell’evoluzione del luogo fisico dove si svolge l’attività lavorativa che va di pari passo con la riduzione, in termini percentuali, della quota di lavoratori che operano con contratti di lavoro di tipo subordinato, cioè coloro che mettono a disposizione il loro tempo, entro certi orari e in un certo luogo prestabilito. Riduzione che corrisponde invece ad un aumento percentuale di free lance, collaboratori e lavoro dipendente evoluto che invece ben si adattano ad organizzazioni che operano per obiettivi (v. “Il lavoro subordinato è morto”);

E’ evidente che i due fenomeni sopra sono tra loro collegati e sembrano far parte di un unico disegno evolutivo, che persegue diversi obiettivi:

a)    sposta i centri decisionali a livello periferico, più vicini al cliente, quindi dove ci sono maggiori informazioni sulle loro preferenze, desideri, necessità e aspirazioni e quindi ci si adatta meglio e più velocemente al mercato. Per contro i processi decisionali, in questo modo, si rallentano;

b)    rende più flessibile l’organizzazione, passando dal “comando e controllo” ad una gestione per obiettivi; questo si accompagna ad una ricerca dinamica e continua delle persone giuste, al posto giusto, nel momento giusto e con leadership non ingessate ma tattiche e “naturali”, più legate allo specifico progetto, competenza o contesto;

c)    L’identità organizzative, in tali casi, si fonderà su missione, valori e cultura condivisa in luoghi “virtuali” e non più in luoghi fisici (uffici, fabbriche…). Gli spazi di lavoro, in questo contesto, si trasformeranno in occasioni di incontro, di scambio di idee, dove moltiplicare le possibilità di apprendimento, di conoscenza e di crescita professionale. In questo modo, però, perderanno inevitabilmente la loro funzione identitaria, sia per le persone che per le organizzazioni.

Ora proviamo a pensare a quanto detto sopra e trasferirlo ad altri tipi di organizzazioni, ad esempio politiche. I partiti che, anche attraverso i social, verificano in tempo reale l’orientamento del proprio elettorato e dell’elettore in generale; le leadership sono sempre più espressioni “naturali” e “locali” e non frutto di decisioni prese in consessi “elitari”, centrali e ristretti. In questo modo si è più vicini alle esigenze degli elettori e più facilmente si interpretano le loro necessità, desideri ed aspirazioni. I militanti non scompaiono, ma appare come un nuovo mondo molto più fluido e variegato, dove l’elettorato d’opinione sembra prendere il sopravvento. Le scuole di partito non esistono più o se ci sono stentano a trovare una loro identità, mentre l’osmosi con la società civile si è fatta più forte. I luoghi fisici (ad es. le sezioni, le piazze….) diventano marginali e i luoghi d’incontro e anche di costruzione d’identità sono ormai prevalentemente virtuali. Certo questo comporta anche dei rischi ovvero la radicalizzazione dovuta alle cosiddette camere sonore (v. “Diversità, Democrazia e Organizzazioni”).  L’identità quindi perde il connotato fisico e geografico. Lo stesso nazionalismo, un concetto legato al territorio perde appeal e guadagnano invece spazio nuove identità legate ad un leader, a valori e culture più trasversali ai territori. Le identità però, anche per questo più fragili, rischiano di sciogliersi e ricomporsi con una velocità mai vista prima.

Tutto questo appare come un processo, già avviato e ineluttabile, a senso unico; un percorso dal quale non si può tornare indietro, soprattutto se guardiamo al mondo del lavoro e delle organizzazioni economiche. Ma come sempre la realtà è molto più complessa e questa ineluttabilità in realtà mostra, già oggi, delle incrinature. Non ci dobbiamo sorprendere di continui passi in avanti ma anche di passi indietro; la realtà è imprevedibile e soprattutto ha assunto una velocità prima d’ora mai conosciuta.

Ad esempio i modelli organizzativi “democratici”, fenomeno in questo momento all’apice dell’hype cycle (almeno nei contesti più evoluti, non in Italia), in realtà si stanno rivelando efficaci per dimensioni organizzative relativamente piccole (Zappos, Patagonia, FAVI, Sun Hydraulics, Morning Star…) e solo in pochi casi per realtà più grandi (es. W.L. Gore ecc). Alcuni le ritengono “un esperimento sociale naïve”.  Gli ostacoli al successo possono essere diversi, ad esempio i processi decisionali che si rallentano e si complicano eccessivamente. Società internet come “Medium” hanno prima adottato principi organizzativi di questo tipo (holacracy) e poi abbandonati. Il problema è che le organizzazioni devono essere allo stesso tempo affidabili e adattabili e le due cose quasi sempre entrano in conflitto. L’adattabilità delle organizzazioni più democratiche spesso fallisce per la scarsa affidabilità e viceversa quelle più tradizionali falliscono allorché si sacrifica l’adattabilità per l’affidabilità che, quasi inevitabilmente, le rende troppo “rigide” (v. Beyond the holacracy hype).

Anche l’adozione di scelte organizzative improntate ai concetti di smart working sta subendo dei contraccolpi. IBM, ad esempio, aveva avviato già dal 2009 un progetto che prevedeva la possibilità di scegliere con grande libertà luoghi e tempi di lavoro, ma è tornata sui suoi passi; dopo un periodo abbastanza lungo di sperimentazione e di concreta applicazione ha infatti chiesto il “rientro” dei propri collaboratori in una sede più tradizionale. I motivi? Molti studi avrebbero confermato, nel corso degli ultimi anni, che il “lavoro agile” incentiverebbe la produttività, responsabilizzando il lavoratore. Ma più di recente uno studio di Harvard ha posto, invece, altrettanti dubbi: infatti, dallo studio, risulterebbe che i ricercatori che lavorano insieme, nella stessa location, producono in realtà risultati migliori; inoltre quando ci sono occasioni di incontro tra colleghi, anche le performance risultano essere migliori. Del resto, Facebook solo per fare un esempio, offre incentivi economici ai dipendenti che scelgono di vivere vicino alla sede centrale dell’azienda e la tendenza prominente nella Silicon Valley è quella di trasformare l’azienda in un luogo che permetta al dipendente di svolgere ogni tipo di attività: fare sport, coltivare i propri interessi, persino dormire.

Come al solito mantenere dei dubbi è sempre una buona scelta e soprattutto oggi di soluzioni salvifiche non ce ne sono. Parrebbe molto più saggio navigare a vista e cercare di capire quale soluzione sia la migliore per quello specifico contesto e situazione, magari avendo la possibilità di provare e sbagliare.

Anche in questo caso, forse, la politica avrebbe qualcosa da imparare.

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Immagine di copertina: Illustrazione di Antonella Ficarra

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