Lavoro

Freelance: luci culturali e ombre fiscali nella Legge di stabilità

21 Ottobre 2015

In questa ultima parte del 2015 si prospettano importanti novità per il lavoro autonomo professionale, in parte legati alla legge di stabilità, che modifica il regime fiscale forfettario e sospende l’aumento dei contributi, e in parte all’introduzione di uno statuto sul lavoro autonomo, che ridefinirà alcune norme e tutele. Manca ancora un testo definito, ma ci sono state molte anticipazioni sulla stampa ed abbiamo avuto modo di parlare a lungo con gli estensori dei provvedimenti, quindi possiamo tentare alcune prime valutazioni.

Temevamo moltissimo uno Statuto del lavoro autonomo, perché le versioni che da anni sono in circolazione erano pasticciate e in molte parti non condivisibili. Invece, sulla base di quanto trapelato, la nuova normativa appare in gran parte coerente con le attese e, seppure non affronti tutte le esigenze e i problemi, sembra finalmente testimoniare un cambio culturale nell’approccio al nuovo lavoro professionale.

Restiamo invece molto perplessi sull’intervento fiscale, che ha alcuni elementi di miglioramento, ma che mantiene e rilancia un approccio per categorie, con inevitabili distorsioni, e rinvia ancora una riforma complessiva organica.

Vediamo nel dettaglio le novità in arrivo.

Statuto del lavoro autonomo
In parte sembra ispirato alle precedenti versioni di statuto, ma con un impianto molto diverso, che supera molte cattive impostazioni del passato.

Il nuovo statuto infatti ha tre peculiarità, che lo distinguono dalle vecchie versioni e allo stesso tempo segnano una discontinuità rispetto alla situazione attuale:

Si rivolge esclusivamente al lavoro autonomo professionale, non a tutto il lavoro autonomo e lo definisce escludendo il lavoro autonomo svolto in forma di impresa (ovvero le attività registrate come artigiane o commerciali). In qualche modo pone le basi per un riordino di un mondo che, soprattutto a causa dell’eterogeneità del trattamento previdenziale, ha cercato scappatoie per non essere sopraffatto e che potrebbe essere ricondotto nella fattispecie più corretta e coerente.
Abbandona ogni difficile distinzione tra “vero” e “finto” lavoro autonomo, tra “economicamente dipendente” e non, tra “ordinisti” e “non ordinisti”.  Accogliendo una nostra richiesta, esso pone alcune norme a tutela di tutto il lavoro autonomo professionale.
Sancisce che a tutte le controversie si applicherà il diritto del lavoro, un passo importante per riconoscerci come lavoratori e non venditori di servizi.
Le nuove norme di tutela riprendono una parte del nostro Jobs ACTA.

Una maggiore protezione contro le clausole abusive e a tutela del rispetto dei tempi di pagamento. Scaduti i termini di pagamento (che non possono essere superiori ai 60 giorni) dovrebbe scattare automaticamente un risarcimento fin dal primo giorno di ritardo.
La deducibilità totale delle spese di formazione, sino ad un massimo di 10.000 euro, senza alcun vicolo di accreditamento. E’ questa una norma molto importante che finalmente permette di riconoscere quello che rappresenta il principale investimento per un professionista autonomo. E’ una nostra vecchissima richiesta ed era una proposta contenuta nelle precedenti versioni di statuto, e già in questa forma (senza vincoli di accreditamento) nella versione PDL N° 2017 (dove il massimo era stato fissato a 5.000 euro).

Nelle situazioni di malattia grave, tale da impedire lo svolgimento dell’attività per oltre 60 giorni, saràsospeso il versamento degli oneri previdenziali ed il pagamento sarà successivamente rateizzato. E’ questo un punto rilevante della petizione sulla tutela della malattia promossa da ACTA con Daniela Fregosi, dove si chiedeva però anche la sospensione dei pagamenti IRPEF. Dovrebbe essere stata accolta anche un’altra delle nostre proposte sulla malattia, ovvero l’equiparazione alla degenza ospedaliera dei periodi di degenza domiciliare certificata come conseguenza di malattie gravi. Una misura che avrebbe due riflessi: 1) un’indennità doppia; 2) il computo di questi periodi come malattia ospedaliera, riconosciuta sino ad un massimo di 180 giorni, superando il vincolo di 61 giorni della malattia domiciliare

Viene eliminato l’obbligo di astensione dal lavoro per poter fruire dell’indennità di maternità, una misura che chiediamo sin dal 2007 (anno in cui è stato introdotto questo vincolo, che precedentemente non esisteva);
I congedi parentali dovrebbero essere estesi sino a 6 mesi (attualmente sono 3 mesi) e dovrebbero essere fruibili anche dai papà (attualmente sono esclusi), ma non è chiaro se a ciascun genitore saranno garantiti 6 mesi o se la somma di quanto utilizzato da entrambi i genitori sarà 6 mesi. In quest’ultimo caso la fruizione del papà andrebbe a scapito della fruizione della mamma (o viceversa), se entrambi i partner fossero autonomi.
Si elimineranno i vincoli che impediscono l’accesso dei professionisti autonomi ai bandi pubblici.

Contributi INPS
Per il quarto anno consecutivo si interviene con una sospensione dell’aumento dei contributi INPS degli iscritti alla gestione separata INPS, che altrimenti sarebbe destinata ad aumentare già con il 2016 e poi gradualmente negli anni successivi sino a raggiungere il 33%, secondo quanto previsto dalla legge Fornero. E’ positivo che ci si arrivi per tempo ma siamo delusi perché dopo 3 anni ci aspettavamo un blocco definitivo dell’aliquota, per poter avviare già con l’anno successivo un processo di equiparazione della nostra contribuzione a quella di tutti gli altri lavoratori autonomi, cioè il 24%.

Regime forfettario
Il regime agevolato introdotto nel 2015 viene rivisto con un innalzamento della soglia di fatturato annuo che ne definisce l’applicabilità dagli attuali 15.000 euro a 30.000 euro per i professionisti autonomi , mentre rimarrebbe la forfettizzazione dei costi, stimati al 22%. Il nuovo regime resterebbe applicabile a tutti con un’aliquota del 15% e con una aliquota del 5% per chi avvia l’attività.

Vediamo i pro e i contro di questa misura.

Possiamo considerare positivamente:

– L’apertura a tutti, non solo alle nuove attività come con il regime dei minimi;
– Il raddoppio della soglia di fatturato rispetto al regime forfettario attualmente in vigore. 15.000 euro era una soglia tanto bassa da non garantire neppure il versamento dei contributi previdenziali necessari all’accredito dell’intero anno ai fini pensionistici;
– La possibilità di uscire in maniera meno traumatica dal regime sia perché il superamento della soglia avrebbe effetto solo sugli anni successivi, sia perché l’uscita non sarebbe irreversibile;
– La premialità per le nuove attività consiste in una riduzione dell’aliquota e non (come nell’attuale versione) in una riduzione dell’imponibile (fiscale e previdenziale). In questo modo si riduce il prelievo fiscale, ma non quello previdenziale, il cui effetto si riverserebbe sulle future pensioni.

D’altra parte ci sono molti elementi di perplessità.

Il primo e più rilevante è quello detto all’inizio. Si continua lungo la strada degli interventi agevolati per settori e comparti, che creano squilibri. Chi avvia l’attività si tara, e tara le sue tariffe sulla base di un inquadramento fiscale molto favorevole, soprattutto se comparato con la situazione davvero oppressiva (e burocraticamente complessa) di chi è fuori da ogni agevolazione, con due ordini di effetti. Da una parte sarà poi difficile rimodulare le proprie tariffe per adattarsi alla realtà extra- regime agevolato, con la conseguenza che la soglia dei 30.000 euro di fatturato diventerà facilmente una trappola.  E ciò non è un bene né per i professionisti, che non sono stimolati a crescere, né per il paese. Dall’altro lato le tariffe proposte da chi fruisce di queste agevolazioni hanno effetti depressivi sull’intero mercato dei servizi professionali, già in forte ribasso nell’ultimo decennio.

Un altro elemento di perplessità è legato alla forfettizzazione dei costi. Certo, è una misura che semplifica ulteriormente le procedure, ma ha, a nostro parere, importanti controindicazioni:

elimina un importante strumento di contrasto all’evasione fiscale, perché non sarà necessario portare prova degli acquisti;
disincentiva gli investimenti, inclusi quelli in formazione, perché non comporteranno alcun vantaggio fiscale;
favorisce maggiormente chi non ha costi,  tra cui le attività di chi non è realmente organizzato in autonomia. In definitiva si corre il rischio di agevolare gli abusi.
Infine una novità discutibile della revisione del regime forfettario è il permettere la cumulabilità del forfettario con un reddito da dipendente o da pensione di altri 30.000 euro. Non è una novità assoluta perché il regime dei minimi ha sempre permesso la cumulabilità con ogni reddito, ma questa possibilità era stata fortemente ridimensionata con il forfettario. Il Governo ha invece ora deciso di ripristinare questa possibilità, seppure mettendo un limite.  In sostanza un dipendente o un pensionato con un reddito di 30.000 euro (reddito che è ben superiore a quanto resta in tasca ad un autonomo con 30.000 euro di fatturato, perché è senza costi e al netto della parte più rilevante dei contributi), potrà beneficiare di una aliquota sostitutiva del 15% (o del 5% se si tratta di nuove attività) per il reddito aggiuntivo da lavoro autonomo. Un’agevolazione notevole e decisamente spropositata rispetto a quella goduta da chi è solo autonomo, se si considera che sopra i 28.000 euro di imponibile l’IRPEF dovrebbe invece essere del 38%, e ci sarebbero da aggiungere le addizionali locali. Inoltre questo dipendente o pensionato potrebbe, per la parte di lavoro dipendente o pensione, fruire di tutte le deduzioni e detrazioni (mutuo, spese mediche, previdenza integrativa…) che invece sono negate ai forfettari che hanno solo una posizione autonoma. Un’ulteriore segmentazione che crea squilibri e iniquità.

In conclusione, mentre lo Statuto del lavoro autonomo segnala un cambio di impostazione e inizia ad affrontare in maniera coerente e costruttiva la risoluzione dei problemi del nuovo lavoro autonomo, sotto l’aspetto fiscale siamo lontani da un’impostazione organica che persegua in parallelo equità e legalità.

Anna Soru è presidente di Acta

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