Lavoro
Di cosa parliamo oggi quando parliamo di giornalismo?
Accade in Italia ai tempi della rete, dove in un click puoi facilmente risolvere un dubbio, verificare un’informazione. Anche se non sei stato messo nelle migliori condizioni per farlo.
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Luis Sepulveda non ha scritto “Cent’anni di solitudine” e la rete, ormai qualche settimana fa, si è indignata per la gaffe madornale del titolista che gli ha erroneamente attribuito un’opera di Garcia Marquez. Errore imperdonabile, in effetti, a maggior ragione nel contesto di un coccodrillo che, con buona probabilità, era stato preparato da settimane, considerato l’annuncio della malattia e del ricovero dello scrittore a fine febbraio. Il tempo per verificare la sua bibliografia non è certamente mancato.
Quello di derubricare il fatto come semplice errore però, dettato da ignoranza o incompetenza, è a sua volta uno sbaglio, una semplificazione che riduce il problema alla mancata professionalità di un singolo e non s’interroga sulle condizioni che lo hanno portato lì, a scrivere una sciocchezza in prima pagina. Eppure basta scorrere distrattamente gli annunci in rete per la categoria giornalista/pubblicista e qualcosa salta subito all’occhio: molte offerte richiedono voglia di mettersi in gioco, capacità di scrittura, rapidità nella consegna e propongono un ambiente dinamico, un’opportunità di crescita, spazio per la creatività, ma nessuna (o modestissima) retribuzione. Come incentivo, in molti casi, si trova ventilata la possibilità di accedere, grazie ai mesi di lavoro per la testata, al percorso professionale per l’iscrizione all’albo dei pubblicisti, senza però specificare che, per accedervi, occorre anche presentare la documentazione di un’avvenuta retribuzione per i pezzi realizzati, che non può essere inferiore ad una soglia stabilita a livello regionale. Un dettaglio non trascurabile, ma che spesso viene omesso e la dimenticanza finisce per essere un vero e proprio specchietto per le allodole.
Non è detto, certamente, che questo sia il caso del titolista in questione, ma esiste un filo rosso che rischia di collegare la grande testata on line alla Gazzetta locale, il quotidiano su carta stampata a Televideo (sì, esiste ancora) ed è rappresentato da tre grandi lacune del giornalismo italiano: la mancanza di selezione, la mancanza di formazione, la mancanza di controllo. Rischia, perché anche sostenere che certi percorsi siano una costante sarebbe una banalizzazione, tanto quanto non ammettere che gli errori madornali del mondo dell’informazione non siano casi isolati.
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Non è una novità il basso livello retributivo degli aspiranti giornalisti: articoli che arrivano ad essere pagai 3 euro netti, approfondimenti o piccole inchieste per i quali vengono corrisposti 25 euro lordi. Qualcuno potrà obiettare che si tratta di un “inizio” e che quindi ciascuno deve fare la sua gavetta. Questi compensi però restano spesso invariati per molto tempo e, anche terminata la gavetta, non raggiungono un valore che possa anche solo vagamente definirsi uno stipendio. Questo però non è l’elemento più grave della vicenda. Ciò che aggrava la colpa di chi si relaziona in questo modo ai prestatori di penna è l’assoluta mancanza di formazione che offre, il mancato controllo del prodotto finito prima della pubblicazione.
Poco riconoscimento del lavoro svolto, poca presa in carico delle responsabilità redazionali.
Se dietro a molti strafalcioni, alcuni dei quali particolarmente gravi, come nel caso di errata notizia, scambio di persona, errore nell’attribuzione di una dichiarazione c’è davvero una distrazione, un errore umano, come tale ineliminabile dalla dinamica lavorativa, molti altri sono frutto di un mix che sta uccidendo il professionismo nell’informazione. Vengo formato poco e male, mi viene data grande autonomia, ma senza la necessaria supervisione, vengo pagato in modo inadeguato e quindi dedico poco tempo al processo di verifica e revisione di quanto elaborato. Arrivo alle battute concordate e premo invio sulla piattaforma. Il richiamo all’etica professionale, nel momento in cui non vengo riconosciuto come appartenente alla categoria, difficilmente avrà presa.
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Così nasce una notizia sbagliata non per semplice svista, ma se fosse un’indagine ci troveremmo a indagare sul mandante delle tante gaffes giornalistiche dentro e fuori dal web. Affideremmo la riparazione della nostra auto a un meccanico assunto a costo zero, pieno di spirito d’iniziativa, ma al quale non è mai stato insegnato nulla sul come si mette mano a un motore? Saliremmo su un autobus guidato da un autista che non ha fatto scuola guida, ma si è messo al volante perché sa andare in motorino e ha voglia di mettersi alla prova? Ma soprattutto consegneremmo un oggetto di valore a un corriere sottopagato e rispetto al cui lavoro nessuno opera un controllo? Eppure questo è ciò che avviene in una parte del mondo dell’informazione e, forse, dovremmo chiederci se è ancora sostenibile un giornalismo che sopravvive grazie alla carne da cannone.
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