Lavoro

Deconstructing Piketty

10 Aprile 2015

Che abbiate letto o no “Il capitale nel XXI secolo “ di Thomas Piketty ormai non potete partecipare ad una cena se non avete un’opinione in proposito. Il libro ha sconvolto le classifiche editoriali di mezzo mondo e causato un piccolo terremoto nelle redazioni economiche e nei think-tank, un po’ meno nei dipartimenti di economia (forse perché gli economisti non leggono più i libri).

È un libro un po’ scomodo per molti economisti e policymakers e in tanti aspettavano qualcuno che ne smentisse le tesi, ma finora le timide critiche erano sembrate un po’ ideologiche e non sostanziali.

Fino a quando un giovedì notte di circa un anno fa un giovane dottorando del MIT, originario della hipsterissima Portland (ma non ha la barba), posta un commento alla recensione del libro scritta da Paul Krugman pubblicata su un importante blog di economisti (Marginal Revolution). Il commento piace, viene promosso al rango di post e fornisce i giusti incentivi a Matthew Rognlie per dare corpo alla sua intuizione e proseguire nel suo lavoro che gli ha fruttato un’opportunità di carriera e notorietà non indifferente.

Tre settimane fa, il ventiseienne ha presentato il suo lavoro “Deciphering the fall and rise in the net capital share” allo Spring 2015 Brookings Panel on Economic Activity, prestigiosa conferenza della Brookings Institution. Il suo discussant è stato Robert Solow, premio Nobel per l’economia nel 1987, grazie ai suoi studi sulla crescita.
A detta di molti autorevoli commentatori, il lavoro di Rognlie è la critica più precisa e non strumentale al lavoro di Piketty e verte su tre questioni, sostanziali. Tutti i punti critici evidenziati riguardano le ragioni della diseguaglianza e, quindi, i possibili interventi diretti a contrastarla.

Innanzitutto Rognlie dimostra che l’aumento della quota di reddito aggregato che dal 1970 viene attribuita al capitale a scapito del lavoro è dovuto principalmente al settore dell’edilizia residenziale, mentre è nullo l’effetto degli altri settori (dove aumenti e diminuzioni con il tempo si compensano). Poiché il capitale immobiliare (che include anche le case dei singoli) è molto diffuso tra la popolazione, l’aumento della sua quota sul totale non può essere spiegato come un effetto del conflitto lavoro vs capitale, influenzato dalla riduzione del potere contrattuale del lavoro o dal ruolo della tecnologia.

Viene quindi ridimensionato il grido di allarme di Piketty sul lento ma inesorabile aumento dal dopoguerra della quota di reddito attribuita al capitale a scapito del lavoro.

Tra le spiegazioni che Piketty adduce per l’incremento della quota del capitale nella distribuzione del reddito aggregato c’è la famigerata diseguaglianza “r>g” dove r è il tasso di remunerazione della ricchezza e g il tasso di crescita dell’economia. Più è ampia la differenza tra i due valori maggiore sarà l’accumulazione di capitale e la velocità con cui la distribuzione della ricchezza diventa sempre più ineguale. Unica soluzione sarebbe un aumento di g grazie al progresso tecnologico o all’aumento della popolazione, ma l’economista francese non lo vede all’orizzonte. In effetti i tassi di crescita diventano sempre più bassi. Un economista però potrebbe argomentare che all’aumento dello stock di capitale dovrebbe corrispondere una diminuzione del suo rendimento (r) ma Piketty sostiene che questo non succederà perché l’elasticità di sostituzione tra capitale e lavoro è maggiore di 1 (in poche parole si tenderà a sostituire sempre di più il lavoro con il capitale). Poiché non esistono forze naturali che possano frenare questo aumento e concentrazione della ricchezza, il destino è che pochissimi arrivino a possedere quasi tutto, a meno che un evento drammatico e brutale come una rivoluzione arrivi ad arrestare il circolo vizioso. A meno di efficaci ma difficilmente realizzabili interventi sul piano fiscale.

La seconda critica di Rognlie si basa sulle grandezze utilizzate da Piketty nella sua analisi. A suo avviso dovrebbero essere utilizzate grandezze “nette” e non “lorde”. Cosa significa? Significa che quando pensiamo al tasso di rendimento della ricchezza dobbiamo considerare (oltre alle tasse, soprattutto di successione) anche al deprezzamento del capitale che nel vorticoso mondo moderno è spesso e volentieri molto più elevato che in passato (basta pensare a quanto velocemente diventano obsoleti – anche se ancora funzionanti – macchinari e attrezzature). Questo di fatto rende il valore effettivo di r molto più basso, e quindi minore la differenza tra r-g.

Infine, sostiene Rognlie, l’aumento dello stock di capitale porterà ad una riduzione del rendimento e della sua quota distributiva perché in realtà l’elasticità netta di sostituzione tra lavoro e capitale non è maggiore di 1 (nonostante siano grandezze molto difficili da stimare la stragrande maggioranza dei lavori seri su questi temi conclude in questo senso), e quindi non c’è un progressivo spiazzamento del lavoro.

Ma quindi? Piketty ha torto? In realtà potremmo dire che forse ha un po’ esagerato con le previsioni di ineluttabile prosecuzione del trend che ha individuato.

Rimangono però molteplici e innegabili – e lo stesso Rognlie non li mette in discussione – i meriti della sua analisi: la mole di dati raccolta rimane un patrimonio a cui molti studiosi possono attingere, l’aver riportato al centro del dibattito economico i temi distributivi così trascurati nel secolo scorso, l’aver fornito un quadro all’interno del quale studiare come possa evolvere la diseguaglianza e l’aver già infervorato il dibattito di policy su come si possano affrontare il tema della diseguaglianza.

E’ poi utile ricordare come anche Rognlie concordi con Piketty nel sottolineare che una diseguaglianza che è aumentata in maniera preoccupante e inequivocabile (soprattutto negli Stati Uniti) ed è quella all’interno dei redditi da lavoro, cui ha probabilmente concorso la diseguaglianza nelle opportunità di accesso all’istruzione e in generale all’acquisizione delle skills richieste dal mercato.

Ecco, a questo tipo di problemi dovremmo saper già rimediare, senza aspettare il prossimo best-seller.

 

 

[ringrazio @petuniaollister per avermi gentilmente prestato il format dei #bookbreakfast per la foto di copertina]

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.