Lavoro

La crepuscolare discussione su quota 100

20 Ottobre 2019

Stuzzicato dalla Lettera sui servi pubblicata da Ugo Rosa, esordisco su Gli Stati Generali (grazie per l’ospitalità) con una breve riflessione su tasse e presunti privilegi.

È tempo di finanziaria. In Italia questo significa che è tempo di discutere di tasse e del grande tema che regna su tutte le finanziarie di cui ho memoria: l’evasione fiscale. Così mentre dal Governo arrivano idee e suggestioni (che non necessariamente troveranno spazio nella vera manovra), il Paese si trova a discutere di bancomat, abolizione del contante, premi a chi paga con la carta di credito, flat tax e regimi forfettari per le partite IVA.

Quota 100 e la contrapposizione tra lavoratori dipendenti e autonomi

Negli ultimi anni una delle grandi contrapposizioni è quella tra possessori di partite IVA e lavoratori dipendenti. I primi si sentono schiacciati dalla burocrazia, dalla tassazione, dal futuro incerto (specialmente con riguardo alla pensione) e dalle scarse tutele. I secondi si sentono schiacciati dalle tasse, dalla bassa retribuzione e, anche loro, dal futuro incerto. Come tutte le grandi ed improduttive discussioni, gli argomenti più disparati vengono usati dagli appartenenti all’una e all’altra categoria. Da quando al Governo c’è il PD uno dei grandi temi divisivi è diventato “quota 100”, vale a dire il meccanismo che consente a chi ha almeno 62 anni di età e 38 anni di contribuzione di andare in pensione senza aspettare di raggiungere i requisiti previsti dalla tanto indispensabile quanto vituperata Legge Fornero (in questo momento 42 anni e 10 mesi di contribuzione o 67 anni di età).

Per le Partite IVA si tratta di un privilegio dei lavoratori dipendenti, che distoglie una somma importante (c’è chi ha parlato di 63 miliardi di euro, il Governo ultimamente ha ridimensionato la stima intorno ai 20 miliardi) dal bilancio dello Stato per destinarla ad una categoria, quella dei lavoratori dipendenti, già ampiamente tutelata. I lavoratori dipendenti, dal canto loro, si rifiutano di considerare l’assegno pensionistico un privilegio e puntano il dito sulle partite IVA come privilegiati per via della bassa tassazione fino a 65.000 euro e come evasori fiscali.

L’inganno di una guerra tra poveri

Credo che mettere in contrapposizione le due categorie sia profondamente sbagliato. Il reddito medio italiano è inferiore ai 21.000 euro lordi annui. Il 45% dei contribuenti dichiara meno di 15.000 euro. Il 50% tra 15 e 50.0000 (fonte: Mef). Con cifre del genere, parlare di privilegi è ridicolo. Certo, sono cifre che non tengono conto dell’evasione fiscale, ma siamo così sicuri che le cifre mastodontiche dell’evasione fiscale siano attribuibili a chi dichiara meno di 50.000 euro all’anno? Ci saranno sicuramente casi di questo tipo, ma in tutta sincerità io non credo che siano la lezione privata in nero del professore o la prestazione in nero del piccolo professionista a generare quelle cifre.

Vogliamo davvero considerare privilegiati, ad esempio, i dipendenti statali che dal 2006 hanno avuto 10 di blocco stipendiale e ai quali il contratto firmato due anni fa ha elargito pochi spiccioli di aumento? O vogliamo fare la guerra alle piccole partite IVA che a fronte di una tassazione agevolata (mi riferisco a chi fattura meno di 65.000 euro) devono scontare i crediti insoluti, la burocrazia, la difficoltà di una libera professione che tanto libera non è (molti di quelli che conosco hanno un solo committente e, di fatto, sono lavoratori dipendenti con meno tutele)?

Un Paese fermo e impoverito

Il punto è che l’Italia è ferma e lo Stato si mantiene su quelli che guadagnano di meno, dipendenti o autonomi che siano.
È il ceto medio che ha pagato, paga e pagherà il conto più salato di una crisi economica dalla quale non si riesce ad uscire (siamo a crescita zero quest’anno).
C’è una emergenza generalizzata, che ci riguarda tutti. La stragrande maggioranza di chi lavora (e non sono tanti, viste le percentuali di disoccupazione e inoccupazione) riesce a sopravvivere e nulla più. Si riesce a mettere il piatto a tavola, ma non si riesce a progettare il futuro, ad affrontare un’emergenza, a mettere da parte qualcosa per la pensione che, lo sappiamo già, sarà di gran lunga inferiore al reddito da lavoro. Non si riesce a comprare casa e si fa fatica a mettere al mondo un figlio, perché costa, perché i servizi scarseggiano e, soprattutto, perché l’idea di mettere al mondo qualcuno al quale trasmettere questa sensazione di precarietà non è poi così allettante.

Basta parlare di tasse

Invece di dividerci e rinfacciarci presunti privilegi, dovremmo chiedere investimenti e crescita a chi governa. Basta discussioni sinceramente ridicole sul tassare le merendine o indire una lotteria per chi paga con la carta di credito. Basta contrapporre tra di loro i lavoratori che guadagnano fino a 50.000 euro e pagano complessivamente quasi il 60% dell’Irpef incassata dallo Stato. Possibile che non si ascolti una sola parola di politica industriale? Possibile che il Ministro per lo sviluppo economico sia intervenuto, nelle ultime settimane (oltre che sulla crisi Whirlpool) solo sulla proposta del carcere per i grandi evasori e per parlare di tasse? Le grandi questioni industriali italiane (automotive, industria aerospaziale, porti, manifattura, agricoltura…) sono totalmente scomparse dal dibattito politico, ma non ce ne accorgeremo se continueremo ad alimentare una inutile e crepuscolare guerra tra poveri.

 

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