Lavoro

Come (non) ti confeziono un pezzo smart. Aka lamento di un freelance

29 Dicembre 2015

Ormai non c’è più nemmeno la soddisfazione di sentirsi ingiustamente kasta. Anche l’ultimo dei complottisti anti-media sa che quella del freelance è una vita grama. Una vita agra, non così dissimile da quella descritta da Bianciardi nella sua omonima, etilica discesa all’editoria milanese e alle nebbie del Sistema negli anni ’60.
Ecco un tipico dialogo da aperitivo:
«E tu di cosa ti occupi?»
«Faccio la giornalista»
«Wow!» (sguardo ammirato).
«Beh insomma… » (auto-svalutazione preventiva)
«E dove scrivi?»
«Sono freelance. Per esempio scrivo su…»
«Ah, freelance» (sorriso comprensivo, intenerito o impietosito).
Silenzio imbarazzato.
«Beh dai. In bocca al lupo»

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E niente, nemmeno più la soddisfazione di sminuirti tu mentre l’interlocutore ha per te una briciola di ammirazione. Siamo ufficialmente nell’era in cui freelance fa rima con poveraccio, l’hanno capito pure quelli che prima ti odiavano perché credevano che te la tirassi quando invece non te la tiravi affatto. Eri solo assorta nel conteggio delle ultime fatture non pagate. Ma, ingenui, se voi pensate che il solo problema del lavoro da freelance sia il fatto di venire pagato con tre ceci lordi, a tre mesi dall’emissione fattura, e ringrazia per la Visibilità, sbagliate. C’è dell’altro.

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Oltre a essere cercatore di storie, studioso di testate discutibili ma su cui potrebbe avere l’onore di scrivere, allestitore di mini-redazioni sui tavolini di bar e biblioteche perché il coworking costa troppo, commercialista e segretario di se stesso, il freelance è anche, spesso, costretto a sentirsi percepito, e venire trattato, come un molesto e inopportuno venditore porta a porta. Perché se è vero che il suo è un mestiere solitario, è altrettanto vero che contiene una forte componente di interazione sociale, tutta interamente mediata da telefono e mail. È quella fanghiglia emotiva chiamata Il Momento In Cui Devi Spedire Delle Proposte, una terra di nessuno in cui le coordinate temporali si azzerano e dilatano, potenzialmente, all’infinito. E questa interazione è il più metodico, implacabile, subdolo attentato all’autostima che si possa immaginare. Telefonata tipo (dopo una dozzina di tentativi a vuoto e caselle vocali): «Hey ciao! Ti disturbo al volo perché ho un’idea carinissima su…» «Sì scusa non ho tempo ora sono in riunione riprova a farmi uno squillo nel 2018». Ovviamente, la stessa persona che ti ha sbrigativamente liquidato per l’ennesima volta, liquefacendo ancora un po’ la tua sempre più labile stima di te stessa, ricompare un bel giorno trillando «Quindi quel pezzo che dicevi? Ho pensato che poi non fa così schifo però fallo in chiave smart. Mi serve per ieri. Click».

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Un altro bacino di inesorabili umiliazioni è l’email. Cerchi sempre di mostrarti umile e autoironica, mai e giammai aggressiva, e di prendere dal lato buono l’altra persona, salutarla, blandirla, approcciarla con delicatezza e soprattutto scusarti di esistere, giacché è chiaro che la tua stessa esistenza costituisce cagione di fastidio per chi riceve la tua mail questuante. Mail: «Cara Pincapalla, come stai? Non ho più sentito niente sulle ultime 10 proposte che ti ho inviato nelle 5 mail precedenti. Vedo che poi molte di queste sono state fatte da un altro collaboratore… Beh dai, almeno ho la consolazione di sapere che ero sul pezzo ah ah ah. Comunque scrivo per sapere se quell’inchiesta sul consumo sostenibile di cui abbiamo parlato ti serve ancora, aspettavo la tua chiamata di lunedì, ho provato a richiamarti io più volte, e alla fine mi sono permessa di disturbarti via mail oggi, venerdì. Scusa a proposito. Dai che domani è il week end e ti liberi di me. Faccina faccina. Aspetto un feedback sul pezzo, un caro saluto. P.S. Mi daresti solo un feedback, anche per risposta negativa, così so che non ho un problema con la mail?». Risposta: «Sì. P.» Subito dopo: «Ah il pezzo sul cons sost lo voglio smart senza menate con l’elenco a punti, magari tipo con idee su come pulisce casa la Marcuzzi scappo ciao».

Perché loro il pezzo lo vogliono smart. Senza menate. Con l’elenco a punti. E le idee della Marcuzzi. Alla faccia delle tue ricerche tra i paper accademici, del raffronto tra il punto di vista del Guardian e quello del Times, della passione che ti porta a cercare qualcosa che non solo sia utile al lettore, ma che detto lettore lo tratti da essere pensante. E magari dia anche dignità al tuo mestiere. Loro, il pezzo, lo vogliono smart. Per ieri.

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