Lavoro

Aumenta il lavoro, e i salari? Qual è l’impatto sui consumi?

22 Settembre 2017

C’è una ripresa dell’occupazione, i tre quarti dei contratti sono però a tempo determinato.
Un punto non è, tuttavia, mai chiarito: quante delle persone che hanno perso il lavoro, e poi lo hanno ritrovato in tutte le forme possibili, hanno uno stipendio equivalente a quello precedente (non parliamo nemmeno della possibilità di averlo più alto)?

La mia impressione è che, dietro questa ondata di assunzioni (sia chiaro ben accette), ci sia anche un abbassamento sostanzioso dei salari (oltre a una riduzione delle tutele) per tutti coloro che hanno potuto riprendere a lavorare dopo essere stati disoccupati (per un mese o per periodi più lunghi). Della dignità, delle preoccupazioni, delle paure, delle responsabilità di chi rimane a casa dopo, magari, vent’anni di lavoro, non è qui il luogo per parlarne, ma fanno parte del pacchetto.

Questa compressione dei compensi comporta diversi effetti su cui la politica tace.
C’è chi rivendica il job act come misura lenitiva per la sofferenza degli italiani disoccupati (come l’aloe vera per il prurito), ma che in realtà ha fornito grandi vantaggi alle aziende; le quali si sono trovate le mani più libere per licenziare/ assumere/delocalizzare e calmierare verso il basso gli stipendi.
Il concetto è elementare: c’è sempre qualcuno con una situazione peggiore della tua, con più bisogno di te; quindi più disposto a un compenso inferiore. Una sorta, mi si passi il termine un po’ forte, di caporalato istituzionalizzato dovuto alla scarsità della risorsa per cui tutti “lottano”: il lavoro.

Un’altra conseguenza è l’aumento delle diseguaglianze tra chi, con lo stesso grado di professionalità, ha avuto la sfortuna (chi ha un sinonimo migliore lo dica) di lavorare in un’azienda che è fallita, che ha ristrutturato, che per incapacità/furbizia/scaltrezza di chi la guidava non è riuscita a rimanere sul mercato etc.. Mentre la vulgata dice che gli italiani non sono resilienti, non sanno vedere le opportunità che la meravigliosa condizione di disoccupato permette. Sono attaccati alla Madonna e ai Santi, il contrario dell’etica protestante di Weber, sempre in attesa che qualcosa succeda.
Poi siamo choosy, non dimentichiamolo mai. Oppure siamo “così così”, come diceva Vecchioni in Signor Giudice, la Fornero ha solo aggiunto un paio di lettere.
Per inciso, un altro mito, quello della meritocrazia è crollato davanti all’evidenza, hanno chiuso aziende (e sono state licenziate persone) con professionalità eccelse, con menti sopraffine. Menti che sono, in molti casi, ancora alla ricerca di un lavoro e disposti ad abdicare alla propria formazione accontentandosi di lavoretti. Tipo i riders che consegnano pasti a domicilio (a proposito di diritti e salari).
La retorica della sfida, ha mostrato un po’ la corda. Parliamo sempre e solo delle storie a lieto fine (sono quelle che piacciono alla gente che piace): della start up fighetta, delle mamme che finalmente possono conciliare lavoro e accudimento dei figli, del contabile che apre il locale di cucina fusion calabro-lombarda. Delle storie che finiscono e basta (la maggioranza), non parla mai nessuno.

Il nirvana, poi, è la possibilità di trovare competenze qualificate disposte a lavorare a un costo inferiore. L’effetto sulla disoccupazione giovanile è evidente. Perché si dovrebbe assumere un giovane da formare, quando è possibile prendere un cinquantenne esperto, già capace (chiavi in mano) allo stesso prezzo? Oltrettutto anche più mansueto perché sa che ha una famiglia da “aiutare” e non che può essere aiutato dalla famiglia. E così i giovani preparati, con altre competenze di elevato livello, magari più grezze o che hanno bisogno di essere formati, continuano a navigare tra uno stage e un altro, tra un sito di job searching e una partita a calcetto. Tra un colloquio su skype e la proposta di mettersi una maglietta per andare a qualche festival a fare il volontario, dove non ti pagano, ma fa curriculum.

L’impatto sui consumi e quindi sul PIL qual è? Se la capacità di spesa si riduce per i motivi di cui abbiamo appena parlato, quale potrà mai essere la conseguenza se non una contrazione, o una mancanza di disponibilità a consumare, a spendere. Cala il tenore di vita, si viaggia al risparmio.

Infine, le pensioni, l’importo per tutti sarà calcolato con il contributivo (giustamente) ma accade che chi andrà in pensione, ci andrà con un importo più basso, vista la riduzione degli stipendi per i famosi cinquantenni. Impatto che si registra anche sugli anni di lavoro che mancano alla pensione, quelli in cui anche con il contributivo, secondo una logica che lo animava, si sarebbe potuto versare di più.
Le pensioni saranno più basse per tutti.
Per i giovani, che spesso non conoscono nemmeno i loro diritti, perché sono stati addestrati a non chiedere niente, e per i quali un’assunzione è il punto di arrivo non di partenza; per loro la parola welfare sarà come la parola boom economico per chi è cresciuto negli anni 70. Un’eco lontana.

Ecco, un’analisi su questi punti, che dovrebbero essere condivisi da tutte le forze politiche, non l’ho sentita fare concretamente da nessuno.
Anzi ci hanno spiegato che sono stati tutti bravissimi e gli altri degli incapaci.
Forse, non si sono ancora resi conto che la pelle della gente è meno sensibile alle chiacchiere di un tempo, nonostante l’aloe vera distribuita a piene mani.

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