Lavoro

Appalti, la Commissione sugli Scioperi: “Effetto distorsivo sui contratti”

29 Maggio 2021

Un recente documento della Commissione di Garanzia sugli Scioperi analizza il fenomeno degenerativo degli appalti e fa alcune proposte che sarebbero un’ottima base di una piattaforma di mobilitazione per un sindacato che su questi temi volesse sviluppare una campagna realmente incisiva e non limitarsi a giocare di rimessa.

Mentre il Governo interveniva sulla normativa in materia di appalti, attraverso il Decreto semplificazioni approvato ieri, la Commissione di Garanzia per gli Scioperi nei Servizi Essenziali (CGSSE) pubblicava un prezioso contributo, “Appalti e conflitto collettivo: tendenze e prospettive”, contenente informazioni, analisi e proposte inerenti una materia complessa e particolarmente delicata per le sue ricadute sociali. Se, infatti, il dibattito nei giorni scorsi si è concentrato sui potenziali effetti “criminogeni” di una riforma degli appalti, il vero problema è che, a prescindere da eventuali infiltrazioni malavitose, il crescente ricorso ad appalti e subappalti incide in primo luogo sulla vita dei lavoratori e della maggioranza dei cittadini.

Il Decreto semplificazioni contiene misure inerenti i contratti pubblici tese a concedere più libertà di manovra alle imprese private che si aggiudicano lavori per conto della pubblica amministrazione. La presunta filosofia del provvedimento è che per rilanciare la crescita è necessario snellire le procedure ed eliminare i vincoli che limitano la “libertà d’impresa”. A questo scopo il Decreto ha innalzato il tetto per i subappalti al 50% fino a ottobre (con la clausola che il subappaltatore debba garantire ai dipendenti un trattamento economico e normativo non inferiore a quello del contraente principale), rinviandone la cancellazione a novembre; prevede l’appalto integrato per i contratti relativi al PNRR, cioè che lo stesso soggetto svolga sia la progettazione esecutiva sia l’esecuzione dei lavori e un generale snellimento delle procedure, in larga misura attuato confermando provvedimenti già presi dai precedenti governi. Viene accantonato il massimo ribasso (cioè si potrà tenere conto anche degli aspetti qualitativi e non solo economici delle offerte), ma, anche in questo caso, come sugli appalti, è chiaro che si tratta di una concessione tattica a una parte della maggioranza e al sindacato, pronta a essere rimessa in discussione quando la situazione sarà più favorevole. Il dibattito sugli appalti segna l’avvio dello scontro sulla spartizione del Recovery Fund e delle altre risorse a disposizione del governo nei prossimi 5 anni, cioè sullo snodo politico che ha portato alla caduta del Conte 2 e all’arrivo di Draghi. L’intervento sugli appalti, infatti, determinerà il modo in cui lavoratori e imprese si divideranno quei soldi e come, a loro volta, le imprese si spartiranno la propria fetta della torta. E il compromesso raggiunto ieri rappresenta il primo atto di un compromesso dinamico tra i contendenti.

La Commissione di Garanzia sugli Scioperi nei Servizi Essenziali è intervenuta svolgendo un modo diligente il proprio compito di organo tecnico, fornendo sin dalle prime righe del rapporto un giudizio basato sui fatti: “L’attività portata avanti in questi anni dalla Commissione di garanzia ha consentito di rilevare che, nell’ambito di diversi servizi ad alta intensità di lavoro (c.d. labour intensive), il ricorso all’appalto e al subappalto è dettato essenzialmente da ragioni attinenti al risparmio e all’abbattimento del costo del lavoro, anche in contesti molto redditizi, ed è all’origine di gravi problematiche sociali che si sono acutizzate con la crisi e che costituiscono la principale causa di insorgenza dei conflitti”.

Per gli estensori del documento sono tre, in particolare, i temi più ricorrenti: “1) il dumping salariale reso possibile dall’applicazione lungo la filiera di CCNL diversi, dall’ambito di applicazione onnicomprensivo e trasversale, che alimentano la concorrenza al ribasso; 2) il ritardo o i mancati pagamenti delle retribuzioni ai lavoratori che spesso dipendono dalla mancata erogazione da parte dell’ente locale committente delle risorse finanziarie pattuite per lo svolgimento del servizio; 3) la tutela dei lavoratori nel cambio di appalto”.

Gli appalti favoriscono il dumping salariale perché provocano uno spezzettamento del ciclo produttivo che consente alle aziende di applicare a ogni segmento della filiera il contratto collettivo meno oneroso. La tabella che segue, tratta dal rapporto della Commissione, è uno spaccato eloquente della situazione nel campo dell’igiene ambientale: i comuni presi come campione affidano una parte consistente dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti a imprese che applicano una decina di contratti diversi: dal più costoso contratto dell’igiene ambientale Utilitalia (aziende pubbliche) o Fise-Assoambiente (aziende private) a quelli delle cooperative sociali, del facchinaggio, delle aziende multiservizi e persino dei metalmeccanici. Il multiservizi è il più adottato, perché – osserva la Commissione – prevede una retribuzione oraria minima di 6,52 euro lordi, circa la metà di quella prevista dal contratto dell’Igiene ambientale (11 euro), che pure all’ultimo rinnovo nel 2016 aveva visto l’introduzione di un livello di inquadramento inferiore con una retribuzione più bassa. Nel caso di Hera, multiutility nata dalla fusione delle aziende di alcuni comuni dell’Emilia-Romagna, secondo una stima del sindacato Si Cobas citata dalla CGSSE, l’applicazione del CCNL Multiservizi per i lavoratori comporta una perdita salariale di circa 15.000 euro l’anno. Ma più in generale l’effetto è quello di un vero e proprio stravolgimento del ruolo della contrattazione collettiva: “Si assiste ad un vero paradosso: il contratto collettivo nazionale perde la sua anima dichiaratamente anticoncorrenziale e diventa strumento di concorrenza e di dumping”.

FIGURA 1: contratti collettivi applicati nell’igiene ambientale (Fonte: CGSSE)

Effetti paradossali anche nel trasporto aereo, dove gli appalti colpiscono in particolare i servizi a terra (il cosiddetto handling) e i contratti più applicati sono quello della logistica e, ancora una volta, il multiservizi. Il rapporto cita il caso degli aeroporti di Firenze e di Pisa, in cui la CGSSE è stata costretta a vietare ai lavoratori di un’azienda di handling che applicava il contratto multiservizi di scioperare per il proprio rinnovo contrattuale. La Legge 146/90 sullo sciopero nei servizi essenziali, infatti, prescrive tra uno sciopero e l’altro nello stesso settore debba esserci un intervallo minimo. In questo caso lo sciopero dei lavoratori delle imprese multiservizi per la vertenza contrattuale era troppo vicino a uno sciopero del trasporto aereo.  Trattandosi di due categorie di lavoratori diverse, ma che insistono entrambe sul settore aeroportuale, ciò è bastato per impedire a questi lavoratori di partecipare a uno sciopero indetto dai propri sindacati di categoria e autorizzato dalla stessa Commissione.

Da 30 anni le amministrazioni pubbliche tendono a dare in appalto una quota crescente di servizi pubblici e servizi sociali, inclusi i più delicati, per compensare la riduzione dei trasferimenti dello Stato, con conseguenze dirette sui lavoratori e, di conseguenza, anche sulle fasce più disagiate dell’utenza. Uno degli effetti più comuni è il ritardato pagamento degli stipendi da parte delle ditte d’appalto, che spesso a loro volta non ricevono dagli enti pubblici i fondi pattuiti nei tempi previsti. Si tratta di un problema endemico nelle aziende di igiene ambientale del Meridione, ma la CGSSE cita anche alcuni scioperi proclamati nell’ambito di appalti per il trasporto scolastico, per il trasporto dei disabili e per la gestione dei centri di accoglienza per migranti.

D’altra parte l’appalto selvaggio non risparmia neanche quei settori economici che negli ultimi anni, in seguito all’evoluzione del mercato e, più di recente, alla pandemia, hanno realizzato generosi profitti, come la logistica e la logistica farmaceutica. I grandi corrieri tendono a esternalizzare attività come lo stoccaggio delle merci e il facchinaggio a cooperative, spesso composte da manodopera straniera, coi relativi problemi di bassi salari, condizioni di lavoro durissime, mancato o ritardato pagamento degli stipendi e il rischio permanente di perdere il posto di lavoro o un pezzo di salario a ogni cambio di appalto. Qui del resto i cambi di appalto sono frequenti, perché per un verso permettono di aggirare la soglia dei 36 mesi oltre la quale un lavoratore a tempo determinato va stabilizzato, per un altro di cancellare periodicamente le passate irregolarità, chiudendo una cooperativa con un bagaglio di irregolarità pregresse e sostituendola con un’altra “pulita”.

Stesso problema, ma per ragioni e con dinamiche diverse, nel settore delle pulizie/multiservizi, dove a ogni rinnovo dell’appalto i fondi stanziati dell’ente pubblico tendono a ridursi e il meccanismo del massimo ribasso spinge le imprese a praticare prezzi insostenibilmente inferiori a quelli di mercato. Chi si aggiudica l’affidamento di un servizio svolto con tot dipendenti spesso ha a disposizione meno fondi e tende a preservare la propria quota di profitto nel modo più naturale: lasciare a casa una parte dei dipendenti (salvo clausole sociali nel capitolato di appalto o nella contrattazione di settore che lo vietino) oppure abbassare i salari applicando un contratto diverso o riducendo il numero di ore lavorate. Un fenomeno che, secondo il rapporto della CGSSE, colpisce in particolare aziende sanitarie, pubbliche e private, aziende di trasporto pubblico locale, università e caserme e provoca come effetto collaterale il peggioramento dei servizi erogati.

Per la Commissione questa situazione richiede un “cambiamento di portata epocale”: il superamento della concezione per cui l’appalto consente al committente una forma di “irresponsabilità organizzata”, cioè diventa un mezzo non solo per tagliare i costi, ma anche per deresponsabilizzarsi rispetto all’operato delle ditte d’appalto. Il committente, invece, va considerato responsabile di ciò che avviene all’interno della propria filiera, anche in considerazione del fatto che spesso è lui a “imporre” alle ditte d’appalto le proprie condizioni, soprattutto grazie alla sproporzione di forze di cui spesso gode (il rapporto cita l’esempio di Amazon e delle ditte a cui il gruppo americano affida la consegna dei pacchi).

Per “interrompere l’uso abusivo degli appalti e dei subappalti al solo scopo di scaricare sugli anelli più deboli della catena costi e responsabilità, così determinando condizioni di sfruttamento dei lavoratori” la Commissione propone un intervento legislativo articolato:

– introdurre dei limiti, nella forma di causali, alla messa a gara di servizi in cui la prestazione lavorativa è il fattore prevalente;

– reintrodurre il principio di parità di trattamento tra i dipendenti dell’appaltante e quelli dell’appaltatore e dei subappaltatori, quando si tratti di appalti relativi ad attività ordinarie di uno stesso ciclo produttivo;

– riformare il Codice dei contratti pubblici prevedendo: 1) razionali meccanismi di aggiudicazione che premino effettivamente le offerte più virtuose sul piano sociale: e cioè, quelle che applicano il contratto collettivo nazionale dello specifico settore merceologico e siglato dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; 2) l’individuazione, già nel bando di gara, da parte della stazione appaltante, quale condizione di partecipazione, del contratto collettivo da applicare; 3) la garanzia che il suddetto contratto sia applicato lungo tutta la eventuale catena degli appalti; 4) forti limiti alla possibilità per l’appaltatore principale di spezzettare il servizio in vari subappalti.

– nei cambi d’appalto sancire il principio del necessario riassorbimento da parte del nuovo appaltatore dei lavoratori già impiegati nell’appalto a parità di trattamenti economici e normativi.

– una legge sulla rappresentanza sindacale che permetta di fissare il salario in ogni settore in base al contratto collettivo sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi e contemporaneamente la fissazione di un salario minimo orario da parte di una commissione indipendente come base per la contrattazione nazionale, così da garantire il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione  ed evitare che le retribuzioni previste di contratti collettivi scendano sotto la soglia di povertà.

– la limitazione dei campi di applicazione di alcuni contratti collettivi nazionali di carattere trasversale e onnicomprensivo (come il Multiservizi e il Servizi fiduciari e vigilanza) che di fatto fanno concorrenza al ribasso ad altri contratti collettivi nazionali nei settori di specifica pertinenza di questi ultimi (Logistica, Igiene ambientale, Alimentare, Edilizia).

Si tratta di elementari proposte di buon senso fatte, come dicevamo all’inizio, da un organismo tecnico, non da un circolo di sovversivi, ma, a giudicare dalle scelte del Governo e dal dibattito di questi giorni, tanto più a fronte dello stillicidio di incidenti e morti sul lavoro, il buon senso oggi è giudicato ai limiti della sovversione. E di questo, del resto, non c’è da stupirsi. Più sorprendente, invece, è che il sindacato, pur rivendicando ossessivamente il valore della contrattazione collettiva (ad es. come alternativa al salario minimo), in questi anni sia stato incapace di analizzare in modo altrettanto organico gli effetti distorsivi delle esternalizzazioni sui contratti e di contrapporvisi efficacemente e che oggi non colga in queste proposte degli spunti per una campagna di mobilitazione nei confronti del governo. Invece di limitarsi a giocare di rimessa e a svolgere il ruolo di un gruppo di pressione più che di un’organizzazione sociale.

Articolo tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 28 maggio.

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