Lavoro
Alla ricerca del lavoro perduto
In tanti parlano del lavoro ma nessuno ha mai parlato con il lavoro.
Miracolo delle preposizioni articolate. Così ho provato a cercarlo per porgli delle domande, avevo qualche indizio, intanto sapevo dove abita: nell’art. 1 della nostra Costituzione, ma non ero certo che fosse in casa e infatti non c’era.
Il lavoro si comporta come i veterinari quando si avvicinano alla zona cani dei giardini, non dicono chi sono per non farsi assalire dalle domande dei padroni in ansia. Non vuole menate e ho provato a cercarlo nei luoghi tradizionali: agenzie di lavoro interinale, centri per l’impiego, informagiovani ma niente.
Poi, durante gli appostamenti, ho sentito un urlo di dolore, era lui quando ha visto un contratto regolare di due euro al giorno, così gli ho chiesto un appuntamento.
Ha accettato di parlare solo con il viso coperto, la voce contraffatta e a luci spente.
Siamo messi proprio male ho pensato.
– (intervistatore) buonasera sig. LAVORO come andiamo?
– (lavoro) sono invecchiato, faccio fatica non mi riconosco. Mi hanno rottamato, oggi si dice così, giusto?
– (intervistatore) si, si dice così
– (lavoro) Ah cerco di tenermi al passo, ma non ci riesco, devo giocare in difesa, mi tirano tutti per la giacca per raccontarmi i loro problemi e allora scappo, mi nascondo..
– (intervistatore) la vedo affaticato ..
– (lavoro) no è che continuano a dire che mi creano, che ho cambiato forma, che non sono più quello di una volta, che è questione di mentalità, che ora sono liquido, baumanizzato come la società. Sarà ma io non riesco a capire queste cifre che parlano di me. E’ bizzarro esisto solo se ci sono dei numeri. Ho problemi di identità.
Sta per mettersi le mani in testa e lo invito a fare un respiro profondo
-(intervistatore) di questi numeri che la riguardano come se fossero la misure di qualche miss cosa mi dice
-(lavoro) non ci capisco più niente dicono che aumento, dicono che non è vero, dicono che sparirò, che sarò sostituito da altre forme, che devo adeguarmi. Sono preoccupato per i giovani. Io non sono solo salario, sono il motore della dignità umana, se mi inceppo, questa dignità sparisce. Ma in pochi sembrano accorgersene. Non c’è più una definizione che mi si attagli. Ormai sfruttano il mio nome anche per le attività gratuite. Io non mi chiamo volontariato, schiavitù, carità, altruismo, io sono il lavoro, quello per il sostentamento e il benessere delle persone oneste. Molti, però, mi scambiano con il mio fratello minore, il lavoretto. Lui non si nega mai e lo trovate dappertutto soprattutto sulle bocche degli start upper, si dice così vero?
E’ sempre incerto, mi chiede conforto per quello che dice, non ha più i suoi referenti, il sindacato, i datori di lavoro, i lavoratori stessi come categoria
– (intervistatore) Va bene abbiamo capito, è risentito, l’hanno isolata le hanno cambiato i nomi, tutto in inglese
-(lavoro) si mi hanno marginalizzato, come direbbero quelli che parlano meglio di me, mi hanno tolto il significato. Ho paura di fare una brutta fine.
– (intervistatore) e cioè …
– (lavoro) la fine di chi non conta nulla, come certi 50enni che vengono assunti in stage senza tutele, con stipendi molto più bassi rispetto a quelli che percepivano una volta. Condannati dal mercato sento dire, un mercato che singhiozza; la mano invisibile sta abbassando i compensi. Non posso immaginarmi di finir così come uno scontrino scaduto. Non so come agire ho provato a parlare con le istituzioni, ma mi sono accorto di essere un problema, del tipo “che palle sto lavoro, ma non ha capito come va il mondo?”. Ma io sono il lavoro, penso, ho costruito la società e ho partecipato alla democrazia.
-(intervistatore) ma non è che puzza un po’ di nostalgia tutto questo? Pellizza da Volpedo se ne è andato da un pezzo
– (lavoro) non è nostalgia è solo l’odore della sconfitta di prima mattina. La mia sconfitta.
-(intervistatore) oh la peppa…
– (lavoro) si farò la fine di Prince, quella cosa “former named LAVORO”, ma mi lasci scappare. Devo andare. Non ho più ricette da dare ma solo fallimenti da raccontare.
Gli chiedo un’ultima battuta e, allora, mi parla di Max Weber
– (lavoro) lui si era occupato della politica come professione e non come mestiere, diceva che ci vuole una vocazione per fare il politico. E concludeva il suo celeberrimo saggio con queste parole “Davanti a noi non c’è la fioritura dell’estate, ma innanzitutto una notte polare di tenebre e di freddo glaciale, qualunque sia il gruppo che esteriormente abbia ora la vittoria. Dove, infatti, non vi è che il nulla, non solo l’imperatore, ma anche il proletario ha perduto il suo diritto” Amen.
Non mi aspettavo così tanta amarezza e inquietudine da chi ha fatto la storia del Novecento.
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