Economia e Lavoro
Lavoro, le vere priorità degli italiani sono merito e autoaffermazione
Pochi i commenti di merito al Job Act di cui continuano a sfuggire ai più i principi generali. Il dibattito, o meglio, le polemiche sull’articolo 18 sono servite però a trasmettere un messaggio di fondo: il lavoro è sempre più una conquista o addirittura un lusso più che un diritto.La fatica, lo sforzo, il sacrificio si concentrano sulla sua acquisizione. Lo sfruttamento e le ingiustizie connessi alla condizione lavorativa sembrano essere passati sullo sfondo. Questo non significa che la tutela del posto di lavoro sia diventata una dimensione secondaria. Solo il 40% si esprime in questa direzione.
Il lavoro è però diventato soprattutto il nuovo oggetto del desiderio. In quanto tale si ammanta di un’idealizzazione che si scontra con la realtà, quando la si può sperimentare. Giusto quindi un senso critico e di sorveglianza che non sembra però andare nella direzione dei sindacati. Nella giornata dello sciopero generale vale la pena soffermarsi su qualche dato. In cima alle priorità degli italiani ( il 92% degli italiani dichiara che il lavoro è fondamentale per la propria realizzazione nella vita) e allo stesso tempo in coda nei livelli di soddisfazione (solo poco più della metà degli italiani si dichiara soddisfatta), il lavoro apre scenari e problematiche più ampie.
Se da una parte non scompare l’istanza di tutela, dall’altra sempre più italiani si avvicinano a un modello meritocratico e competitivo (la competizione è positiva per più del 70% degli italiani). La disponibilità ad uscire dalla passività di una posizione tutelata, per una più attiva attitudine al rischio è testimoniata anche dal numero di persone (il 58%) che si dichiarano adatte a mettersi in affari da sole. Cade inoltre l’identificazione lavoro e denaro, nonostante la crisi solo il 40% preferisce un lavoro più pagato ad uno più interessante. Si affacciano aspettative nuove, legate alla sopravvivenza ma anche all’autorealizzazione, in nome della quale si è disposti a condividere rischi e sacrifici.
È interessante notare come in funzione di questi bisogni stia declinando il mito sociale del successo (solo il 15% lo indica come priorità), come dimostra l’alta percentuali di mansioni svolte non a pagamento, e non solo nel mondo no profit ma in generale nei laboratori della creatività, dalle start up a progetti artistici legati a hobby e passioni. In nome di nuovi bisogni l’attitudine al lavoro si sta trasformando profondamente e vale la pena interrogarsi sul senso stesso dello sciopero come strumento di protesta. Sotto le ceneri della crisi si scoprono nuove istanze tutte ancora da discutere e interpretare. Il vero confronto non è ancora cominciato.
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