Innovazione

The show must go on: l’evoluzione dell’entertainment

8 Settembre 2017

Inizio prendendola larga, per poi arrivare più o meno velocemente al punto: la produzione italiana di entertainment langue, ma non è ancora morta.

Fino a circa quindici anni fa c’era una grande torta, di grandezza nuziale, che piano piano è stata mangiata. Poi sono rimaste le briciole che tutt’oggi vengono divorate a colpi di low budget, fornitori non retribuiti e personale sottopagato (e sottostimato), fatturando a volte quanto basta ma senza fare margini di guadagno importanti. I soldi in ballo sono pochi e si fa quel che si può, senza grandi idee, senza originalità e tritando e ritritando minestre riscaldate (il paragone culinario non è casuale, visti gli innumerevoli format sul food nella nostra tv).

I palinsesti televisivi del digitale terrestre offrono poco e niente, qualità a volte scarsa a volte alta, ma sempre le stesse cose, ormai arrivate alla decima o undicesima stagione, senza mai osare e creare qualcosa di nuovo da parte di produzioni e reti. Alcuni canali hanno addirittura assenza quasi totale di palinsesti, sono popolati da acquisizioni estere o repliche. L’esperimento del branded content è morto quasi prima di iniziare: si voleva cogliere un’opportunità ma nessuno ha capito il modo in cui realizzarla e sfruttarla, quindi ci siamo ritrovati la tv e i siti web pieni zeppi di prodotti video finanziati da aziende che non ne hanno ricavato nulla (la “marchetta” è diventata inutile) e sono morti lì, nei meandri di internet o tacciati come flop televisivi all’interno dei quali si faceva una sottospecie di pubblicità occulta.

Una volta la Rai era divisa in tre canali che rispecchiavano i voleri dei tre principali partiti politici: Rai1 alla DC, Rai2 al PSI, Rai3 al PC. Non è cambiato molto da quella situazione e, purtroppo, chi ogni volta ha tentato di innovare e cambiare questo mondo è stato invitato a dare le dimissioni o sospendersi (anche recentemente), favorendo sempre gli storici raccomandati e amici dei partiti che mantengono la situazione alla vecchia maniera, senza portare sconvolgimenti o rivoluzioni. L’ offerta deve rimanere rivolta all’ italiano medio, possibilmente con poca cultura e di età elevata.

Quand’ ecco che nel mondo arriva la svolta (sono arrivato al punto): Reed Hastings e Marc Randolph creano la piattaforma di streaming on demand Netflix, accessibile a 190 paesi nel mondo, Antartide inclusa. Questi due signori prima noleggiavano dvd e videogiochi online, poi hanno capito che il mondo aveva bisogno di una novità. Un’altro che l’ha capito è un tale Jeff Bezos, che prima vendeva libri online, poi è diventato l’uomo più ricco del mondo vendendo qualsiasi cosa online e ora ha anche lui una piattaforma di entertainment streaming on demand. Non so se l’avete sentita nominare, si chiama Amazon.

Reed Hastings

Per fornire qualche cifra: Netflix fattura 8,3 miliardi di dollari l’anno e ha un utile netto di 188 milioni di dollari, dando da lavorare a 3.500 dipendenti e con 93,8 milioni di abbonati. La sua crescita annuale è stimata attorno al +35% (dati del 2016, fonti The Hollywood Reporter e Deadline).

Marc Randolph

Amazon (tutta l’azienda) fattura 136 miliardi di dollari l’anno, ha un utile di 2,3 miliardi di dollari e ha circa 150.000 dipendenti (dati del 2015 e 2016, fonte Google Finance).

Jeff Bezos

E non è tutto. Ora anche la società di produzione di intrattenimento più grande al mondo vuole aprire una propria piattaforma di streaming on demand. Anche questa forse l’avete sentita nominare: si chiama Disney.

Qual è la strategia di queste produzioni, come ad esempio le serie tv, su questi nuovi “canali”? Semplice, si chiama rischio. Producono decine di serie tv autofinanziate (e anche parecchi film e documentari) e per la legge dei grandi numeri alcune sono destinate a morire dopo una sola stagione, altre diventano fenomeni di grande successo e continuano a vivere procurando fatturato e utile annuale. Accanto ai prodotti autofinanziati ci sono decine di acquisizioni di alta qualità, sia serie tv, sia film, sia documentari. Il tutto, ovviamente, senza pause pubblicitarie.

In Italia Netflix e Amazon Video sono stati visti con terrore dalle reti televisive. La chiusura italiana verso l’avvento della novità è stata pressochè unanime, quindi Netflix non ha dovuto fare altro che autopubblicizzarsi sul web e tramite affissioni nelle città, investendo in promozioni alternative ai classici spot in tv e utilizzando tutti gli altri media disponibili. E poi una cosa fondamentale a cui affidarsi, lenta ma inesorabile: il passaparola. Se offri prodotti di alta qualità e il costo è bassissimo, allora la gente inizia a seguirti e non la fermi più. Giusto per fare dei titoli: Narcos, Stranger Things, le serie Marvel dei Defenders, Orange is the new black, Sense8, la seconda stagione di Black Mirror, Tredici, BoJack Horseman, Star Wars: the Clone Wars e tanti altri. I documentari poi sono di qualità elevatissima e spaziano in ogni genere.

Amazon Video è un attimo più indietro nella quantità, ma ha nel suo indice Mozart in the jungle, The Man in the High Castle, American Gods, Crisis in six scenes (di Woody Allen) e ha prodotto film come Manchester by the sea, Elvis & Nixon, Paterson.

Ora, parlando di costi mensili, Netflix offre tutti i suoi contenuti in full hd da poter vedere e scaricare da due diversi dispositivi a 10 euro. Per fruire di Amazon Video basta essere abbonato ad Amazon Prime e alcune sue produzioni si possono vedere anche in qualità 4K. Per chi in particolare ha in casa una smart tv di ultima generazione è una rivoluzione totale. Perchè parlo di costi ed elenco i contenuti più famosi di queste due piattaforme? Per fare loro ulteriore pubblicità? No. Perchè oggi sul mercato italiano le uniche risposte tenta di darle Sky, che però realizza la maggior parte del suo fatturato grazie al calcio (serie A, Champions League, Europa League e calcio estero) e ad alcuni contenuti on demand (da pagare extra abbonamento) con costi mensili molto ma molto più elevati. Capendo la potenzialità di Netflix, Sky qualche anno fa ha acquisito da loro in esclusiva House of Cards, quindi un abbonato Netflix in Italia non può vederlo. Ma non facciamo finta di niente: House of Cards, Game of Thrones (che appartiene a HBO), Twin Peaks (che è di Showtime) e tanti altri titoli sono fruibili in streaming grazie al web. Oggi non dobbiamo più aspettare il giorno settimanale alla tale ora per vedere una singola puntata in prima tv della nostra serie preferita. Il mondo è cambiato. Ora le serie vengono prodotte interamente e messe a disposizione dello spettatore dalla prima all’ultima puntata in una volta sola. E’ lo spettatore abbonato che decide come organizzarsi per vedere ciò che vuole, quando e come vuole. Il contenuto è lì, basta decidere quando vederlo, interromperlo, riprenderlo, scaricarlo, salvarlo nella propria lista o cancellarlo. Ovviamente anche in lingua originale e con i sottotitoli. Personalizzare il canale, creare a piacimento il proprio palinsesto. Ecco, prendete tutto questo e comparatelo con l’offerta italiana della tv digitale terrestre: è come paragonare un’automobile di Formula 1 di oggi con una degli anni ’60. Sui canali italiani è come se stessimo ancora aspettando Sandokan ogni sabato sera e Dallas il martedì sera, con una pausa se gioca la Nazionale di Calcio.

Eppure un po’ di luce c’è. L’Italia ha prodotto ed esportato all’estero (con grande successo) la serie di Romanzo Criminale, Gomorra, The Young Pope, sempre con Sky che faceva da apripista. Il problema è che per la nuova serie Suburra la produzione italiana ha abbandonato Sky ed è andata a bussare alla porta di Netflix ad Amsterdam. Sono segnali importanti, significa che l’Italia deve a tutti i costi aprirsi alle novità e non crogiolarsi nello stantio come fa ormai da decenni, adeguando anche i costi e le modalità di fruizione. I bravi registi e le pochissime buone società di produzione che abbiamo qui devono spingere per l’evoluzione, per risollevarsi, per offrire qualcosa di internazionale e di qualità altissima, per diventare competitivi nel mondo. Prendete la BBC inglese: loro con i soldi del canone pagato dai cittadini hanno prodotto Sherlock. Noi sulla Rai siamo alla centesima stagione di Un Medico in Famiglia con “Nonno Libero” Lino Banfi e all’ennesima stagione di una fiction sulle suore di cui non ricordo fortunatamente il titolo.

A costo di dover sembrare pignolo e insopportabilmente critico, suggerirei anche di scostarsi dall’argomento “mafia, camorra, commissari di polizia” ed esplorare nuovi ambiti, come a volte fa il nostro cinema, riscuotendo spesso grande successo. Bisogna accettare le novità e prendere esempio da Netflix, Amazon Video, BBC, HBO, Showtime e dagli altri canali che stanno rivoluzionando il mondo dell’ intrattenimento. Collaborare con loro, creare delle co-produzioni, ritornare protagonisti sul mercato. Il peggior metodo da adottare è il protezionismo: non porterà mai buoni frutti.

Insomma, viviamo in un mondo in cui a breve verrà rivoluzionato anche il sistema della distribuzione cinematografica. Sean Parker (co-fondatore di Napster) sta testando la sua startup The Screening Room, piattaforma che permetterà di vedere a pagamento nello schermo di casa propria i film attualmente nelle sale cinematografiche. Registi come Spielberg e Cameron si sono già schierati a favore di questa nuova tecnologia, vedendoci una rivoluzione e moltissimi guadagni. Da noi non ci sono nemmeno i film in lingua originale, chissà quanto ci metteremo per accettare e importare l’idea di Sean Parker. Ma la speranza è l’ultima a morire e sul cinema bisognerebbe comunque aprire un capitolo a parte.

Concludendo il discorso sull’ entertainment italiano e le novità arrivate dall’estero, affermo di non essere il solito individuo che elogia le novità molto ricche che arrivano dall’ estero e sputa pessime sentenze sulla realtà di casa propria, perchè avrei parlato bene nello stesso modo di Mtv, Tele+ e Sky tanti anni fa, quando portarono in Italia una rivoluzione tecnologica e contenutistica come fanno ora Netflix e Amazon Video. Ovviamente sempre in ritardo, perchè Mtv è nata negli USA nel 1981, mentre da noi è arrivata nel 1997. Ma queste sono le tempistiche del nostro Bel Paese, sembra un morbo incurabile.

Per tutti coloro che invece rifiutano il progresso in questo ambito, mi sento di poterli tranquillizzare citando le parole di Nino Frassica risalenti a circa dieci giorni fa: “stiamo ultimando le riprese della nuova stagione di Don Matteo”.

Buona visione.

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