Innovazione

Sai dove ti curi?

23 Maggio 2015

Sommario:

  • Il mensile “Wired” ha appena pubblicato una app che svela il tasso di mortalità negli ospedali (a seconda delle patologie).
  • “Wired” ha usato i dati ufficiali del Ministero della Sanità. Dati che però il ministero non voleva rendere pubblici. Ne esce il ritratto di un paese a macchia di leopardo dove, per la stessa patologia, si hanno probabilità molto diverse di vivere o morire a seconda della struttura sanitaria in cui si finisce ricoverati.
  • Il tasso di mortalità, però, è un dato che può ingannare. E comunque non è l’unico da prendere in considerazione per valutare la qualità di un ospedale (o di un medico).

La App

Il mensile “Wired” ha appena messo online una applicazione – per computer e cellulari – che è in grado di indicare con precisione il tasso di mortalità per patologia, ospedale per ospedale.

Tutto chiaro? Forse, non del tutto.

Per capirci meglio, non resta che fare un esempio pratico. L’applicazione si trova all’indirizzo che potete raggiungere cliccando qui.

Una volta arrivati sull’home page non resta che cominciare a cercare ciò che interessa. Poniamo di voler sapere come se la cavano gli ospedali di Milano con le operazioni per le fratture al femore.

Riempiendo la casella con il nome della città, abbiamo l’elenco di tutte le strutture sanitarie.


Elenco Ospedali

A questo punto non resta che selezionarne una: diciamo l’Istituto Ortopedico Galeazzi.Ora selezioniamo l’intervento e cliccando sul nome della struttura, ecco che ci compaiono i dati.

Istituto Ortopedico Galeazzi

L’operazione al femore, di per sé, non è banale: un certo numero di pazienti, specie se anziani, non sopravvivono. Ma all’Istituto Ortopedico Galeazzi, il tasso di mortalità – in base ai dati caricati nella app – sarebbe decisamente buono: il 2,9% contro il 5,7% della media nazionale. Ma ci sono strutture che, almeno a colpi di numeri, fanno ancora meglio. E basta far scorrere il mouse per vederne l’elenco.

I migliori

 

E così via.

Il tasso di mortalità che compare è l’ultimo disponibile in termini di tempo e si riferisce al 2013. Ma questa applicazione – che è stata costruita da “Visup” e ufficialmente presentata ieri al “Wired Fest” – contiene anche i dati più vecchi, quelli dal 2008 in poi. Così l’utente può avere un quadro più completo, passato compreso.

Da dove vengono i numeri

I dati alla base di questa applicazione sono quelli ufficiali: li ha raccolti l’Agenas, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali. L’Agenas li ha elaborati per il Ministero della Sanità che, a sua volta, li ha usati per valutare la performance degli ospedali. Ma in teoria non dovevano essere divulgati al grande pubblico.

In teoria, si diceva. In pratica un giornalista esperto in elaborazione dati, Marco Boscolo, è riuscito a metterci le mani sopra (per ben due volte). E “Wired” ha deciso di pubblicarli tutti. Durante la presentazione al “Wired Fest”, Boscolo ha infatti spiegato che “il Ministero della Sanità non vuole rende pubblici questi dati perché preoccupato di evitare allarmismi. Ma la parola d’ordine, anche quando si tratta di Sanità, dovrebbe essere una sola: trasparenza”.

Alti e bassi del Sistema Sanitario Nazionale

Di cose interessanti – a scorre questi numeri – in effetti se ne scoprono. Giusto un paio di cifre, tanto per capirci meglio. Come ha scritto Boscolo in un articolo pubblicato sempre da Wired nel numero in edicola a maggio: in caso di infarto miocardico acuto, nel 2013, il tasso di mortalità passerebbe dall’1,3% (Sarzana) al 27% (Padova). E ancora: sempre secondo i dati pubblicati su Wired, in caso di ictus le percentuale dei decessi varierebbe ancora di più: dall’1% (Città della Pieve) al 45% (Torre del Greco).

Il ritratto che emerge, insomma, è quello – tanto per (non) cambiare – di un sistema sanitario che, come il resto del Paese, appare frammentato, diviso tra eccellenze e performance decisamente meno buone. Un paese in cui, insomma, il cittadino deve conoscere e sapersi muovere per trovare le cure migliori per sé e per i suoi famigliari.

Saper andare oltre i numeri

Qualche avvertenza, però, va aggiunta. Lo stesso Boscolo, al “Wired Fest”, ha fatto notare un primo probema: se una struttura fa un solo intervento di un certo tipo e quell’unico paziente sopravvive, si ha un tasso di mortalità pari a zero. Ma il dato – va da sé – è poco significativo. Come sarebbe poco significativo, sempre nel caso di un singolo intervento, che l’unico paziente fosse morto (mortalità pari al 100%). Insomma: il dato della mortalità è rilevante nella misura in cui si facciano un numero rilevante di operazioni e ci sia un numero rilevante di pazienti.

E okay. Chi scrive, però, si permette di osservare un’altra cosa: il dato della mortalità nulla ci dice sulla qualità della vita del paziente. Che magari è sopravvissuto (almeno per un po’), ma patendo gravi sofferenze.

Mi spiego. Si diceva – anzi: scriveva – “sopravvissuto almeno per un po’”. E non a caso. Il tasso di sopravvivenza – o mortalità – si calcola infatti entro precisi parametri temporali. Spesso per una operazione, si tratta di 30 giorni. E quindi? E quindi se un paziente sopravvive 31 giorni, tra atroci sofferenze, si può considerare un successo? Per la statistica sì, ma per la realtà evidentemente no.

In altre parole, questo numero non basta a descrivere la qualità di una operazione (o di una cura).

Negli Stati Uniti, non a caso, il dato della sopravvivenza a 30 giorni è oggi motivo di grandi polemiche. Per la semplice ragione che, come ha scritto tra gli altri il “New York Times“, accade che i medici a stelle e strisce – per evitare di rovinarsi le statistiche – prendano decisioni anche contro gli interessi del malato. Come? Semplice: se un paziente non ha buone chance di sopravvivere, può succedere che il chirurgo si rifiuti di operarlo. Così, magari, il paziente muore. Ma il chirurgo, appunto, non si rovina “la pagella”.

Insomma: prendere il tasso di mortalità come unico punto di riferimento non solo può essere ingannevole, ma può andare a discapito di tutti, di chi cura e di chi deve essere curato.

Al solito, i numeri bisogna imparare a leggerli e a dargli il giusto peso. Ma a scanso di equivoci: proprio per questo anche chi scrive è convinto che questi numeri – anche contro il parere del Ministero della Sanità – andassero pubblicati. Solo così se ne può discutere. E crescere – medici e pazienti – come società.

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