Innovazione

Intuizioni, ricerca, investimenti: l’industria delle piastrelle risale la china

3 Novembre 2015

A vederle già posate sembrano i mattoni tipici delle case di Londra. Sono invece piastrelle, e sono un prodotto italiano.  «Lo definirei un rustico moderno – racconta Lauro Giacobazzi – l’ho ideato personalmente con il mio staff, in un viaggio a Seattle dove notammo delle tipiche costruzioni all’inglese». È nato così “Brick Generation”, l’ultimo prodotto di punta del Gruppo Rondine, una delle tante aziende del distretto delle piastrelle di Sassuolo. Fiore all’occhiello di un ramo del made in Italy, l’industria della ceramica da arredamento fattura quasi 5 miliardi di euro. «Abbiamo pensato che recuperare questi materiali da case antiche, vecchie fornaci, fontane, sarebbe stato low cost e lavorandole in grès porcellanato avremmo riprodotto lo stesso effetto mattone un po’ british – continua il manager – ma con una qualità migliore della terracotta d’un tempo, più resistente al freddo e al calpestamento».

«Quando non si può competere sul costo della manodopera, bisogna farlo con le idee e proponendo prodotti unici»: nelle parole di Giacobazzi c’è la ricetta che la sua e altre centinaia di aziende hanno dovuto inventarsi per superare una crisi non solo generale ma anche specifica – e tuttora in corso – del settore edilizio. C’è stata una fase, fra il 2008 e il 2011,  in cui la recessione aveva colpito anche gli Usa e perciò contava solo il prezzo. «Ora invece torna a piacere l’originalità e la cura del dettaglio del prodotto italiano».

Per tornare vincente l’industria si riavvicina all’artigianato, all’handmade, come il mattoncino inventato da Rondine che fa già tendenza. O addirittura al design e all’arte, come spiega Massimo Orsini, amministratore delegato di Mutina, piccola realtà che ha appena compiuto 10 anni, festeggiati con una crescita monstre del fatturato proprio negli anni più difficili: +346% dal 2008 al 2014, passando dai 7 impiegati del 2005 ai 120 di quest’anno, indotto incluso. «La ceramica è un prodotto globale ma noi abbiamo scelto di mantenere una rigorosa identità: anzi, la ricerca spasmodica di nuovi mercati da aggredire mi ha persino fatto paura».

Se Rondine si è affidata a un’intuizione, Mutina ha coinvolto designer di livello internazionale e collaborato con lo IED di Milano, scegliendo un percorso quasi più artistico che industriale. All’ultimo CERSAIE, la fiera della ceramica che si tiene a Bologna, ha presentato “Numi” e “Rombini”, che Orsini descrive come «mattonelle molto particolari, per metà mat e per metà lucide, che abbiamo lavorato sia riscoprendo le antiche tecniche della tradizione italiana, sia utilizzando i nuovi strumenti come la ceramica in 3D. Il nostro forte sono i colori: abbiamo ad esempio creato un blu speciale mischiando 15 differenti toni».

La filiera produttiva dà lavoro in tutto a più di 40mila persone. Nel primo semestre 2015 ha già esportato per oltre 1,5 miliardi di euro. Il 7% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e meglio del primo semestre 2007, come evidenziato dai dati del Monitor di Intesa Sanpaolo, i cui analisti parlanodi «un sorprendente ritorno ai livelli pre-crisi». Una delle chiavi di questo piccolo miracolo industriale è l’innovazione, questa grande sconosciuta a livello nazionale: l’Italia investe in R&S meno dell’1,5% del Pil, un dato superiore in Europa solo a Portogallo e Grecia, mentre Francia e Germania viaggiano tra il 2 e il 3%, Israele sopra il 4 per cento. «A Sassuolo e nei Comuni del distretto – spiega Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica e a.d. del Gruppo Fincibec – non abbiamo mai smesso di innovare: anche negli anni più duri, non siamo mai scesi sotto il 5% destinato agli investimenti in nuove tecnologie».

Ma per le piastrelle però ancora presto per parlare di miracolo. Prima della crisi si producevano 600 milioni di metri quadrati, adesso siamo appena tornati sopra i 400 milioni. «Andiamo bene grazie al fatto che esportiamo l’80%, mentre quel 20% che sarebbe il mercato italiano è un po’ fermo e non ci consente di crescere anche a livello occupazionale. Ma questo dipende anche dal sistema Paese, perché i nostri competitor hanno ben altri costi del lavoro e regimi fiscali», osserva Borrelli. A salvare questa e tante altre realtà produttive italiane è dunque quell’80% di export, che nel 2015 vede ancora nella Francia il primo mercato di sbocco e registra una grande crescita di Germania e Usa, nel secondo caso favorita dall’euro debole ma anche da un rinnovato feeling con il made in Italy, che ora punta anche a Oriente. Quello di Mutina è infatti un prodotto di nicchia e che ha fatto un percorso tutto suo con il gigante cinese: «I nostri prodotti sono al 100% made in Italy: molti vanno in Cina a produrre, noi invece andiamo lì a cercare i designer per collaborare sul concept e gli architetti per la distribuzione del prodotto. La Cina è il primo produttore di ceramica al mondo, ma di bassa gamma: per questo l’interesse verso l’Italia è sempre molto alto».

Oltre alla crisi dell’edilizia, c’è chi ha dovuto sopportare anche le conseguenze del terremoto del 2012. Tra questi c’è ABK Group, azienda sensibilmente più grande delle precedenti citate: con i suoi 6,5 milioni di metri quadrati, 116 milioni di fatturato e 345 impiegati si colloca tra i primi 15 players a livello nazionale. ABK, pur lavorando in stretta sinergia con il polo di Fiorano Modenese, sorge nel distretto di Finale Emilia, il più colpito dal sisma di tre anni fa. «Sono stati necessari un paio mesi per la messa in sicurezza e per ritornare ad essere perfettamente operativi – racconta il presidente Roberto Fabbri –. Oltre a rinnovare l’impiantistica per incrementare la produzione di porcellanato tradizionale, all’interno dei nostri laboratori abbiamo continuato la ricerca di materiali innovativi, come le doghe ceramiche prodotte con la tecnologia auto-leveling. Nessuna conseguenza, quindi, sull’occupazione». Salvo che dei 200 milioni circa di danni subiti dall’area colpita, finora è stato rimborsato solo il 30 per cento. Questo non ha impedito di investire su 4 milioni di euro su un nuovo prodotto nel solo 2014, recentemente presentato alla fiera dell’edilizia SAIE. È il “Wall&Porcelain”, il nuovo materiale ecosostenibile per il rivestimento che ha i pregi del grès porcellanato, senza averne i limiti.

Il segreto sta anche nella stessa parola “distretto”. «Far parte di un distretto – spiega Giovanni Foresti, analista del Servizio Studi di Intesa Sanpaolo – ovvero di una intera filiera produttiva collocata in un’area di pochi chilometri quadrati, porta almeno tre grandi vantaggi alle imprese: innanzitutto la vicinanza delle aziende che fabbricano i macchinari che servono alla produzione facilita l’interazione e il progresso tecnologico. Se infatti un imprenditore ha un’idea, l’indomani può contattare il fornitore di macchine e in breve tempo avviare il progetto. La presenza della meccanica sul territorio è un indubbio vantaggio, così come la condivisione della conoscenza commerciale: se un’azienda trova un nuovo mercato interessante, le altre reagiscono più velocemente, imitando il modello vincente». Questo si traduce in una maggiore propensione all’export, perché fisiologicamente l’esperienza positiva contagia le realtà confinanti. C’è infine il terzo vantaggio, quello che impatta sul mercato del lavoro e dunque sulla vita delle famiglie: «Avere sul territorio una rete di centinaia di aziende (più di 250, ndr) specializzate nello stesso ambito – spiega ancora Foresti – crea una sorta di paracadute occupazionale: se perdi il posto, è più facile riciclare la tua professionalità senza neanche allontanarti troppo da casa». Quasi l’80% degli italiani che lavorano nella ceramica, lo fanno in un distretto.

Sostenibilità, idee, innovazione, design, sinergia con il territorio: ingredienti che conquistano l’estero ma che ancora non bastano al mercato italiano, segnato da una perdurante crisi del settore delle costruzioni. «Siamo forti su tutti i mercati – ribadisce Borelli di Confindustria Ceramica – tranne su quello russo dove paghiamo le sanzioni Ue. In compenso però cresce il Medio Oriente, specialmente l’area del Golfo Persico che vuole diversificare un’economia basata solo sul petrolio puntando sul turismo e dunque sulla costruzione di grandi complessi residenziali, per i quali lo stile italiano è ancora considerato il più raffinato». Manca però il mercato italiano: «Quello è fermo per i soliti problemi, legati a tasse e burocrazia, oltre che costo del lavoro. Ma la manovra del Governo ha due punti positivi che possono rilanciare il settore: la conferma degli incentivi per la ristrutturazione edilizia e il bonus energetico, e l’abolizione della tassa sulla prima casa, che può dare nuovo impulso al mercato».

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