Innovazione

Ricerca scientifica, innovazione e crisi economica: parola a Marco Simoni

2 Maggio 2020

L’asimmetria che caratterizzerà la crisi dei settori economici post Covid-19, i rischi tecnologici della globalizzazione, il ruolo delle scienze e della ricerca, quello dei giovani nel mercato del lavoro e nella società: questi sono i temi affrontati nell’incontro telematico di martedì 28 aprile, organizzato da Yezers, che ha visto come ospite Marco Simoni, presidente della Fondazione Human Technopole, l’istituto di ricerca per le scienze della vita che ha sede nel Milano Innovation District (MIND), presso l’area che ospitò Expo Milano 2015. Simoni, adjunct professor alla LUISS Business School dove insegna Politica economica europea, dal 2007 al 2016 docente alla London School of Economics, tra il 2014 e il 2018 è stato consigliere per le Relazioni Economiche Internazionali e la Politica Industriale per il Presidente del Consiglio dei Ministri (prima Renzi, poi Gentiloni). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Senza alibi: Perché il capitalismo italiano non cresce più, edito da Marsilio nel 2012, testo divulgativo con l’intento di mostrare come negli ultimi vent’anni, e in particolare durante la cosiddetta Seconda Repubblica, l’assenza di un compromesso organico, fondato su istituzioni coerenti, sia stato alla radice del declino economico del paese.

La genesi di Human Technopole risale a fine 2014, quando “mi resi conto, poco dopo aver iniziato l’incarico di consigliere presso la Presidenza del Consiglio, che non c’era un piano per cosa sarebbe successo a fine Expo: di lì a poco, ricevetti da Renzi l’incarico di occuparmene”, spiega il professore. “Da parte dell’Istituto Italiano di Tecnologia, arrivò la proposta di dedicare l’area alle scienze della vita, costruendo un centro di ricerca con una leadership internazionale, che fungesse da polo attrattivo per ulteriori iniziative”. Un centro di aggregazione per la conoscenza che mettesse dunque in atto i presupposti per la formazione di un ecosistema scientifico. “La sfida fino ad ora sta funzionando”, spiega Simoni, aggiungendo che “altre realtà si stanno aggiungendo. Sono arrivati importanti investimenti dall’Australia, l’Università statale di Milano ha deliberato di trasferire, proprio dirimpetto a noi, tutte le facoltà scientifiche e siamo in contatto con decine di aziende pronte ad investire nell’area. L’intenzione è quella di creare una cittadella dell’innovazione al pari delle altre realtà internazionali, come ad esempio il Francis Crick Institute di Londra.

Uno degli scopi di Human Technopole è quello di rafforzare la capacità di ricerca dell’Italia nel settore delle scienze della vita, offrendo agli studiosi esterni all’istituto la possibilità di utilizzarne le tecnologie. “Ciò è importante perché maggiore è l’investimento, in termini di persone, capitali e infrastrutture, migliore è la qualità della vita delle persone. Inoltre, lo sviluppo tecnologico in vari settori, non solo per ciò che concerne le scienze della vita, può essere e sarà un grande elemento di crescita economica. Basti pensare al fatto che quando si fa una scoperta, affinché essa possa essere davvero utile, dovrà anche essere industrializzata. Questo produce nuovi posti di lavoro e ulteriori investimenti”, spiega Simoni.

Nel corso dell’incontro il professore ha evidenziato la necessità di implementare il funzionamento dei centri di ricerca, d’investire nelle strutture scientifiche di vario genere, affinché si creino strumenti fondamentali di resistenza alle crisi inaspettate, come quella che stiamo affrontando.

Sul fronte dell’imprevedibilità delle crisi, prendendo ad esempio l’abusata metafora del “black swan” di Nassim Nicholas Taleb, Simoni ha evidenziato come “di cigni neri negli scorsi anni ce ne sono stati un sacco: al cinquantesimo cigno dal piumaggio scuro bisognerebbe capire che è necessario riconsiderare la natura di quell’uccello. Intendo dire che ormai dall’inizio degli anni 2000, prendendo come punto di riferimento l’11 settembre, noi siamo chiaramente immersi in una realtà socio-economica che genera dei rischi a cui le nostre comunità non sono state in grado di prepararsi. Il fatto è che questi rischi sono la conseguenza dello sviluppo tecnologico del mondo”. Questo aspetto non deve farci cadere nel tranello di chi sostiene che si debba tornare tutti in campagna a zappare la terra, ma è necessario per capire che ogni sviluppo sociale ed economico di tipo fortemente trasformativo genera nuovi rischi, che prima non si ponevano. Due esempi: il problema di rimanere disoccupati è molto recente ed è nato con la rivoluzione industriale, quando una imponente massa di persone scelse le città al posto della campagna. Mentre nelle società contadine i bisogni della quotidianità imponevano una serie di attività continuative nel tempo per sopperire alla fame e contribuire alla sussistenza del nucleo familiare, gli operai che si trasferivano nei centri urbani per lavorare nelle fabbriche si trovavano, spesso e volentieri, a non aver di che mangiare perché sforniti di stato sociale o assicurazioni di garanzia sul lavoro. Un secondo esempio è la globalizzazione: dall’ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization) e con la nascita di un mondo ad altissima connessione, il numero di rischi che le società devono affrontare è aumentato a dismisura.

Questa crisi”, spiega Simoni, “ha alcune caratteristiche che la rendono unica rispetto a quella finanziaria o a qualsiasi altra emergenza economica. La sua peculiarità sta nel fatto che non colpisce tutti i settori in maniera uguale. Prendiamo il settore aereo, che nessuno è in grado di dire come e quando ripartirà. È chiaro che la Germania salverà Lufthansa, la Francia Air France e così via. Ma compagnie come Easyjet e Ryanair, che oltretutto rispondono a modelli di business basati su un tasso di riempimento dell’aeroplano dell’80%, avranno serie difficoltà. Così come il turismo, magna pars nell’economia di molti paesi europei, è in profonda crisi. Altri settori, invece, sono in pausa; soffriranno abbastanza, ma potranno ripartire. Altri ancora, vedi il farmaceutico o l’agroalimentare, non hanno avuto alcun problema e stanno addirittura crescendo”.

Questa asimmetria totale con cui l’emergenza sta colpendo le economie comporterà dei mutamenti profondi nel sistema della globalizzazione, che non tornerà indietro ma dovrà sicuramente riconfigurarsi. Ad esempio è verosimile una contrazione della cosiddetta catena del valore, fenomeno per cui i prodotti di consumo sono sviluppati in decine di paesi e poi assemblanti in altri. Queste riconfigurazioni non è detto che siano un male: potrebbero, viceversa, migliorare la qualità della vita delle persone, ma ci vorrà tempo. “L’effetto immediato è durissimo dal punto di vista economico e sociale; stiamo per assistere ad una perdita di prodotto interno che può arrivare al doppio di quella del 2009. L’aggiustamento dell’economia e dei settori produttivi sarà lento, ma più efficiente laddove si riuscirà ad avere regole flessibili, adattive e una sensibilità creativa; in questo l’Italia dovrà fare un grande sforzo, perché siamo attaccati a una quantità di formalismi che io conoscevo da studioso, ma che sono ancora più pesanti quando li sperimenti da presidente di un’organizzazione”.

In chiusura il professore ha parlato del ruolo dei giovani, spiegando che “a parte una breve parentesi alla fine degli anni sessanta, da un punto di vista politico i giovani non esistono. Quella della gioventù è, ahimè, una situazione temporanea. È vero, ad esempio, che i trentenni di oggi hanno un reddito medio più basso rispetto a venti anni fa, ma il singolo individuo vede comunque il proprio reddito aumentare: progressivamente, esce da quella fascia di età e della dinamica del reddito dei trentenni, a quel punto, gli importa relativamente. In definitiva,” conclude Simoni, “la categoria rischia di togliervi più di quello che vi dà. Mettetevi nell’ottica di partecipare allo stesso campionato degli adulti, nel lavoro come nella società”.

 

Francesco Giorgi

Membro della Redazione di Yezers

 

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