Innovazione
Nessuna azienda è un’isola, bisogna fare rete (globale)
Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte della Terra. Così scriveva nel 1624 John Donne, poeta e religioso inglese ancora oggi molto in voga nel Regno Unito. Il fine di Donne era quello di educare e incivilire il lettore a livello morale (famosa la chiusura: E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te); io però credo che le sue parole valgano anche per chi fa impresa, incluso il sottoscritto.
Mi spiego. Immaginare un’azienda come un’isola nell’oceano, come una monade avulsa da ogni contesto, è un’illusione che rischia di produrre danni. In realtà, salvo rarissime eccezioni, un’azienda vive e prospera solo se fa parte (e si sente parte) di un ecosistema vitale e prospero. In Italia, storicamente, le imprese hanno spesso trovato i loro ecosistemi in quelle particolari realtà produttive che sono i distretti industriali: da decenni uno dei cavalli di battaglia del nostro manifatturiero.
I distretti industriali sono definiti come sistemi composti “da un insieme di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da una tendenza all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva, in genere concentrate in un determinato territorio e legate da una comune esperienza storica, sociale, economica e culturale”.
Ecco, in un Paese ammalato di individualismo come il nostro, le PMI dei distretti industriali hanno saputo fare rete, e sistema. Creando in primis molteplici collegamenti e sinergie tra di loro; ma anche con il territorio, e con i grandi giacimenti (spesso non pienamente sfruttati) di talento, creatività e cultura che esso custodisce. Hanno aiutato l’ecosistema d’appartenenza a prosperare, e a sua volta l’ecosistema ha aiutato loro, in un circolo virtuoso.
Insomma, i distretti industriali hanno svolto, e continuano a svolgere, un ruolo fondamentale. Tuttavia in un’economia sempre più globalizzata, la dimensione locale non può che essere un punto di partenza. La necessità è quella di aprirsi non soltanto al territorio, ma al mondo. E di sfruttare al meglio ogni opportunità.
In un post di alcuni mesi fa ho definito la duttilità un metodo. E ho osservato come le fabbriche duttili preferiscano l’innovazione aperta, onde “contaminare le proprie idee con quelle delle altre imprese, degli enti del territorio, delle startup e dei centri di ricerca, senza timori né insicurezza”. Ecco, fare rete significa innanzitutto avere la curiosità, la voglia, e soprattutto l’umiltà, di confrontarsi con le idee, le necessità e gli input degli altri.
Ciò non è sempre facile; richiede coraggio. Poche cose al mondo sono più confortevoli e rassicuranti, per un’azienda, delle idee consolidate, delle pratiche rodate, dei processi noti e collaudati. Tuttavia non bisogna confondere l’esperienza, che è asset, con il conservatorismo: perché galleggiare nella routine genera una stagnazione pericolosa. Da un lato l’azienda sta ferma, appagata di sé; dall’altro, il mondo si trasforma, e corre ad una velocità sempre più vorticosa.
Da qui la necessità di aprirsi al mondo, partendo ovviamente dal luogo dove l’azienda ha la propria base. Faccio un esempio: quello dell’azienda da me guidata, cioè la realtà che conosco meglio. Noi siamo fortunati, perché ci troviamo in Trentino, un territorio con una profonda vocazione internazionale che sta seriamente puntando sull’innovazione, sul nuovo manifatturiero, sulla ricerca e sull’avanzamento tecnologico. Da anni collaboriamo in modo proficuo con l’agenzia provinciale per lo sviluppo sostenibile del sistema trentino. E da tempo siamo anche tra i partner di un importante acceleratore di startup. Non solo: da quando siamo su piazza (dal 1988) abbiamo costantemente cercato di dialogare con startup, aziende, laboratori ed enti provinciali e regionali, scuole, università, centri di ricerca.
Ancora, operando in Trentino siamo nel cuore di quella sorta di distretto neo-industriale che è l’Artisan Valley. Da Bolzano a Padova, da Verona a Trieste, si moltiplicano le aziende, gli studi di design, le botteghe artigiane e le startup hardware che per produrre combinano le tecnologie del digital manufacturing con competenze manuali e artigiani più tradizionali. Un mix di digitale e analogico, moderno e antico che per ora è un fenomeno alquanto sottotraccia (anche se ne hanno parlato alcuni grossi giornali internazionali), ma che nei prossimi anni, con il decollo della cosiddetta Industria 4.0, attirerà sempre di più l’attenzione.
Fare rete però non significa certo arroccarsi in una dimensione localistica o regionalistica. In realtà il confronto deve andare oltre i confini del proprio habitat. Noi, per esempio, abbiamo stretto un’alleanza strategica con un’azienda torinese specializzata nella progettazione e produzione per il settore automotive. Ancora, stiamo portando avanti un ambizioso progetto di ricerca applicata con un laboratorio di un’università di Roma, mentre con un partner tedesco siamo alla ricerca di nuove opportunità di business in Germania. Tutto questo, naturalmente, richiede tempo, energie e risorse. Ma ne vale assolutamente la pena.
Ancora, confrontarsi con il mondo implica anche la partecipazione al dibattito pubblico. Ad esempio su un tema di grandissima rilevanza nazionale quale l’istruzione. Come ho scritto in un post di alcuni mesi fa, i tre luoghi canonici della formazione italiana (la scuola, l’università e l’azienda) sembrano oggi andare ciascuno per conto proprio.
Una scuola senza un saldo collegamento con l’università e con il mondo produttivo rischia di non formare studenti all’altezza delle sfide che li attendono dopo il diploma. Un’università lontana dal mondo produttivo può trasformarsi in una “torre d’avorio” dominata dai baroni. E aziende poco inclini al dialogo con scuola e università corrono il pericolo di cadere in una sorta di letargia culturale, e di perdere opportunità di trasferimento tecnologico e innovazione importanti. Fare rete è il miglior modo per vaccinarsi contro tutto ciò, e per aprirsi a un mondo di straordinarie opportunità. Nessuna azienda è un’isola.
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