Innovazione

L’importanza (e la delicatezza) dell’uso dei dati nella lotta al Coronavirus

20 Marzo 2020

Viviamo una situazione mai sperimentata prima. Stiamo combattendo un virus, un nemico invisibile che sta mettendo a dura prova il sistema sanitario nazionale. Ogni giorno leggiamo con sgomento i dati relativi a contagiati e decessi. Sono numeri ma sono soprattutto storie, storie di persone che purtroppo si ammalano, che nei casi peggiori perdono la vita, da sole, senza poter avere nemmeno il conforto dei propri cari. Ancora, storie di medici, infermieri, ricercatori che lavorano senza sosta in una corsa contro il tempo. Storie di chi deve continuare a lavorare per garantire i servizi essenziali o l’  l’approvvigionamento di beni, di chi si occupa di sanificazione e pulizia, storie di solidarietà, di quella che è una vera e propria resistenza.

Dobbiamo rispettare quanto stabilito da istituzioni e autorità sanitarie, dobbiamo ridurre al minimo il rischio di contagio, stando a casa. Si può uscire solo per andare in farmacia, fare la spesa o lavorare, se non si può fare diversamente e anche chi lavora deve rispettare quanto stabilito dal protocollo della sicurezza sui luoghi di lavoro. Ora è il tempo della responsabilità. Ognuno deve fare la propria parte in base alle possibilità che ha e anche stare a casa è un contributo imprescindibile, perché è un modo per proteggere se stessi e gli altri. Eppure, forse per qualcuno il messaggio non è ancora chiaro. Gli spostamenti sono ancora troppi vista l’emergenza che viviamo.

Ad attestarlo i dati ottenuti dai ripetitori della rete cellulare.

Secondo quanto riportato da Ansa, la percentuale di chi restava a casa il 10 marzo era del 29% a livello nazionale, cinque giorni dopo era del 50% ma il giorno successivo si è ridotta al 38%. Lo studio è stato fatto da due ricercatori dell’Università degli Studi Di Bergamo, che hanno analizzato i dati raccolti dagli smartphone di un campione di persone tramite un’app. È stata anche rilevata la distanza media giornaliera percorsa nel nostro paese, che era di 14 km il 10 marzo, per scendere a 4 km cinque giorni dopo e risalire a 9 km il 16 marzo.

La regione Lombardia sta collaborando con i principali operatori di telefonia mobile proprio per avere un quadro degli spostamenti e capire se le disposizioni, a grandi linee, sono rispettate. È stato specificato che i dati sono raccolti in forma aggregata e anonima.

Ecco quindi che sta emergendo un tema che, passata l’emergenza, andrà affrontato, ovvero quello dei big data, i dati e le informazioni digitali che ogni utente dissemina quando utilizza applicazioni e piattaforme. Parte di questa mole di dati è raccolta dai service provider. Tali informazioni in periodi come questo possono servire a monitorare il contenimento del contagio, il riferimento agli spostamenti tracciati dagli smartphone riportato prima ne è un esempio. C’è quindi una utilità collettiva collegata al loro utilizzo. Tuttavia è necessario garantire cybersecurity e privacy, perché naturalmente non bisogna eccedere a finire nella sorveglianza di massa. In Europa il rischio non c’è, dal momento che è in vigore il Regolamento generale sulla protezione dei dati. Il tema, però, resta ed è enorme. È giusto usare queste informazioni? Dove inizia la tutela e dove un meccanismo di sorveglianza di massa? Parliamo infatti di cose fondamentali come il diritto alla libertà e alla privacy, aspetti che distinguono una democrazia in salute da qualsiasi tipo di regime

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