Innovazione
L’export high tech cresce del 12% grazie alla farmaceutica
Nel primo trimestre 2020 le esportazioni di prodotti ad alto contenuto tecnologico hanno registrato un incremento del 12% circa, 1,5 miliardi in più rispetto allo stesso trimestre del 2019. Ad affermarlo è il monitor pubblicato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.
A sostenere l’export dell’industria ad alta tecnologia nei primi 3 mesi dell’anno ha contribuito ancora una volta il settore farmaceutico (+24%), che anche a marzo ha segnato un aumento a doppia cifra (+32,5%), sostenuto dalle vendite di medicinali e preparati farmaceutici.
La crisi economica generata dalla diffusione del Coronavirus e dal conseguente lockdown nelle principali economie mondiali e in Italia, nel 2020 coinvolgerà in maniera asimmetrica i diversi settori economici, compresi quelli ad alta tecnologia, come farmaceutica, biomedicale, ICT e aerospazio.
Il settore farmaceutico e quello biomedicale soffriranno meno la crisi per via della domanda di medicinali (con prospettive più favorevoli per i produttori di vaccini) e dispositivi medici, necessari per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19. L’emergenza causata dalla pandemia ha infatti aumentato in modo significativo, in Italia come in altri paesi industrializzati, la domanda di sistemi di protezione personale e di disinfezione (disinfettanti, mascherine, camici usa e getta, lenzuola, maschere etc.), di prodotti per la diagnosi (kit, reagenti, macchinari per le analisi, le radiografie etc.), di beni per il monitoraggio e la cura (dagli ossimetri ai respiratori etc.).
Nel mese di marzo l’Italia risulta aver importato, rispetto allo stesso mese del 2019, quasi 200 milioni di euro aggiuntivi di prodotti medicali e sanitari legati all’emergenza. Spiccano per incrementi in valore assoluto i flussi aggiuntivi di prodotti per la disinfezione e la sterilizzazione in arrivo da Irlanda (+83,5 milioni di euro), Belgio (+74,2 milioni di euro), e il balzo degli acquisti dalla Cina di abbigliamento protettivo, con 71,4 milioni di euro in più rispetto a marzo 2019. Da segnalare, come, anche le esportazioni italiane relative a questi prodotti siano aumentate in modo significativo (soprattutto prodotti per disinfezione e sterilizzazione verso Stati Uniti, Francia e Belgio) contribuendo ad aumentare il saldo commerciale di 250 milioni nel solo mese di marzo.
Nel 2018 l’insieme di prodotti anti-COVID-19 ha generato un flusso di commercio internazionale pari a oltre 760 miliardi di dollari, quasi la metà attribuibile al comparto della disinfezione e sterilizzazione. Seguono, con importi intorno a 120 miliardi di dollari, il comparto dell’elettromedicale e quello dei dispositivi medicali usa e getta. L’abbigliamento e i prodotti protettivi hanno dato luogo a un flusso di esportazioni mondiali pari a poco più di 60 miliardi, mentre la diagnostica e gli altri prodotti hanno registrato esportazioni globali pari, rispettivamente a 47 e 39 miliardi. Meno rilevanti i flussi degli altri prodotti e del mondo dei veicoli (8 miliardi).
Per quanto riguarda l’insieme di questi prodotti spicca il ruolo della Germania con una quota sul commercio mondiale del 13,4%, seguita da Stati Uniti (12,1%) e dalla Cina (10,1%). L’Italia, con una quota pari al 3,7%, occupa il nono posto tra i primi 10 esportatori mondiali, con un miglior posizionamento nei comparti della disinfezione e sterilizzazione, dell’abbigliamento e sistemi di protezioni e nella produzione di veicoli. L’analisi in termini di saldo normalizzato fa emergere, nel complesso, un buon posizionamento dell’Italia che si colloca al quinto posto, dopo Irlanda, Cina, Svizzera e Germania.
Sarà invece il settore aerospaziale a soffrire maggiormente la crisi, condizionato dal blocco del traffico aereo. Ma anche l’ICT, dopo una partenza positiva dall’inizio del 2020, ha frenato a marzo, nonostante la crescita dell’esportazione di prodotti per lavorare da casa o per la didattica a distanza e lo studio, come Pc e tablet. Già nel 2019 il settore ICT era calato, rispetto all’anno precedente, dell’1,5%. Complessivamente però nel 2019 l’export dei settori italiani ad alta tecnologia era cresciuto del 13,2% rispetto al 2018, confermando un trend positivo osservato negli ultimi 10 anni, e raggiungendo così 60,8 miliardi di euro.
Le esportazioni dei settori high tech rappresentano il 13,4% dell’export manifatturiero italiano. Il comparto farmaceutico è quello che negli ultimi anni ha evidenziato un incremento superiore al 25%. Segnali positivi però sono stati registrati anche per il biomedicale (+6,4% in accelerazione rispetto al 2018) e l’aerospazio (+3,1 per cento).
Il 65% delle esportazioni dei settori ad alta tecnologia ha origine da 24 poli tecnologici. Il 2019 si è chiuso in crescita per 15 poli high-tech, con risultati particolarmente brillanti per i cluster della farmaceutica che si sono tutti attestati su valori delle esportazioni ai massimi storici. È risultato positivo anche lo scenario dei poli biomedicali, con 4 su 5 realtà in crescita, e quello dei poli aerospaziali. È risultato più eterogeneo invece il contesto dei poli ICT, in cui ai buoni risultati di Catania, Trieste e Roma, si è contrapposto il calo di esportazioni dell’ICT di Milano e Monza, primaria realtà del settore.
I settori high tech sono caratterizzati da un’elevata internazionalizzazione. Se l’Italia si caratterizza per una presenza limitata di investimenti esteri e inferiore alla media europea, nei settori ad alta tecnologia il peso degli IDE IN risulta quasi doppio rispetto a quello del dato dell’economia evidenziando una capacità di attrarre capitali esteri più simile a quella dei principali competitor europei. È il settore farmaceutico quello che evidenzia il peso di IDE IN più rilevante: circa il 60% del fatturato e il 50% degli occupati del settore è originato da multinazionali estere. Più di un quarto degli investimenti nei settori high tech in Italia è di origine statunitense: gli USA costituiscono il principale paese diprovenienza di IDE per i settori dell’elettronica, farmaceutica e software. Seguono gli investimenti provenienti da Regno Unito, Svizzera e Francia.
Analizzando 9.479 imprese dei settori ad alta tecnologia, di cui 795 multinazionali estere (che rappresentano un fatturato di circa 54 miliardi di euro) nel report emerge come queste imprese siano più grandi rispetto alle multinazionali italiane (e alle imprese italiane), e prevalentemente localizzate in Lombardia. L’attività di investimenti esteri è cresciuta e avvenuta negli ultimi dieci anni.
Il futuro si giocherà sul settore dell’elettronica. Con l’accelerazione sul fronte della rivoluzione 4.0 e dell’automazione assisteremo, molto probabilmente, ad un aumento del peso degli input elettronici nelle produzioni manifatturiere, persino nei settori a basso contenuto tecnologico, ad oggi meno impattati dalla trasformazione. A maggior ragione dopo l’esperienza vissuta durante la fase più critica della pandemia da COVID-19, quando si è toccato con mano il beneficio di una gestione non tradizionale degli impianti produttivi.
La filiera elettronica mondiale è profondamente già cambiata con lo spostamento del baricentro produttivo dagli Stati Uniti alla Cina. Se nel 2000 la produzione cinese di elettronica rappresentava il 7,4% della produzione mondiale, nel 2014 questa quota è salita al 33,7%. All’opposto, il peso statunitense è passato dal 27% al 14,8%. I paesi europei nel loro complesso hanno sperimentato una contrazione del loro peso sulla produzione mondiale (dal 19,5% del 2000 al 12,2% del 2014). Un’analisi più dettagliata mette in luce, in realtà, una situazione a macchia di leopardo, con una contrazione dei livelli produttivi della filiera francese (-43,3%, sempre nel periodo 2000-14), inglese (-35,5%) e, in misura più contenuta, spagnola e svedese. In crescita, invece, le filiere tedesca (+25,9%) e italiana (+31,6%).
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