Innovazione

Legal Tech: attenzione a ciò che si desidera

17 Dicembre 2021

Nelle settimane scorse è rimbalzata la notizia di un interessante esperimento condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Il progetto – che in realtà è stato avviato già nel 2019 con la collaborazione del Tribunale di Genova ed è stato di recente esteso anche al Tribunale di Pisa – dovrebbe svilupparsi in più fasi.

Il primo passo prevede l’annotazione semantica di una serie di decisioni negli ambiti del danno alla persona e dell’assegno di separazione e divorzio.

Questa attività, mirata ad “allenare” l’algoritmo, consentirà al sistema di riconoscere ed appuntare in modo automatico le decisioni in quelle specifiche materie.

In questo modo, il machine learning dovrebbe evolvere e riuscire ad individuare all’interno del testo, ovviamente senza intervento umano, non delle semplici parole chiave ma complete espressioni, frasi o formule.

A valle del riconoscimento, le pronunce selezionate verranno “etichettate” e distinte per ambiti e contenuti.

Attraverso la costruzione di una base dati semanticamente annotata, ricercabile con linguaggio naturale, consultabile da tutti, sarà possibile compiere il passo successivo: l’elaborazione di algoritmi predittivi.

Una conoscenza organizzata e capillare dei tempi di decisione di un tribunale, nonché delle prassi e degli orientamenti giurisprudenziali, sarebbe il viatico per riuscire a prevedere, con una certa approssimazione, lo sviluppo e l’esito di un contenzioso prima ancora di avviarlo.

Grazie al supporto fornito da questa sofisticata creatura munita di intelligenza artificiale, difatti, si potrebbe aprire una finestra sul futur(ibile) e risultare agevolati nel compiere qualche consapevole valutazione anticipata.

Giustizia “predittiva”, quindi, intorno alla quale stanno lavorando da tempo, di concerto tra loro, alcune università e diversi tribunali, a testimonianza dell’attenzione che l’universo dei giuristi presta a queste forme evolute di dialogo tra diritto e tecnologia.

Non se ne immagina – almeno dichiaratamente – una integrazione nelle dinamiche di svolgimento delle procedure: la sostituzione macchina/uomo è ancora lungi da venire (ancora per quanto?).

Almeno per il momento si lavora solo alla prospettiva di servire agli operatori del diritto uno strumento accessorio di natura consultiva, una sorta di oracolo processuale.

Qualora il sistema si mostrasse affidabile, i benefici sarebbero facilmente misurabili in termini di accelerazione dei processi, riduzione delle liti e impulso a soluzioni concordate.

Ma il passo successivo quale sarà?

A questa domanda, molti operatori del diritto si affrettano, con comprensibile preoccupazione, ad affermare che la tecnologia affiancherà l’uomo, ma non lo sostituirà.

Non è però così, e pensare che le macchine non eroderanno una parte significativa dello spazio occupato dai legali è purtroppo una mera illusione.

Si tratta di un fenomeno già in corso da anni, che l’impatto dell’intelligenza artificiale non potrà far altro che accrescere.

Ridurre l’attività significherà contrarre il lavoro, di conseguenza il guadagno e lo spazio disponibile sul mercato dei servizi legali.

Qualche tempo fa fece un certo scalpore uno studio McKinsey Global Institute.

Secondo quella ricerca, circa il 50% dei lavori svolti attualmente da persone fisiche, nel mondo, potranno essere automatizzati quando le tecnologie attualmente in fase di studio saranno affinate e diffuse su scala globale.

A tal proposito, osservare i movimenti in corso negli Stati Uniti consente di prevedere, con la consueta approssimazione media di circa un decennio, cosa accadrà dalle nostre parti.

Oltreoceano, negli ultimi anni, l’impatto della tecnologia sulle professioni giuridiche è stato chiaramente avvertito.

Gli avvocati stanno affrontando la sfida di quelle che ormai vengono definite disruptive legal technologies (tecnologie giuridiche dirompenti).

Secondo un recente report dell’Università di Stanford: “anche se la maggior parte del lavoro di un avvocato non è ancora meccanizzata, l’intelligenza artificiale applicata all’estrazione di informazioni giuridiche e alla costruzione degli argomenti ha automatizzato parti del lavoro degli avvocati appena abilitati (first-year lawyers)”.

Nel nostro Paese esiste un serio problema di avviamento alla professione dei giovani avvocati, già di per sé costretti a farsi largo tra mille difficoltà e che, da un po’ devono fare i conti anche con una tecnologia in grado di ridurre la loro utilità e, di conseguenza, la loro possibilità di crescita professionale.

Ancora uno sguardo agli Stati Uniti.

Le prestazioni di servizi di consulenza legale multitasking si stanno trasferendo su piattaforme telematiche oppure sono realizzate attraverso sistemi esperti, mentre l’accesso ai big data sulla rete Internet è basato su motori di ricerca che hanno ormai definitivamente eliminato la consultazione e lo studio dei testi cartacei.

L’assistenza difensiva avviene essenzialmente tramite i portali della giustizia telematica e sta diventando prevalente non soltanto nel settore pubblico, ma anche in quello privato. L’uso della rete Internet e dei sistemi di intelligenza artificiale si sta avviando ad essere la modalità principale di gestione della giustizia arbitrale e delle procedure di mediazione e di gestione alternativa delle controversie (ADR).

Sono scenari che diffondono timore e preoccupazione in molti professionisti, e si tratta di sentimenti in parte comprensibili.

Quello fin qui descritto, tuttavia, è uno scenario spaventoso solo per chi conserva la speranza di trascinare, in un futuro che non lo consentirà, le logiche professionali del secolo scorso.

Sarebbe miope non accorgersi di come (anche) le professioni legali abbiano necessità di venire significativamente ripensate.

Come in ogni momento critico, c’è chi vedrà solo ostacoli e chi, per fortuna, saprà scorgere interessanti opportunità.

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