Innovazione
La Puglia potrebbe diventare la California d’Italia
A novembre, dopo tanto tempo, sono tornato in Puglia, per lavoro. Un viaggio lungo, in treno: da Roma a Bari, con una lunga (e imprevista) sosta nei pressi di Benevento. Il ritorno altrettanto faticoso: da Bari a Padova, passando per Ancona e Bologna, per giunta in un giorno di sciopero. I viaggiatori, molti dei quali pugliesi, di fronte a ogni rallentamento o contrattempo sfoggiavano una pazienza velatamente beffarda; sorrisi rassegnati lampeggiavano agli annunci improbabili (e spesso fuori sincrono) che piovevano da un altoparlante assordante.
È da vent’anni che prendo treni, soprattutto regionali a lunga percorrenza, almeno due o tre volte la settimana. In treno sono arrivato sino in Polonia, partendo da Trento. Ma alla fine basta un viaggio andata e ritorno in Puglia per capire che uno dei talloni d’Achille del nostro Mezzogiorno sono le infrastrutture. Pugliesi, calabresi, lucani, abruzzesi, molisani e campani meriterebbero di meglio (per non parlare di siciliani e sardi).
Andare in auto dal sudest al nordest, da Lecce o Bari a Udine o Trento, è poco sostenibile e sfiancante. Almeno otto ore di viaggio, escluse le indispensabili soste per la benzina o un caffè. Però anche viaggiare in treno è affare complicato. Per un imprenditore barese arrivare in nord Italia (o a Roma) può essere una piccola Odissea. E viceversa: un manager padovano può arrivare a Milano in due ore, a Bologna in un’ora e un quarto, a Roma in quattro ore, a Napoli in cinque; invece per Bari, capitale del sudest, di ore ne servono almeno sette e mezza. Non a caso molti, per risparmiare tempo, preferiscono l’aereo, che ha i suoi pro ma anche i suoi contro: ad esempio i costi e l’impatto ambientale.
Tutti, a Bari, mi hanno decantato le lodi dell’aeroporto locale, intitolato a Karol Wojtyła. Ma un aeroporto, per quanto ottimo, non basta. Né bastano email e videoconferenze per “fare business”. Una relazione commerciale duratura è prima di tutto una relazione umana, costruita attraverso strette di mano, incontri faccia a faccia, pranzi di lavoro, riunioni. Gli esseri umani sono primati, non macchine, e il contatto umano sarà sempre cruciale. Se fossero sufficienti email e videoconferenze per “fare business”, la Silicon Valley non esisterebbe; e invece uno dei punti di forza di questa regione economica estesa quanto la Basilicata è la straordinaria concentrazione di ingegneri, creativi, investitori, manager e ricercatori.
Se mi intestardisco su un tema (i collegamenti, in primis ferroviari) che non appassiona quasi nessuno è perché Bari, e la Puglia in generale, potrebbero veramente diventare Italy’s next big thing, per ricorrere a un’espressione a effetto da oped anglosassone. Servono però i collegamenti, in modo da sottrarre la Puglia da quello stato di quasi-insularità che nei secoli l’ha spinta a guardare soprattutto a est, oltre il Canale di Otranto, verso i Balcani, la Grecia, il Levante.
Immaginiamo se si potesse arrivare a Bari dal nord Italia in quattro o cinque ore… E in effetti sarebbe cruciale portare l’Alta Velocità sull’Adriatica, come chiedono in tanti. Il fatto che Rfi stia valutando l’ipotesi è senz’altro un’ottima notizia (così come sono positivi i lavori in corso sulla nuova linea ad alta velocità Napoli-Bari, che entro il 2027 dovrebbe collegare meglio le due metropoli meridionali a maggior potenziale).
Se il Frecciarossa, dopo la sosta a Bologna, potesse sfrecciare a trecento chilometri l’ora sino a Bari (passando per Rimini, Ancona, Pescara – e Termoli, perché il Molise esiste), non solo le economie di Abruzzo e Molise avrebbero finalmente la possibilità di agganciare quelle del nordest (già oggi, com’è noto, l’Abruzzo è la regione con il reddito pro capite più alto del sud), ma la Puglia avrebbe ancora più chance di diventare, in venti o venticinque anni, una delle locomotive economiche dell’Italia.
Le basi ci sono, come i pugliesi sanno bene. La regione vanta una tradizione industriale di lunga data: si pensi solo al distretto del mobile imbottito della Murgia, o alle tante aziende del settore alimentare, incluse grandi realtà come Divella (su piazza dal 1890) o Molino Casillo, attiva dagli anni Cinquanta. L’agroalimentare pugliese è stato alla base dello sviluppo di una delle realtà produttive più dinamiche del Mezzogiorno: infatti la Meridional Meccanica (oggi Mermec) ebbe le sue origini negli anni ‘70 da un’attività di rivendita di macchine agricole.
La Mermec fa parte della Angel Holding, che opera anche nell’aerospazio, attraverso la Sitael, azienda di fama internazionale specializzata in piccoli e micro satelliti. Molti italiani non-addetti ai lavori lo ignorano, ma in Puglia si è formato negli anni un distretto aerospaziale di grande vitalità, con decine di imprese all’avanguardia. Sul treno che mi portava a Bari ho conosciuto due studenti di ingegneria aerospaziale accomunati dal sogno di aprire un’azienda del settore nella provincia di Bari, e contribuire allo sviluppo tecnologico e industriale della loro terra (e quando la già citata linea AV/AC Napoli-Bari entrerà in funzione, si profileranno interessanti sinergie tra l’aerospaziale pugliese e quello campano).
In Puglia, poi, ci sono i talenti, per usare un termine caro a Richard Florida. Oltre ad avere una struttura per età un po’ meno anziana rispetto al resto del paese (grazie soprattutto alle province di Foggia e BAT), la popolazione pugliese sta facendo passi avanti nel livello medio di istruzione; a Bari la percentuale di popolazione con una laurea di secondo livello o un dottorato di ricerca è superiore a quella di molte città del centronord, anche universitarie. La regione vanta il Politecnico di Bari, eccellenza a livello nazionale, nonché tre università statali e una privata: numeri paragonabili a quelli dell’Emilia-Romagna e del Veneto. (A riguardo mi si conceda un piccolo inciso: le economie che prospereranno nel XXI secolo sono le economie della conoscenza sostenibili e resilienti; indebolire gli atenei del sud è il modo migliore per condannare il Mezzogiorno al declino economico, culturale e demografico, e l’Italia intera a una crescente irrilevanza).
L’alta qualità del cosiddetto capitale umano a Bari ha fatto sì che aziende tecnologiche e multinazionali dall’Italia e dal resto d’Europa (e persino oltre) stiano aprendo lì uffici, laboratori e succursali. L’esempio più recente, per quello che so, è PAL Robotics, realtà di Barcellona specializzata in robotica di servizio, che a Bari ha aperto una sede. PAL Robotics ha seguito l’esempio di Pirelli, Deloitte, Ntt Data, Bip, Greenergy, Lutech e via discorrendo. Per chi come me ricorda la Puglia degli anni ’90, e la lotta che lo Stato ha dovuto combattere contro la criminalità organizzata pugliese, il fatto che aziende ad alta intensità di conoscenza facciano rotta su Bari è un segno di speranza. Generano posti di lavoro di qualità e opportunità per i talenti locali, che magari possono restare a casa loro e non essere costretti a emigrare verso Milano, Roma, Parigi, New York.
Ma soprattutto fanno ben sperare le startup innovative che continuano a nascere a Bari, e in altri angoli della Puglia. Secondo un report relativo al primo trimestre 2023 la provincia di Bari è sesta a livello nazionale per numero di startup, dopo Milano, Roma, Napoli, Torino e Bologna, precedendo province universitarie dinamiche come Padova, Genova e Trento (che però resta in vetta per numero di startup rispetto al totale delle nuove società di capitali). E sembra che negli ultimi mesi la provincia barese abbia superato anche quella di Bologna…
Non tutti i giovani di talento aspirano a lavorare per le Big Four o a essere una rotellina di qualche grande ingranaggio aziendale, o ambiscono alla carriera accademica o burocratica. L’antropologia conta. Ci sono ventenni e trentenni che, cercando di coniugare il (legittimo) diritto a un po’ di benessere economico con il desiderio (ammirevole) di fare qualcosa di concreto per la società, scelgono di fondare una startup: nel biotech, nelle ICT, nella robotica ecc. Ho conosciuto molti giovani pugliesi animati da tali scopi, tenacemente attaccati alla loro terra come cozze a uno scoglio, incuranti degli schiaffi dei marosi (perché il percorso del piccolo imprenditore è faticoso, specie se non si è figli di papà).
Da anni lavoro negli ecosistemi dell’innovazione italiani, e ho la sensazione che quello di Bari riserverà grandi sorprese. Naturalmente ne sono accorti (da tempo) pure gli investitori: di recente ha aperto a Lecce FoolFarm, e a Bari ha sede Syrio, investitore specializzato nella salute umana e dell’ambiente; CDP, importantissimo attore finanziario italiano, è presente nel capoluogo pugliese dal 2018. In Puglia operano scienziati di rilievo internazionale come Alessandro Sannino, professore ordinario all’Università del Salento, fondatore e direttore scientifico di Gelesis, azienda biotech tra Boston e Calimera, nel leccese.
Come il Veneto negli anni ’70, la Puglia si sta inserendo con gradualità ma successo nelle nuove catene produttive globali, grazie alla crescita di un denso arcipelago di PMI e micro-aziende agganciate a settori ad altissimo sviluppo come la New Space Economy, l’Industria 4.0 e 5.0, i nuovi materiali e il biofarmaceutico. Se è vero che “la performance internazionale dei paesi europei è fondamentalmente guidata da una manciata di aziende ad elevate performance” (ecco anche come mai economia italiana del XXI secolo, orfana di grandi aziende, non è la stessa degli anni ’80) l’esperienza mi insegna che un arcipelago come quello citato sopra può in parte supplire all’assenza di un grande colosso come furono nel nordovest novecentesco la FIAT o la Ansaldo. Del resto i distretti industriali italiani che negli anni ’90 sbalordivano il mondo questo erano: tanti gnomi furbi, uno sulle spalle dell’altro, sino a fare un gigante.
Ma le ragioni della vitalità degli ecosistemi dell’innovazione della Puglia sono molteplici. Le università pugliesi, oltre a formare talenti e fare ricerca, contribuiscono a generare, tra le varie esternalità positive, una mentalità più aperta al metodo scientifico, alle hard sciences e alle nuove pratiche creative, manageriali e produttive. A Bari ha sede uno dei migliori editori d’Europa, Laterza: un baluardo dei saperi e del raziocinio che da decenni, con i suoi libri, continua a fecondare le menti di tanti pugliesi (e, ovviamente, di tanti altri italiani). Le bellezze paesaggistiche e architettoniche, il clima (per ora) mite, la qualità dell’offerta enogastronomica regionale, la tranquillità di borghi operosi come Conversano (Bari) o Galatina (Lecce) sono asset non solo per convincere un po’ di cervelli pugliesi a tornare nella loro terra, ma per attirare talenti dal resto d’Italia e da altri paesi europei ed extraeuropei.
La secolare vocazione commerciale della Puglia concorre ad attenuare lo stigma sociale (residuo della cultura illiberale e neofeudale tipica di molti Stati preunitari) di cui la pratica imprenditoriale è ancora oggetto, al sud ma anche in alcune aree del nord. Tutti conoscono la Fiera del Levante, e in particolare la Campionaria di settembre, ma negli ultimi anni a Bari si sono aggiunte altre importanti iniziative dedicate all’innovazione, come Mecspe Bari.
E poi c’è la politica. Se la Sicilia non è mai diventata la California d’Italia, molto è a causa di una classe politica regionale talvolta mediocre, spesso pessima, di rado valente (Piersanti Mattarella era un grande politico siciliano, ed è stato ucciso). Mio padre è nato a Ragusa, mia madre a Catania, conosco parecchi giovani siciliani in gamba che potrebbero dare un contributo prezioso alla politica dell’isola, se solo avessero una chance. In Puglia c’è una classe politica superiore alla media, che negli ultimi quindici, diciotto anni ha saputo fare ciò che ad esempio seppe fare molti anni fa in Trentino il democristiano Bruno Kessler.
Iniziative come il programma Bollenti Spiriti hanno dato speranza ai giovani pugliesi, in un paese che spesso dà poco spazio alle nuove generazioni. Conosco bravi imprenditori innovativi che hanno iniziato il loro percorso grazie all’iniziativa Principi Attivi, purtroppo poco nota fuori dei confini regionali. Se la Puglia di oggi è così diversa dalla Puglia degli anni ’90 è pure merito di politici-amministratori del calibro di Guglielmo Minervini, illuminato sindaco di Molfetta prima e instancabile consigliere regionale poi. Tragicamente Minervini è venuto a mancare nel 2016, ma è vero che ciò che si semina con amore matura in benedetta abbondanza.
Sia chiaro: la Puglia non è un eden, un’utopia. I problemi rimangono tanti, la classe dirigente pugliese ha i suoi limiti, la criminalità organizzata non si è certo dissolta come nebbia, basta sfogliare un giornale locale o parlare con un pugliese per rendersene conto. Ma la regione ha le carte in regola per diventare una delle locomotive economiche dell’Italia di domani. A beneficio anche dei tanti proprietari immobiliari ed esercenti convinti che il turismo sia più redditizio della triade ricerca, innovazione e startup (cosa non vera: basta una pandemia o un rincaro dei prezzi dei voli per fermare o rallentare il turismo, mentre un’azienda di meccatronica, un dipartimento universitario o un laboratorio biotech sono assai più resilienti).
La Bari di oggi non è la Bari del 1991, l’anno in cui bruciò il Teatro Petruzzelli: per le sue strade ci si può imbattere in artisti di fama continentale, turisti da ogni angolo del mondo, ricercatrici eccezionali, CEO visionarie, startupper capaci, nonne simpaticissime che sanno fare a mano capolavori di orecchiette. Il resto dell’Italia deve aiutare la Puglia a diventare ciò che potrebbe essere. Ad esempio, collegando Bari e Lecce a Bologna, Padova e Milano con treni veloci. O investendo di più sulle università del Mezzogiorno. E soprattutto smettendo di credere alle favole dell’autonomia differenziata, o di un’improbabile Ivy League nordista. Si può far ripartire l’Italia solo unendo le forze, e la Puglia può dare un contributo inestimabile.
Foto di copertina tratta da Pixabay. Le altre foto sono a cura di Gabriele Catania.
Buongiorno Catania, è un articolo approfondito, il suo, con tante verità. Le faccio notare, in ogni caso, che la California è in profonda crisi e non da oggi. Pur rimanendo lo stato più popoloso degli USA, ha perso negli ultimi decenni diversi milioni di residenti perché la vita costa troppo e c’è stata una speculazione edilizia formidabile, con appartamenti che costano l’ira di dio.
Anche le calamità naturali che l’hanno colpita hanno contribuito a diradare le persone.
Un amico che viveva a San Francisco si è spostato nel vicino Nevada perché costava molto meno e mi ha spiegato come la California sia in crisi come è in crisi il sogno americano.
Io non voglio infrangere il sogno pugliese, al contrario, ma preferirei che sia la Sicilia che la Puglia restassero ciò che sono, senza voler scimmiottare realtà tanto diverse e lontane come gli USA e, ovviamente, superando gli ostacoli secolari che caratterizzano economie e società.
Il modello della California, però, è superato perché nel frattempo il mondo si è allargato ed è cambiato, così come la Puglia, in effetti, si sta tramutando velocemente.
Quando Veltroni diceva che la Sicilia avrebbe potuto essere la Florida dell’Italia, in quella visione filoamericana tutta “yes we can” che lo contraddistingueva, forse trascurava che la Florida è uno degli stati più conservatori degli USA e con problemi che manco immaginiamo, dovuti allo sfruttamento insensato di un territorio fragile e appesantito da edilizia fuori luogo.
Io direi di smettere di considerare l’America come America, appunto. La vera America è qui da noi, io penso, ed è meglio tenercela stretta prima che finisca nelle barbe.
Salve Crispi, grazie di averlo letto. Il titolo è solo un titolo, detto questo la California non ha perso milioni di residenti come dice lei: la popolazione dello stato, che nel 2020 sfiorava i 40 milioni di abitanti, oggi è sotto i 39 (dati ufficiali dello stato), di recente la Svezia ha aperto un consolato generale a San Francisco proprio perché la California continua a essere un potentissimo attore economico, finanziario e politico. Certo, è vero che c’è una speculazione immobiliare senza freni, questo accade anche in altre parti del mondo, ad es. a Londra, ed è una vergogna, io sono socialdemocratico, e sono pienamente solidale con il suo amico che si è dovuto trasferire in NV. Detto questo, le crisi fanno parte del ciclo economico capitalista, ma eviterei di scrivere necrologi per la California… Nel testo poi io paragono la Puglia al Veneto di qualche decennio fa, e non suggerisco in alcun modo di seguire i pattern di sviluppo della California, anche perché tra i benefici dei late comers c’è anche quello di non ripetere gli errori commessi dagli altri. Vede, il titolo contiene la parola California proprio assecondando lo stesso meccanismo retorico che spinge lei a scrivere, al termine del suo commento: la vera America è qui da noi. L’Italia ha un immenso potenziale, sono le sue élite (con poche eccezioni) a frenarlo.
ps la prego di non citarmi Veltroni, la cosa migliore che ha fatto quel signore è stata dimettersi da segretario del PD, doveva poi andare a fare il missionario laico in Africa se ben ricordo, ma per fortuna degli africani non ha dato seguito alla sua promessa.
Veltroni un giorno si era alzato e aveva scoperto che in Africa c’era la fame, ma lui viveva nel mondo di Topolino, si sa. lo scrisse anche, in un suo libro. Sì, volevo scrivere migliaia non milioni, mi sono sbagliato. Tornando al mio amico che ha disertato la California, lui mi raccontava anche che i conflitti sociali si sono acuiti enormemente, perfino in città abbastanza piccole come San Francisco, rispetto ad altre metropoli, e che se n tempo la California era uno stato dov’era piacevole vivere, oggi non lo è più. Almeno per la sua esperienza. Lui è compositore, artista performer di danza, e anche pittore. Per dirlo lui, che si muoveva comunque in ambienti privilegiati, e anche vicini a un mondo tecnologico, posso immaginare come sia la vita per le persone normali. Un’altra cosa che mi raccontava era lo scollamento totale da questo mondo ipertecnologico dalla vita delle persone normali che non partecipano né sono coscienti di questa sfera parallela in cui sono inglobati. Non dimentichiamo che sempre USA sono, quindi un paese dove l’estrema ricchezza e l’estrema povertà convivono conflittualmente. Lui sosteneva che l’implosione non sarebbe tardata. Io, da esterno, questo non posso dirlo, di sicuro, però anche un altra persona che conoscevo, un professore universitario in pensione di San José che il covid si è portato via, mi disse un paio d’anni fa che la festa stava per finire. Poi non ci fu modo di approfondire per la fatalità.
molto interessante ciò che mi racconta, e del resto pure lei scrive qui su Gli Stati Generali (a Tondelli e Dilena bisognerebbe fare un monumento). Ritengo, per n motivi, improbabile un’implosione della California, ma condivido tutto il resto. Ora il suo amico si trova bene in Nevada? Dove, per curiosità?